Lasci ogni speranza chi crede che le condizioni atmosferiche dell’inverno possano portare alla fine della guerra in Ucraina. Al massimo ci sarà uno spiraglio per una tregua, che potrebbe arrivare già nei prossimi giorni. L’obiettivo, comunque, non sarà l’inizio di un percorso di pace, ma riempire di armi e munizioni i magazzini che si sono svuotati nei sei mesi di conflitto e sostituire i soldati al fronte con truppe più fresche. È un’analisi tanto spietata quanto lucida quella del professor Stefano Silvestri, grande esperto di armamenti, ex presidente a attuale consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), che con FIRSTonline parla della situazione sul campo e delle ultime novità sul versante diplomatico.
Professor Silvestri, ha cambiato qualcosa il recente incontro di Leopoli fra il leader ucraino Zelensky e quello turco Erdogan, al quale ha partecipato anche il segretario dell’Onu Antonio Guterres? Sul tavolo c’erano due importanti temi: la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhshia e le esportazioni di grano.
«Erdogan si atteggia a mediatore da tempo, ma al momento non si vedono risultati concreti. È possibile invece che sia gli ucraini sia i russi siano interessati in questo momento a rallentare i combattimenti. Il che però non vuol dire che siano pronti a un vero accordo di pace o a un armistizio. Secondo me è ancora troppo presto per questo. Però, ripeto, entrambe le parti potrebbero essere interessati a una tregua. Gli ucraini, che si stanno rafforzando lentamente, hanno bisogno di più tempo per addestrare gli uomini e riempire i magazzini di armamenti, soprattutto di munizioni. Lo stesso vale anche per i russi: hanno consumato moltissime munizioni in questi mesi di guerra e anche loro stanno riorganizzando l’esercito con nuove forze, che però ancora non sono pronte per il fronte. Quindi sia Kiev sia Mosca potrebbero essere interessate a una pausa nei combattimenti. Putin, poi, potrebbe avere interesse a tirarla per le lunghe, con l’obiettivo, fondamentale per lui, di rompere l’unità del fronte occidentale. Non adesso, ma in inverno, quando il ricatto del gas diventerà più duro. Non credo che ci riuscirebbe, ma potrebbe pensarci».
Perché l’inverno potrebbe semplificare le cose per Putin? Il ricatto del gas è chiaro, ma sul fronte militare? Le condizioni non sarebbero più dure sul terreno?
«Partiamo dal ricatto del gas. Potrebbe essere una tentazione per alcuni Paesi, di fronte alle case senza riscaldamento dei propri concittadini, aggirare le sanzioni per accordi unilaterali che potrebbero rompere il fronte occidentale. Tutti pensano ovviamente alla Germania, il Paese più fragile in questo momento. Io non penso che avverrà. Credo che i tedeschi abbiano una capacità di resistenza molto più forte di quella che viene loro attribuita. Ma Putin potrebbe sperarlo. Così come potrebbe sperare in un governo più disponibile in Italia. Non credo che potrebbe puntare alla revoca delle sanzioni, che mi sembra molto difficile, ma a creare una certa confusione nel campo occidentale, quello sì. E non è così irrealistico. Quanto al terreno, è quello che sta arrivando adesso il periodo più duro per le operazioni militari, non l’inverno, perché in autunno il suolo diventerà fangoso, e quindi saranno sempre più difficili le operazioni con i mezzi pesanti. Con l’arrivo dell’inverno, invece, tutto sarà più facile, perché il terreno ghiacciato aiuterà gli spostamenti di mezzi e uomini».
Quindi dobbiamo aspettarci un altro inverno di combattimenti?
«Secondo me sì. E sarà un inverno decisivo. Anche per la Russia di Putin, che è in condizioni miserabili. Le sanzioni hanno colpito in modo molto duro, benché non se ne abbia la percezione. Ma la propaganda, dentro e fuori la Russia, è una cosa, mentre la realtà è un’altra. Una ricerca dell’università di Yale ha prodotto un’analisi molto dettagliata degli effetti delle sanzioni sulla società russa. Ne ho letto le conclusioni: i cittadini russi continuano a vivere come se la guerra non fosse neanche cominciata, ma sono al limite. La partenza delle aziende e delle imprese occidentali ha provocato un milione di disoccupati, mentre mancano pezzi di ricambio per una marea di oggetti. Le stesse vendite di petrolio in Asia (a cominciare dalla Cina, che tanto alleata non pare) più che aiutare la Russia l’hanno strozzata, perché i prezzi sono calati anche del 30%. Questo non significa che il regime crollerà, ma è un fatto che le sanzioni hanno fatto e faranno sempre più male».
Quindi lei si aspetta solo una pausa della guerra con l’obiettivo per entrambi, ucraini e russi, di rafforzarsi e poi scatenare attacchi decisivi?
«Sì. Gli ucraini hanno bisogno di armi più sofisticate oltre che di munizioni, mentre i russi devono non solo riempire i magazzini, ma anche far arrivare truppe fresche e addestrate. Due cose non vanno dimenticate: la prima è che al momento la guerra Putin l’ha fatta fare ai mercenari (la Wagner, per intenderci) e ai russi-non-russi, cioè ai soldati di altra etnia: ceceni, daghestani, cosacchi, buriati. Il Presidente ha finora rinviato il momento di mandare al fronte i “suoi” ragazzi russi perché una cosa è che le bare dei soldati uccisi arrivino a Mosca e un’altra è che giungano a Groznij o a in Estremo Oriente. Ma fino a quando potrà rinviare la scelta? La seconda cosa da non sottovalutare è la mancanza di munizioni da entrambe le parti: è anche questa penuria che rende la guerra più lunga. C’è una strozzatura nel mercato perché missili, razzi e altri armi sofisticate vengono costruite dalle aziende come si fa in tempo di pace. Cioè ne vengono realizzate poche, perché non c’è stato un cambio nelle catene di montaggio, non c’è stata, fortunatamente, una mobilitazione generale che abbia reso urgente il compito e redditizio il prodotto. Senza contare che americani e occidentali, ma soprattutto gli americani, non possono svuotare i loro arsenali per riempire quelli ucraini: sarebbe molto imprudente».
Dobbiamo rassegnarci allora: la guerra durerà almeno fino alla prossima primavera?
«Direi di sì, almeno fino alla primavera. Nel senso che solo allora capiremo come si sono messe le cose sul terreno: se non ci sarà un chiaro vincitore e un altrettanto chiaro sconfitto, per la fine del conflitto ci vorrà ancora tempo».
Si è ventilato nelle ultime ore di un incontro diretto Zelesnky-Putin: lei ci crede?
«Francamente no. Zelensky potrebbe anche avere interesse a incontrare Putin, sebbene continui a dire con chiarezza che solo quando i russi saranno usciti dai confini si potrà pensare a un incontro del genere. Ma Putin non mi pare proprio interessato. Non dimentichiamo che ha definito il leader ucraino “pagliaccio nazista”. Difficile che per il momento si possa sorvolare su parole così ingiuriose. Si incontreranno mai? Certo, ma potrebbe accadere solo nel caso di una capitolazione dell’Ucraina. A giudicare però da quello che sta accadendo sul terreno, la cosa non sembra all’ordine del giorno».
E allora ricapitoliamo quello che è avvenuto finora sul terreno: chi ha conquistato cosa?
«La Russia ha conquistato tutto il Donbass e lo ha collegato con la Crimea attraverso Kherson, città a sud-ovest dell’Ucraina. Quindi ora controlla tutta la fascia a est del Paese, spingendosi anche un po’ più a ovest e un po’ più al nord. Ovviamente gli ucraini hanno reagito. È in corso una loro piccola controffensiva in entrambe le direzioni, sia al nord- est, sia verso Kherson, operazione che però non ha cambiato al momento i dati sul terreno. È vero, tuttavia, che la pressione militare più importante sta avvenendo proprio su Kherson e la vicina Zaporizhzhia, sede della centrale nucleare più grande in Europa (si cerca in queste ore un accordo per tenerla fuori dagli attacchi militari). Anche per altri motivi Kherson è importantissima. Nella sua oblast (regione, ndr) c’è un invaso idrico dal quale parte tutta l’acqua destinata alla Crimea. Come si sa, la Crimea non ha invasi propri e dipende per l’acqua in tutto e per tutto, per l’agricoltura, ma anche per la sopravvivenza dei suoi abitanti, da interventi esterni. È un peso enorme per la Russia ed è un altro dei motivi per cui Putin ha bisogno non solo del Donbass, ma di tutta la parte meridionale dell’Ucraina, se vuole per continuare a possedere anche la Crimea».