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Russia-Ucraina: “Un armistizio sotto l’egida dell’Onu è l’unica speranza”. Parla Silvestri (Iai)

Imagoeconomica

Avanzare l’ipotesi da parte di Zelensky di una “soluzione politica” per la Crimea, invece di una “militare”, è stata sicuramente una mossa intelligente, ma non avvicinerà la fine della guerra, perché la proposta non era diretta a Putin, ma agli alleati occidentali e alla opinione interna ucraina. L’unica soluzione per uscire dai combattimenti potrebbe essere quella di proporre a Putin un armistizio, che lasciando le sue truppe sul terreno conquistato, congelerebbe la situazione fino a trovare una soluzione. Magari coinvolgendo l’Onu, che potrebbe amministrare le aree.

Parla Stefano Silvestri, esperto di strategie militari, già presidente dello Iai, e direttore editoriale della rivista dell’istituto, AffarInternazionali.

Perché la posizione di Zelensky che, eliminando dal terreno militare il punto più spinoso di ogni negoziato con i russi, la questione della Crimea, non è una rivoluzione?

“Diciamo che Zelensky non ha detto niente di veramente incredibile perché si possa pensare che si sia più vicini alla fine della guerra. Semplicemente ha detto che la guerra può concludersi anche in via diplomatica e che pure le rivendicazioni ucraine possono essere affrontate nello stesso modo. Il che indica una disponibilità alla discussione, certo, solo che questo non corrisponde alla posizione di Putin. Il presidente russo ha detto più volte che non vuole negoziare con questo governo ucraino, che lui definisce “nazista”, come sappiamo. E d’altronde, Putin la Crimea l’ha sempre considerata russa, vuole altri territori ucraini oltre quelli che ha già occupato. Detto questo, Zelensky ha fatto bene a introdurre l’argomento. Perché vuol dire cominciare a parlare della vita dell’Ucraina senza la guerra, e non a caso ha evocato la fine alla legge marziale, che blocca ogni attività politica e civile, elezioni in primis. Significa insomma cominciare a parlare della normalità democratica, un problema che non interessa Putin. In conclusione, il discorso del presidente ucraino mi è sembrato più rivolto all’interno del suo Paese, all’Europa, agli americani, ma non al suo nemico. E per questo, ripeto, non metterà fine alla guerra”. 

Non è che Zelensky è arrivato a questa posizione perché la controffensiva non ha avuto il successo sperato?

“Certo la controffensiva lenta ha giocato un ruolo, ma si sapeva che sarebbe andata così. L’unica accelerazione sarebbe potuta avvenire portando la guerra dentro il territorio russo, ma gli ucraini sanno, e sappiamo tutti, che questo è impossibile perché vorrebbe dire allargare la guerra a tutti i Paesi NATO. Inevitabile, dunque, una controffensiva di piccoli passi. Attenzione, però: questo non vuol dire che essa non stia avendo successo. Significa solo che Zelensky, poiché non ha sfondato, si deve preparare a chiedere altri impegni agli alleati, e di lungo tempo. Di qui il discorso: ha bisogno di presentarsi con le carte in regola, e perciò ha voluto rassicurare i sostenitori, dentro e fuori l’Ucraina, che il Paese è pronto a tornare alla vita civile, mettendo fine alla legge marziale, ripristinando il gioco democratico e dichiarandosi disposto a dialogare su ogni punto, anche quelli più spinosi. Prendere l’iniziativa per cercare di orientare un dibattito più favorevole agli ucraini è stata una mossa intelligente per mantenere la benevolenza e l’appoggio degli alleati proprio perché credo che Zelensky non si faccia illusioni sulla volontà di pace di Putin”. 

Può sbloccare qualcosa il prossimo incontro con Erdogan?

“Potrebbe essere utile per riprendere il commercio del grano e per qualche altra iniziativa distensiva, scambio di prigionieri, per esempio. Ma nulla di straordinario per l’andamento della guerra. Potrebbe essere però più interessante se dall’incontro uscisse l’ipotesi di una tregua armistiziale. Un armistizio, con le truppe russe che restano sul territorio, potrebbe interessare anche Putin. È un terreno questo di difficile dialogo, sia per i russi sia per gli ucraini, ma una soluzione potrebbe essere mettere i territori occupati sotto un’amministrazione controllata delle Nazioni Unite, in attesa di referendum veramente democratici. È stato fatto in altre parti in Europa e nel mondo. Questo significherebbe, però, che non solo l’Ucraina, ma anche la Russia dovrebbe accettare la decurtazione del territorio. Una situazione del tutto nuova perché è del tutto politica e che non ha riflessi su quella militare”.

Il Vaticano è stato trascinato di nuovo nella polemica dopo le parole del Papa che, in un discorso alla gioventù russa, ricordava le gesta degli zar Pietro e Caterina. Francesco è filorusso, hanno detto gli ucraini. È così?

“Non ho letto il discorso del Papa, ma io non credo che lo sia. Certo, il pontefice vorrebbe avere migliori rapporti con gli ortodossi e sicuramente questa guerra non solo non ha aiutato il dialogo, ma ha spaccato le loro stesse chiese. In questo momento è in atto uno scisma fra il patriarcato ucraino e quello russo: gli ucraini hanno lasciato Mosca dichiarando la loro chiesa autocefala, ottenendo il sigillo del patriarcato di Costantinopoli. E poiché in Ucraina, come gli ortodossi, muoiono anche i cattolici, quelli di rito greco che vivono nel Paese, io credo che l’interesse del Vaticano sia del tutto umanitario: cioè fa il mestiere che gli spetta”.

Veniamo alla sorte di Prigozhin: che cosa pensa della sua morte?

“È evidente che Putin aveva un conto aperto con il suo fedele ex collaboratore, si era sentito, e lo ha anche detto, pugnalato alle spalle. E non poteva accettare un simile tradimento. La risposta poteva essere di vario tipo. Poteva essere giuridica: accusarlo, imprigionarlo e magari spedirlo in Siberia. Ma non sarebbe stato facile per la presenza della milizia che avrebbe sicuramente creato dei problemi di ordine pubblico. E non sarebbe stata certo una cosa veloce e definitiva. È vero, ha aspettato piuttosto a lungo, e ha avuto anche incontri con lui. Insomma, ha dato l’impressione di incertezza, come se avesse accettato la rivolta come un parziale dissenso. Prigozhin, dal canto suo, ha provato a dare rassicurazioni allo zar. Per esempio, sul fatto che non avrebbe dato più fastidi e che si sarebbe occupato solo di Africa e Terzo Mondo. Ma Putin era stato umiliato e davanti al mondo, era difficile da digerire, a meno che non fosse sul serio in difficoltà. Ma ha dimostrato di non esserlo. Credo che abbia studiato tutto a tavolino. Intanto doveva essere certo di normalizzare parte della milizia della Wagner, per eliminare ogni possibilità di rivolta armata. Ecco perché ha integrato nei ranghi dell’esercito i miliziani presenti sul territorio russo e bielorusso e ha cambiato i loro comandanti. In secondo luogo, doveva accertarsi della fedeltà dello Stato maggiore del suo esercito. Terzo punto, si è dovuto occupare del problema del controllo delle milizie, che tradizionalmente spetta al Gru, il settore militare dei servizi segreti, ma che Putin ha sempre voluto che fosse sotto la giurisdizione dell’Fsb, l’erede del Kgb. Infine, doveva accertarsi, cosa di non poco conto, che le guardie del corpo di Prigozhin non fossero in grado di reagire. Cinicamente parlando, l’operazione è stata di successo, perché non è stato ucciso solo Prigozhin, ma anche i suoi principali collaboratori. Putin voleva decapitare l’organizzazione e quindi questo mi fa pensare che abbia voluto aspettare il momento più favorevole. Ecco, quindi, i due mesi che sono trascorsi dalla rivolta del mercenario”.

No uomo, no problema, di staliniana memoria: si può dire che Putin si sia dimostrato fortissimo?

“Non ne sono sicuro, sicuramente spietato. La ferocia è un elemento di forza e questo può essere visto come un punto a suo favore. Però allo stesso tempo ha perso uno strumento molto utile, la forza mercenaria. L’idea di trasformare la Compagnia di ventura in una Legione straniera non è buona perché perderà la flessibilità. La Legione straniera ha la bandiera della Francia, quindi dello Stato, mentre una Compagnia di ventura non è identificabile. Se le sue azioni hanno successo, bene; altrimenti chi la conosce. E poi vedo altri problemi. La Wagner è anche impero di tipo economico, che si auto mantiene: chi la finanzierà ora? Senza contare che regolare in questa maniera le questioni, liberandosi dei nemici in maniera spietata, può avere un problema di immagine. Non solo di fronte all’Occidente che persegue altri valori, ma anche nei rapporti con i paesi con i quali Putin cerca di costruire un fronte antioccidentale. Nello specifico i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). Non dimentichiamo che il leader del Cremlino non è potuto andare di persona in Sud Africa perché questo Paese, essendo uno dei firmatari del trattato che ha costituito il Tribunale de l’Aia, non avrebbe non potuto mettere in atto il mandato di arresto spiccato contro di lui. Questo per dire, che tutta questa sbandierata amicizia con la Russia non è così vera, perché per questi Paesi veramente utile è solo quella con la Cina, la Russia segue come intendenza. E comunque va detto che essi sì, sono amici di russi e cinesi, ma più per polemica verso le politiche dell’Occidente che per questioni ideologiche. Cioè il mondo è molto meno in bianco e nero di quanto si è portati a credere”.

Tornando al punto di vista militare, cosa sta accadendo sul terreno?

“C’è un lento progresso ucraino, come si diceva, ed è evidente la difficoltà dei russi a riprendere l’iniziativa. Essi si sono attestati sulla difensiva e si limitano a bombardare città e villaggi approfittando del fatto che gli ucraini non hanno il controllo dei cieli. Ora però le cose cambieranno perché con i nuovi armamenti che stanno per arrivare, soprattutto con gli F16, potrebbero avere questo controllo. Sebbene avranno comunque una capacità di movimento limitata, perché, come si sa, non possono attaccare in profondità nel territorio russo. E, a dire il vero, anche se potessero, i russi avrebbero una grande capacità di risposta con la loro contraerea. In definitiva Putin punta sulla guerra di posizione perché, avendo guadagnato una parte di territorio, ci tiene a conservarla. E magari andare oltre, perché, non dimentichiamolo, non ha conquistato tutto il Donbass”. 

Putin allora spera nel tempo.

“Potremmo dire che è il suo grande alleato. Perché intanto spera che con il tempo gli amici degli ucraini, gli occidentali, si stanchino di aiutarli e di pagare le loro armi. E poi spera soprattutto nella vittoria di Trump negli USA, che ha già detto che lui finisce questa guerra in cinque minuti una volta che sarà eletto. Non si capisce come, ma l’ha detto. Credo tuttavia che Putin si faccia ancora delle illusioni: non solo ha sbagliato i calcoli con l’invasione, visto che ha provocato, come sappiamo, la coalizione dell’Occidente e allargato la NATO come nessuno poteva immaginare; ma la situazione economica interna alla Russia diventa sempre più delicata, con il rublo che continua a calare e rende il suo popolo sempre più povero. Certo, i russi sono abituati a sopportare, ma fino a un certo punto, come sappiamo dalla loro storia”. 

Putin spera anche in un cambiamento di colori politici in Europa con le prossime elezioni?

“Può anche essere. Però se fossi Putin farei meno affidamento sugli europei. Sia perché è difficile che i colori cambino del tutto, sia perché se la posizione americana rimane ferma, io credo che anche quella dell’Europa rimarrà ferma. Se invece la posizione americana dovesse incrinarsi, per l’Europa sarebbe un grosso problema, perché sarebbe la sua sicurezza a essere messa in pericolo, non solo quella dell’Ucraina. Destra o sinistra che sia, io dubito che la scelta potrebbe essere quella di mettersi sotto la protezione di Putin”.

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