Ad avere un ruolo chiave nel conflitto russo-ucraino potrebbe essere proprio la Germania. E’ questo uno degli spunti emersi durante la tavola rotonda che si è tenuta presso la Sioi, dove sono intervenuti diversi esperti dei temi geopolitici legati ai Paesi ex sovietici, alla presenza del Presidente della Sioi Franco Frattini e del leader della Lega Nord Matteo Salvini.
La Germania, che non vive un momento d’oro come immagine internazionale dopo le questioni relative ai migranti e soprattutto il caso Volkswagen, è dunque recepita a Mosca come un interlocutore più autorevole dell’Ue e più neutrale degli Stati Uniti. Nonostante Angela Merkel abbia lei stessa promosso e votato le sanzioni commerciali contro la Russia, “sanzioni che però – come ha ricordato il Direttore della rivista di politica internazionale Limes, Lucio Caracciolo – è stata anche la prima ad aggirare, molto di più di quanto abbia fatto l’Italia”.
A intervenire nel dibattito sono stati l’Ambasciatore della Federazione russa in Italia, Sergey Razov – che ha denunciato che “il dialogo non va più di moda, ma il modello deve essere quello positivo dell’accordo sul nucleare in Iran” – accompagnato dal Direttore dell’Ong “Istituto per la Comunità di Stati indipendenti”, Konstantin Zatulin, e dal giornalista Vitaly Tretyakov. Tutti e tre convinti su una linea: l’errore è stata la tentazione di portare l’Ucraina nella Nato, oltretutto troppo prematuramente (nel 2008): “era una linea rossa che non andava valicata, così come con la Georgia”, ha detto Razov.
La linea russa è chiara: l’Ucraina, con i confini stabiliti dall’indipendenza del 1991, non ha senso di esistere. “La soluzione è la transizione a uno Stato di tipo federale, che rimanga quantomeno neutrale rispetto alla Russia, e non ostile come lo è diventato dopo che la rivoluzione arancione prima e piazza Maidan dopo sono state manipolate dagli Stati Uniti, ai quali fa comodo uno Stato così costituito, che impedisca l’egemonia russa nell’area”, sostiene Zatulin. “L’Ucraina si disgregherà entro 20 anni: perché così come è adesso, non è mai esistita”, gli fa eco Tretyakov, sulla cui tesi conviene in parte anche Giancarlo Aragona, Presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale: “E’ un Paese fragile, e la sua fragilità non deriva solo da influenze esterne ma dai molti errori commessi nella fase di ricostruzione post guerra fredda”. Di stesso parere anche Caracciolo di Limes: “Costruire uno Stato ucraino con le frontiere del 1991 era impossibile”.
Da lì nasce una situazione di instabilità che secondo il punto di vista degli opinionisti russi fa il gioco degli Stati Uniti, i quali secondo Zatulin “hanno intimidito i governi ucraini”. “E’ sempre difficile spiegare le cose agli Stati Uniti – ribadisce Tretyakov – perché non vogliono ascoltarle: meglio il dialogo con Germania e Francia”. Il nodo è sempre la Crimea, non solo perché ora, al pari delle aree di Donetsk e Lugansk e al seguito del referendum, è tornata sotto il controllo della Russia, ma ancora prima per motivi storici e strategici: “Non solo in alcune aree dell’Ucraina la popolazione è filorussa, ma in casi come la Crimea sono proprio ex cittadini russi, che dopo l’indipendenza del 1991 si sono ritrovati in un altro Paese”.
Il seme della discordia è stato piantato nel 1954 dall’allora leader dell’Urss Nikita Krusciov, che decise, “senza dire niente a nessuno, di assegnare la Crimea all’Ucraina. Fino al 1991 questo non poneva problemi, ma dopo sì. Eppure nonostante questo la Russia non ha mai avanzato pretese a Kiev in quegli anni, anzi è stato un periodo di grande collaborazione economica, in particolare con la fornitura di gas all’Ucraina a prezzi vantaggiosissimi. Ma ci saremmo aspettati quantomeno un atteggiamento neutrale di fronte alle pressioni dell’Occidente per entrare nella Nato”, sostiene Zatulin. “In Crimea – aggiunge il giornalista Tretyakov – ci sono tuttora cittadini che si sentono al 100% russi, tanto che tutte le decine di volte che ci sono stato negli ultimi 30 anni, la gente chiedeva: ‘Ma quando ci riportate a casa?’. La verità è che Mosca ha sì commesso un atto di forza in Crimea, ma quella regione non avrebbe mai rinunciato all’indipendenza”.
Il nodo è ben presto diventata l’ingerenza dell’Occidente e degli Stati Uniti, proprio negli anni dell’ascesa di Vladimir Putin, che tutto voleva tranne che una Russia con un ruolo da comprimaria. E per questo la Crimea era più che strategica: “Sebastopoli – spiega ancora Zatulin – è uno dei più importanti porti del Mar Nero ed è stato fondato dai russi. La sua storia e la sua flotta ci appartengono”. Nessun esponente ucraino o dell’Unione europea è seduto al tavolo della Sioi, ma un interlocutore autorevole sarebbe individuato nella Germania: “Berlino ha cambiato posizione – spiega Tretyakov -: ha capito che la politica dell’Occidente in Ucraina è senza prospettiva per l’Ucraina stessa, la porterà ad essere annientata da tutte queste divisioni. I politici ucraini hanno per anni fatto il doppio gioco: penso in particolare a Yanukovich, che diceva di amare la Russia, non parlava neanche la lingua ucraina, e poi andava a Bruxelles a lamentarsi di Mosca e magari anche degli Usa, per poi andare a Washington a denigrare l’Ue”.
Quali soluzioni dunque? Secondo alcuni, nessuna. “La crisi ucraina – sostiene Caracciolo di Limes – è una crisi della categoria di quelle senza soluzione: può essere gestita, controllata, ma non risolta. L’Italia però avrebbe tutto l’interesse a non seguire troppo la linea Nato nel lasciar correre l’instabilità attuale: si sta creando un pericoloso asse di instabilità dall’Adriatico al Mar Nero e poi anche in gran parte del Mediterraneo, dal Medio Oriente al Nordafrica; è un’area con la quale l’Italia confina e ha rapporti storici, per cui dovrebbe auspicare un rapido ritorno alla stabilità politica ed economica”.
Il ruolo dell’Italia è stato più volte evocato anche ricordando il vertice di Pratica di Mare, promosso nel 2002 dall’allora premier Silvio Berlusconi e indicato da alcuni intervenuti come punto di ripartenza per la soluzione delle tensioni Usa-Russia e del conflitto ucraino. “Certo bisogna andare oltre gli accordi di Minsk – spiega Aragona, che a Pratica di Mare era presente – ma senza ripetere quello che alla fine fu sostanzialmente un grande equivoco: in quel summit la Russia di Putin si aspettava che l’invito sarebbe stato un primo passo per entrare nel sistema di sicurezza della Nato. Ma non era affatto quella l’intenzione degli Usa, che però ebbero la presunzione di dare per scontato che Mosca avrebbe accettato una posizione sussidiaria, cadetta. E tutto questo proprio all’inizio dell’ascesa di Putin”.