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Saipem, la nuova frana si abbatte sull’Eni

FIRSTonline

E’ assai dubbio che Paolo Scaroni, ad dell’Eni, scelga di imitare l’esempio di Gerard Depardieu, che ha appena reso noto di voler chiedere anche la cittadinanza algerina. Per Scaroni, infatti, l’Algeria si è da tempo trasformato in un tormentone angoscioso di cui non si vede la fine.

Stamane in Piazza Affari l’effetto Algeria ha colpito per la seconda volta, dopo il tracollo di gennaio (-34% in una sola seduta) i titoli della controllata Saipem, a lungo sospesi per eccesso di ribasso, prima di assestarsi su valori attorno al 25% in meno della seduta di venerdì tra scambi che nella sola Piazza Affari hanno già superato i 13 milioni di pezzi. E la bufera ha investito anche i titoli dell’ammiraglia Eni, sotto del 2% abbondante.

La ragione? Venerdì sera, dopo la chiusura dei listini, Saipem ha dovuto confessare la seconda Caporetto nel giro di pochi mesi: riviste al ribasso le stime dell’esercizio 2013, che chiuderà con una perdita compresa tra i 300 e i 350 milioni di euro mentre l’Ebit , secondo le ultime previsioni, si ridurrà ad un importo compreso tra 650 milioni e 750 milioni di euro.

Una mazzata che non sarà indolore per il cane a sei zampe. Difficile che le pessime novità possano accelerare la cessione del 43% di Saipem come suggerito dall’azionista activist Eric Knight, non foss’altro che per le difficoltà di spuntare un buon prezzo in questo momento per un’azione dalla reputazione così compromessa. Ma potrebbe, al contrario, spianare la strada ad altri spin-off, in assenza dei quali, ammonisce il broker Exane, potrebbero essere oscurati i risultati dell’attività principale di Estrazione & Produzione.

Le attività italiane continuano infatti a soffrire e quest’anno tutte le attività non E&P andranno incontro a perdite. Gli sforzi per ristrutturare il Downstream e il Gas & Power avranno bisogno di tempo per dare i loro frutti e, seppure l’E&P continua a fare molto bene, avrà bisogno di forti investimenti nei prossimi anni per raggiungere l’obiettivo di produzione al 2022.

La valanga Saipem, insomma, minaccia di colpire anche la casa madre anche perché, dice ancora la nota di Exane, “oltre il 90% del debito Saipem è con la controllante Eni” che potrebbe dover dirottare un altro miliardo di euro alla controllata oltre a quelli già previsti.

Ma a che si deve la frana, la seconda in meno di sei mesi? Per una buona metà “alle attività in Algeria”. E il resto? Oltre al “deterioramento della posizione commerciale” nel Paese nordafricano, hanno spiegato da Saipem, il nuovo responsabile delle attività americane – che si è insediato a fine aprile – ha scoperto due contratti problematici in Messico e Canada che hanno abbassato la redditività nell’area di 260 milioni.

Insomma, più che perforare pozzi o scavare nelle profondità marine, in casa Saipem sembrano essersi specializzati a scavare buchi in “bilancio”. Il sarcasmo può esser giudicato fuori luogo, ma è ben poco rispetto alla rabbia degli analisti, già insorti a gennaio dopo comunicazioni contraddittorie (per non parlare del giallo della vendita da parte di Black Rock di una gossa partecipazione prima del warning) e che già si stanno vendicando con una raffica di giudizi negativi.

Exane ha abbassato il proprio giudizio ad ‘underperform’, Kepler ad hold. Drastica la riduzione del target price da parte di Mediobanca, che ha ridotto il prezzo obiettivo di 6 euro in un sol colpo portandolo a 17,4 euro. Simile il discorso per BofA Merrill Lynch, che ha portato il target price da 21 a 16 euro. Da Crédit Suisse, che titola significativamente il suo report ad hoc “C’è un (altro) buco nel mio secchio”, il target price viene abbassato da 22 a 16 euro. Ma si tratta di una valutazione accademica perché, scrive il team della banca elvetica, “allo stato attuale non è nemmeno proponibile un investimento in Saipem”. E così sarà per non pochi mesi perché “prima occorre fare chiarezza sulle seguenti questioni: le conseguenze dello scandalo algerino, comprese le multe e le onseguenze dell’inchiesta per corruzione; la strada per raggiungere un recupero dei magini delle attività E&C; l’evoluzione dell’indebitamento e della redditività del capitale investito; la posizione all’interno della società del vice Ceo Hugh McDonnelll”.

Considerazioni durissime, ma che rappresentano solo la metà del problema. Ormai, infatti, non ha più senso parlare di caso Saipem. E’ in discussione la strategia della casa madre, gravemente colpita nella reputazione dalle traversie della controllata e, quel che è peggio, dalla lentezza e dall’insufficienza dei rimedi finora individuati.

In termini di bilancio, l’impatto sugli utili di Eni è grave ma non drammatico: il 5% circa sul 2013 e a un -1% circa sul 2014 secondo gli analisti di Equita. Ma ha ormai preso piede l’impressione l’impressione che Saipem non sia in grado di gestire la propria attività secondo lo stile e la tradizione Eni: un effetto collaterale rilevante.

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