Il PIL russo è tornato a crescere nel 2017 (+1,5%) dopo due anni di contrazione e la ripresa è destinata a continuare nel corso del biennio 2018-2019, grazie principalmente al rimbalzo dei prezzi del petrolio e all’aumento della domanda interna. Tuttavia, continuano a pesare le debolezze strutturali e l’impatto negativo delle sanzioni su produttività e investimenti. I principali rischi al ribasso a breve termine per le prospettive di crescita sono rappresentati dalla volatilità dei tassi di cambio e l’aumento dell’inflazione come conseguenza delle tensioni geopolitiche: ad agosto gli USA hanno imposto ulteriori sanzioni, incluso il divieto di esportare in Russia beni e tecnologie sensibili alla sicurezza, mentre a breve si profilano ulteriori misure restrittive in ottica commerciale. Atradius prevede la crescita dei consumi privati attestarsi su livelli robusti nei prossimi mesi, spinta dalla maggiore fiducia dei consumatori e da un più basso tasso di inflazione in grado di accrescere il reddito reale disponibile. La Russia ha visto un costante calo dell’inflazione sui prezzi al consumo dalla fine del 2015, permettendo alla Banca Centrale di tagliare più volte il tasso core al 7,25%. Un ulteriore allentamento monetario a sostegno della crescita è previsto a medio termine. Nonostante ciò, per quest’anno si prevede una crescita reale degli investimenti fissi ancora contenuta a causa dell’elevato livello di rischio percepito, delle inefficienze burocratiche e del debole contesto istituzionale.
Dallo scorso anno il settore bancario russo ha iniziato una lenta ripresa, tuttavia il lancio di nuove sanzioni dirette principalmente contro gli oligarchi russi, le loro società e la capacità di fare business minaccia di inibire la ripresa, generando incertezza e minori investimenti. Ecco allora che le misure restrittive varate da UE e USA potrebbero avere un impatto molto significativo a medio e lungo termine sulla capacità di rifinanziamento delle principali società e banche nazionali. In questo scenario la Banca Centrale consente al rublo di fluttuare, da un lato deprezzandosi e generando inflazione, ma allo stesso tempo agendo anche come ammortizzatore per il conto delle partite correnti, previsto rimanere in attivo nel biennio 2018-2019.
Va inoltre considerato che la politica economica russa durante la precedente recessione è stata piuttosto prudente: nonostante il debito pubblico di circa il 12% del PIL e la pressione dei bassi prezzi del petrolio sul bilancio, il disavanzo pubblico è stato mantenuto entro margini accettabili. Ecco allora che, al fine di sostenere una maggiore spesa sociale nei prossimi anni, il governo prevede di aumentare l’imposta sul valore aggiunto dal 18% al 20% a partire dal gennaio 2019 e ha già innalzato l’età pensionabile. L’esecutivo ha confermato l’obiettivo di pareggio del bilancio entro il 2020, utilizzando un prezzo fisso del petrolio di 40 dollari al barile: eventuali entrate extra generate da un prezzo del petrolio più elevato potranno essere utilizzate per intervenire nel mercato valutario e per generare ulteriori riserve valutarie, per poter così allentare la dipendenza dai prestiti internazionali e perseguire una politica economica più indipendente.
Nonostante il continuo rimbalzo economico, secondo gli analisti le prospettive a lungo termine di tassi di crescita più elevati e sostenibili rimangono contenute, dal momento che le debolezze strutturali e l’impatto negativo delle sanzioni su produttività e investimenti continueranno a pesare sulla crescita. Il clima imprenditoriale russo è ancora fermo in materia di diritti di proprietà, infrastrutture deboli e mancanza di concorrenza nei mercati. Le autorità sembrano non essere ancora riuscite a cogliere l’opportunità di rafforzare la struttura economica del Paese e migliorare in questo modo il comparto non idrocarburi investendo in altri settori per diversificare l’economia dal settore dominante. Esiste un deterrente di fondo per gli investimenti, assolutamente necessario per modernizzare il settore energetico e aiutare a diversificare l’economia: ancor prima dello scoppio della crisi ucraina, il livello degli investimenti era troppo basso e gli IDE erano troppo limitati a causa di un clima economico ostile e del controllo statale su vaste aree dell’economia. Ed è proprio questa debolezza il bersaglio delle ultime sanzioni internazionali imposte da UE e USA che mirano a impedire i trasferimenti di tecnologia e il finanziamento alle imprese russe, in particolare in settori critici come energia e armamenti.