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Russia e Cina contro Usa ed Europa, ma è vera guerra fredda?

Pexels da Pixabay

Quando non sappiamo leggere la realtà è facile che ci rivolgiamo a concetti che ci sono familiari e la lingua della politica internazionale è forse il luogo in cui più facilmente di altri si usano sempre le stesse categorie.  Prendiamo “guerra fredda”. E’ tornata di moda nelle ultime settimane,  e non a caso sono stati proprio i protagonisti della “vera” guerra fredda, quella che iniziò nel 1947 fra Usa e Urss e finì nel 1991, con l’implosione di questa ultima,  a rilanciare il termine. I russi nello specifico.  

Lo ha fatto il ministro degli esteri Lavrov  durante una conferenza stampa in seguito all’incontro con il suo omologo cinese Wang Yi,  incontro avvenuto dopo giorni  duri  per entrambi, cominciati con Biden che aveva dato dell’”assassino” a Putin per  la prigionia del dissidente Navalnyi;  e conclusi con le sanzioni alla Cina per la persecuzione degli uiguri, l’etnia turcofona e musulmana  dello Xinjiang. L’unico  scopo dell’incontro con la stampa di Lavrov era quello di mostrare agli Usa e agli occidentali  che la Russia non è sola: se Washington faceva squillare le trombe per richiamare gli alleati occidentali, Mosca avrebbe suonato le campane per  mobilitare il potente (non) amico orientale. “Gli Stati Uniti stanno cercando di affidarsi alle alleanze politico-militari della guerra fredda per cercare di distruggere l’architettura legale internazionale”, aveva detto  Lavrov.  Sottinteso,  il campo dei nemici è sempre lo stesso:  Europei e Americani  da una parte e Russi e Cinesi dall’altra. Ergo, il vecchio termine “guerra fredda”,  torna di moda.  

Ma è così? Siano di fronte alla riproposizione dei vecchi schieramenti? 

Da un certo di punta di vista è vero: da una parte ci sono sempre Stati democratici e liberali, Europa e Usa; e dall’altra parte regimi  che si chiamano ancora comunisti come la Cina, insieme con gli eredi di quelli che lo erano una volta, la Russia.  

Ma questo è puro teatro, fumo per le opinioni pubbliche e titoli per i giornali. Nonché il tentativo della parte più fragile in questo momento (la Russia) di accompagnarsi al compagno più grosso (la Cina).

Ma Cina e Russia non hanno niente a che vedere fra di loro. Entrambe sono sicuramente simili per  quel che riguarda l’astio verso le nostre regole della democrazia politica, ma sono del tutto diverse l’una dall’altra per quel che riguarda il rispetto della libertà personale dei singoli cittadini. Per semplificare: i russi e i cinesi non sanno che farsene dei partiti politici, non ne hanno abitudine né coscienza; ma mentre i cinesi si annullano (grazie alla loro millenaria cultura) nel bene collettivo, i russi, dopo aver sperimentato con 70 anni di comunismo questo modo di vivere, lo hanno rigettato riscoprendosi come individui singoli che trovano la forza di esistere solo per se stessi.  Ecco come sono riusciti a uscire dall’implosione dell’impero sovietico, tornando a essere un Paese stimato (e ancora temuto), dopo aver toccato il fondo della miseria e dell’umiliazione. Per risalire hanno scavato dentro se stessi ritrovando Raskolnikov, il principe Myshkyn, il generale Kutuzov, i russi insomma hanno delegato (per ora) la politica, ma non il resto della vita. 

Ed è per questo che la “strana” alleanza fra Russia e Cina è effimera, valida solo fino a quando Mosca avrà paura di essere nell’angolo.  E guardando al futuro prossimo,  sarebbe  un errore enorme da parte dell’Occidente se dimenticasse che la Russia è dentro la culla dei suoi valori, a cominciare  da quelli cristiani. La Russia  è “uno di noi”, avrebbero detto in un film.  La Cina è invece “l’altro”, con tutta la stima per essa e per  “qualunque altro” sul pianeta.  

E poi c’è un’altra cosa, la più importante forse.    

I Paesi  principali, gli Usa e gli alleati europei, la Russia,  e oggi la Cina, sono del tutto differenti rispetto non solo al 1947, ma perfino in confronto al 1989 e agli anni successivi.  Troppi sono i legami, non solo economici, ma soprattutto economici,  che stringono ciascun Paese all’altro.  Lo ha detto con chiarezza Merkel  rispondendo da Berlino a Biden che aveva chiesto attraverso i suoi uomini, il segretario di Stato  Blinken prima,  e il capo della Nato Stoltenberg  poi, di bloccare la costruzione del gasdotto Nord Stream  2 fra la Russia e la Germania: “Con gli Usa ci sono molte cose in comune, ma non c’è un’identità di vedute”.  E se non fosse chiaro ha ribadito che in Europa “abbiamo anche i nostri interessi”.   

 E  quando si parla di interessi si intende intanto il volume dell’interscambio commerciale:  fra Russia e Ue esso è pari a 240 miliardi all’anno, a fronte dei 25 fra Russia e Usa.  Con la Cina il peso si equivale: parliamo di 645 miliardi fra Ue e Pechino,  625 fra americani e cinesi. Facciamo finta che non esistano?

Senza contare la fisionomia differente dall’epoca della guerra fredda dei grandi Paesi in questione e dei loro alleati. 

Prendiamo le forze armate per esempio.  Usando lo stesso metodo che l’ha fatta diventare la più grande fabbrica del mondo, cioè copiando, la Cina è oggi una grande potenza navale, forse la più grande del pianeta.  Ha comprato le vecchie navi dei Paesi dell’ex Urss in disarmo, dall’Ucraina soprattutto,  e le ha utilizzate come modello per costruirne delle proprie. E così è stato calcolato che nel 2024 essa possiederà almeno 400 mezzi navali contro i 355 degli americani.  Insomma in soli due decenni  la forza militare della marina cinese si è più che triplicata, secondo un rapporto del dicembre scorso citato dalla Cnn e redatto dai responsabili della Marina americana. Anche se i cinesi continuano però a spendere un quarto  degli americani per la Difesa: secondo quanto riporta l’istituto internazionale per la Pace di Stoccolma, Sipri, questa spesa rappresenta più o meno il 13% del prodotto lordo, mentre gli americani ne destinano il 35%, di gran lunga superiore alla somma di quello di tutti gli alleati messi insieme (per la cronaca, dopo Usa e Cina vengono Arabia Saudita, India e Russia, con più meno una spesa pari al 4% del loro Pil).  

Quanto alla Russia, gli osservatori  indipendenti che hanno partecipato alle ultime esercitazioni nel Caucaso (Kavkaz- 20, nel dicembre scorso) sostengono che la sua forza militare è assolutamente potentissima per quanto riguarda le forze di terra (operazioni di corazzate e di fanteria pesante, sistemi di difesa missilistica, numero di soldati pronto a intervenire ovunque nel giro di due settimane) ma che il suo punto più forte sia l’uso dei cosiddetti “sciami di droni”, cioè gruppi di droni dispiegati a supporto dell’artiglieria. Sistema efficace dispiegato con successo in Ucraina (Crimea e dintorni)  e in Siria (attacco all’Isis): entrambe vittorie per i russi. 

E l’Europa? La difesa dell’Europa è demandata, secondo il Trattato di Lisbona, a ciascun membro: uno per 27, 27 per uno, per parafrasare i moschettieri.  Approvato nel 2007, questo Trattato amplia le possibilità di quello di Maastricht del 1992, chiamando appunto gli Stati membri a intervenire con tutti i loro mezzi qualora uno o più Stati venissero attaccati da entità extra UE. È questo il vero pilastro della difesa comune UE, una novità rispetto al passato che, tuttavia, non vuol dire che non ci serviamo più dell’ombrello delle forze della Nato, solo che cerchiamo di collaborare con esse in maniera autonoma e, forse, pretendendo  anche più  rispetto. 

Questo per parlare di quello che nessuno Stato ama mettere in primo piano perché, a parole, le armi e tutto quello che cresce attorno ad esse, è roba “brutta sporca e cattiva” che si lascia volentieri ai militari e a quanti se ne devono occupare per mestiere.  Pur restando questo tema lo sfondo di ogni altra discussione, sia essa economia, sociale o come, e adesso, sanitaria. Un Commendatore silenzioso e potente. 

In conclusione, siamo tornati o no alla guerra fredda? 

La verità è che come ha sostenuto Alec Ross, esperto di politiche tecnologiche di Obama e prof all’Alma Mater di Bologna,  con un bel gioco di parole,  se un fronte si è aperto non è quello della “Cold War”, ma di una “Code War”, non di una guerra fredda, ma di una guerra dei codici informatici. E se il mondo resterà a questo proposito multipolare, rispetto alla contrapposizione Usa-Urss, sicuramente Stati Uniti e Cina saranno i principali contendenti. Una guerra nuova  – sostiene Ross –  non regolata da trattati, combattuta a colpi di cyber attacchi, con un livello magari  basso di conflitto, ma costante. Russia, Usa, Cina, Israele, Iran e Arabia Saudita sono già i Paesi più coinvolti.  Cosicché, siamo d’accordo con Ross, non è distopico pensare  che nel giro di pochi anni si potranno vedere persone morire in risposta non a un colpo di cannone, ma a un click su una tastiera. 

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