X

Ryuichi Sakamoto e la Kajitsu playlist: quando l’artista straccia l’algoritmo

Mario Mancini

Ryuichi Sakamoto, scomparso in questi giorni, è stato uno degli artisti contemporanei più originali, brillanti, eclettici e sperimentatori. 

A lui si deve anche una delle più affascinanti sintesi musicali tra la tradizione orientale e quella occidentale. Due culture musicali che il compositore giapponese conosceva alla perfezione ed esplorava con destrezza.

Algoritmi e professionisti

Sakamoto ha dato, involontariamente, un contributo importante a un dibattito che sta caratterizzando la conversazione pubblica di questi mesi. Mi riferisco al rapporto di valore tra l’intelligenza artificiale (AI) e quella biologica nel campo della creatività, in questo caso della musica. 

Ci sono svariati ambiti nei quali l’AI ha già superato, o quasi, quella biologica come negli scacchi, nei quiz televisivi e adesso anche nei test di ammissione all’università. 

Ci sono ambiti nei quali si preferisce far lavorare algoritmi piuttosto che persone esperte. Uno di questi è la creazione di playlist, di suggerimenti di lettura e di visione di film. In questa sfera gli algoritmi funzionano piuttosto bene soprattutto per scoprire dei contenuti dei quali si ignorava perfino l’esistenza.

Spotify, per esempio, crea le proprie playlist tramite algoritmi. Netflix costruisce i suoi suggerimenti di visione tramite programmi che macinano dati raccolti dalle esperienze di navigazione degli abbonati. 

C’è stato ultimamente un certo ripensamento su questa modalità di relazione tra le piattaforme e l’utente. Spotify, per esempio, ha affiancato alle playlist degli algoritmi le playlist curate da persone esperte e retribuite. Si tratta di qualcosa che Apple, che è di un’altra scuola di pensiero, ha fatto e fa regolarmente nei suoi servizi di streaming.

La storia che vi proponiamo, che Ben Ratliff qualche anno fa ha raccontato sul “New York Times”, dimostra quanta strada deve ancora fare l’AI per sperare solo di poter competere con il lavoro creativo di un artista come RyuichiSakamoto. 

Questa storia dimostra anche l’intelligenza e l’empatia di questo artista riservato e geniale.

Quando la musica è molesta

Sakamoto, quando viveva a New York nell’East Village, frequentava regolarmente il ristorante giapponese vegano Kajitsu sulla 39ª strada all’angolo con Lexington Avenue a Manhattan. 

Un giorno decise di parlare con lo chef: non riusciva più a sopportare la musica di sottofondo mentre consumava il suo pasto. Era insopportabilmente molesta.

Il problema non era solo il volume, lo infastidiva il fatto che che la musica fosse diffusa senza un benché minimo criterio. Decise allora di proporre al ristoratore di selezionare lui stesso, gratuitamente, un insieme di brani da diffondere durante l’ora dei pasti. Questo lo avrebbe aiutato a sentirsi maggiormente a proprio agio quando mangiava lì. 

Lo chef accettò la proposta e il musicista mise insieme una playlist, la Kajitsu playlist appunto. Non c’è neppure una sua composizione. 

Musica in uno spazio pubblico

A parte il discutibile gusto di diffondere musica nei luoghi pubblici, cosa che succede in quasi tutti i racconti distopici, c’è anche un altro tipo di discorso specialmente se si tratta della musica trasmessa in un ristorante. Per certe persone consumare un pasto è anche un atto di meditazione, di concentrazione.

Se si decide di mangiare fuori casa, probabilmente non saremmo molto contenti se il cibo fosse cucinato dal personale che cura la pulizia o da quello che lavora in sala, ma vorremmo che fosse preparato dalla brigata di cucina. 

Lo stesso si potrebbe dire della musica diffusa nelle sale del ristorante. Non vorremmo che quella musica fosse raffazzonata a tal punto da risultare molesta come quella selezionata da un algoritmo attivato tanto per fare. Ci piacerebbe che ci fosse un ragionamento alla base dei brani diffusi e forzatamente ascoltati. Bisognerebbe tenere conto di molteplici fattori ambientali, culturali, logistici, di genere e via dicendo. 

Questo è la riflessione che deve avere fatto Sakamoto quando ha avvicinato il ristoratore per proporgli di creare una propria playlist da diffondere nel locale.

Le scelte di Sakamoto

Il compositore recentemente scomparso è un modello di riferimento tanto come musicista quanto come ascoltatore. È stato fra i primi ad adottare le nuove tecnologie. Alla fine degli anni ’70 ha fondato il trio elettropop Yellow Magic Orchestra. Ha lavorato anche con i Kraftwerk, il gruppo per eccellenza della musica elettronica. C’è molto sperimentalismo e sincretismo nelle sue composizioni.

Ha infatti creato e prodotto musica da eseguire in molteplici ambienti e occasioni: nelle sale da ballo e in quelle da concerto, nei film e nei videogiochi, perfino nelle suonerie dei telefoni. Ha composto musica per iniziative ed eventi ambientali e politiche. 

Nel documentario Coda di Stephen Nomura Schible possiamo farci un’idea dell’incredibile talento e versatilità del poliedrico musicista giapponese, premiato anche con l’Oscar.

In effetti la cinquantina di pezzi che Sakamoto ha selezionato per il ristorante di Manhattan riflettono i suoi gusti e le sue inclinazioni, ma con misura, discrezione e tatto. È un mix di assoli di pianoforte lenti e larghi di difficile etichettatura, melodie che possono stare nella colonna sonora di un film e c’è anche un pizzico di improvvisazione. 

Nell’intervista a Ben Ratliff, Sakamoto ha detto che lui e Ryu Takahashi, al quale ha chiesto aiuto, hanno buttato giù almeno cinque brutte copie prima di arrivare alla versione finale di una playlist che li soddisfacesse. 

Si è lavorato molto sul jazz, che costituisce una delle fonti di maggiore ispirazione per le composizioni del maestro giapponese. Ma anche il jazz dà i suoi problemi quando si tratta di diffonderlo in un ambiente pubblico.

I brani della playlist

“Il problema è che il jazz come musica di sottofondo è troppo stereotipato” ha detto Sakamoto a Ratliff. Infatti la selezione di Jazz è stata molto accurata e molto attenta. Nella playlist c’è Mary Lou Williams, ma non Duke Ellington. C’è Bill Evans, ma non il suo famoso Waltz for Debby, ci sono pure assoli di Jason Moran e di Thelonius Monk.

Una delle canzoni con pianoforte solista più forti è il primo movimento della placida Four Walls di John Cage interpretata da Aki Takahashi. Un’altra è My First Homage di Gavin Bryas. Altri pezzi notevoli sono Graysmith’s Theme di David Shire, tratta dalla colonna sonora del film Zodiac, e Claudia, Wilhelm R and Me di Roberto Musci. 

Tutti questi pezzi, menzionati da Ratliff, producono un effetto particolare sull’ascoltatore: catturano l’attenzione, pur essendo discreti, minimalisti e soffusi.

Inoltre l’idea di una playlist per il ristorante non era disgiunta da quella di cambiarla all’inizio di ogni nuova stagione.

Per di più il volume del suono che Sakamoto ha voluto per questi pezzi né discreto. Il compositore aborre la musica a volume alto nei luoghi pubblici e spesso misura i decibel dell’ambiente in cui si trova con un’applicazione del suo iPhone.

La playlist ha avuto un successo tale che tutti i locali della catena dei ristoranti al quale appartiene quelli sulla 39ª strada hanno deciso di diffondere la Kajitsu playlist di Sakamoto.

Siamo davvero in un’altra categoria rispetto a quella dove giocano gli algoritmi.

Related Post

……

La Kajitsu playlist di Sakamonto (su Spotify).

Fonti: Ben Ratliff, Annoyed by Restaurant Playlists, a Master Musician Made His Own, The New York Times, 23 luglio 2018

La playlist che ascolterete alla vostra prossima cena, Il Post, 29 luglio 2018

Categories: Cultura