X

Salari e produttività per giocare anche in Italia la sfida della politica industriale della difesa

FIRSTonline - Screenshot

Sugli scenari di crescita europea non ci saranno da imputare solo gli effetti caotici dei dazi varati dal Trump II. È in corso, infatti, un complicato gioco “a due livelli” nell’Eurozona: uno appunto influenzato dall’esterno (i dazi) che costringerà molto probabilmente a rivedere accordi ed alleanze commerciali a livello internazionale e uno interno di riorganizzazione continentale, frutto di una riconsiderazione generale degli obiettivi dell’industria europea. Il più urgente è raggiungere in un tempo ragionevole una parziale autonomia militare e di difesa, un obiettivo che presuppone una profonda riorganizzazione della politica economica europea. La Commissione europea ha già presentato nelle scorse settimane il Libro bianco sulla difesa europea (“Preparati per il 2030”), che va aggiunto ad un ambizioso – come viene definito a Bruxelles – pacchetto di provvedimenti che fornirà “leve finanziarie agli Stati membri per stimolare un aumento degli investimenti nelle capacità di difesa”.

Ue: industria e tecnologia tornano priorità

Nelle parole utilizzate da Ursula von der Leyen vanno sottolineati due punti importanti: base industriale e sostegno alla tecnologia, ritornati primi nell’agenda comunitaria dopo gli anni in cui avevano prevalso gli obiettivi della transizione green (“Dobbiamo puntare agli acquisti in Europa perché ciò significa rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa europea e stimolare l’innovazione”). “Il principale motore della spesa della difesa è il settore pubblico, che a cascata può attivare anche gli investimenti privati. L’attivante pubblica non potrà essere però solo di tipo domestico, dovrà coinvolgere l’intera economia della difesa europea. Il rischio, altrimenti, è che il piano europeo alimenti singolarmente le varie industrie nazionali, senza il vantaggio delle economie di scala, dello scambio di tecnologia e della cooperazione più stretta tra le aziende leader del settore. L’industria bellica richiede livelli tecnologici che si potranno trovare solo cooperando ad un livello europeo. Questo sarà il vero banco di prova dell’Unione, un percorso molto complicato perché ad oggi manca ancora una politica di difesa comune europea”, osserva l’economista Donato Iacobucci, presidente della Società Italiana di Economia e Politica Industriale (Siepi) e curatore del recente volume “L’industria italiana contemporanea. Tra declino e ristrutturazione” (Carocci).

Il nodo della spesa in ricerca e sviluppo

Il Libro bianco europeo presenta agli Stati membri politiche per colmare le carenze in termini di capacità tecnologica e per ricreare “una solida base industriale nel settore della difesa” in un’ottica di indipendenza strategica nel lungo periodo. “In alcuni ambiti l’Italia ha posizioni di leadership mondiale – continua il professor Iacobucci – nell’industria della difesa, penso ad aziende come Leonardo o alla cantieristica navale di Fincantieri. Ci sono alcune eccellenze italiane che operano anche nell’aerospazio. Quando si parla di una parziale riconversione industriale verso il settore della difesa, il primo scoglio da superare è senza dubbio la capacità di spesa del nostro Paese in ricerca e sviluppo: l’Italia spende circa l’1,4% del PIL contro una media europea del 3%. Percentuali che riflettono i margini di manovra limitati della nostra finanza pubblica”.

Diversificazione tecnologica come via di sopravvivenza

Secondo l’Istituto Internazionale per la Pace di Stoccolma (Sipri), le aziende continentali produttrici di armi che hanno mantenuto il loro posto nella top cento sono la paneuropea Airbus, Leonardo in Italia, Thales in Francia, Rolls Royce nel Regno Unito e Rheinmetall in Germania. “Per reggere la competizione con le altre grandi economie manifatturiere, l’industria italiana ha una fortissima esigenza di diversificazione produttiva rispetto ai settori tradizionali del made in Italy, come l’alimentare e la moda, verso settori a più alto contenuto di tecnologia. Tuttavia, la nostra politica industriale attualmente finanzia centinaia di provvedimenti con poche risorse e si disperde in mille rivoli poco efficaci”.

Un percorso assolutamente non facile per l’economia italiana che sconta inoltre criticità sempre più evidenti a partire proprio dal mercato del lavoro. “Il problema principale da affrontare è quello dei bassi livelli salariali e della bassa produttività. Abbiamo la necessità di favorire le condizioni per aggregare le imprese, facendole crescere dimensionalmente in modo da potersi giocare la sfida dell’innovazione. Il settore della difesa può essere un’occasione per concentrare gli investimenti di politica industriale in settori mirati ad alta necessità di ricerca tecnologica”.

Related Post
Categories: Economia e Imprese