Secondo quanto riferisce un recente report della Direzione Studi e Ricerche Intese Sanpaolo, nei primi nove mesi del 2017 l’economia russa ha registrato un tasso di crescita in termini reali dell’1,6%, rispetto ad una contrazione dello 0,4% nello stesso periodo dell’anno precedente. Dal lato dell’offerta, la spinta è arrivata principalmente dal recupero di alcuni servizi (come le vendite al dettaglio, +0,5%) e dalla crescita ancora sostenuta di minerario (+2,8%, con l’estrazione media giornaliera di petrolio salita a 10,6 mln/bl, +1,8%) e servizi di pubblica utilità. La produzione manifatturiera ha registrato una dinamica solo leggermente superiore a quella del periodo precedente (+0,9%), mentre la produzione agricola ha frenato sensibilmente (+1,4%) e le costruzioni hanno visto un nuovo sostanziale calo (-2,3%).
Gli stessi indicatori suggeriscono come nell’ultimo trimestre 2017 la dinamica tendenziale del PIL abbia probabilmente frenato attorno all’1%, a causa principalmente della caduta della produzione manifatturiera (-2,4% nel bimestre ottobre/novembre), di quella agricola (-0,6%) e dell’estrazione di petrolio (-2% ad ottobre) mentre le vendite al dettaglio hanno accelerato (+2,8%), grazie alla crescita dei salari reali (+5,4% a novembre) determinata anche dalla frenata dell’inflazione.
Ecco allora che la crescita del PIL nell’intero 2017 si attesta attorno all’1,5%, da -0,2% nell’anno precedente. Per quanto riguarda la domanda, da gennaio a settembre 2017 si è registrato un significativo recupero dei consumi delle famiglie e degli investimenti (rispettivamente +4,1% e +4,2%, con gli investimenti spinti soprattutto dalle opere pubbliche), mentre il commercio estero ha ampiamente sottratto al PIL a seguito del balzo delle importazioni (+17,8%). In questo contesto, la discesa del costo del denaro e la bassa inflazione offrono un sostegno sia ai consumi che agli investimenti, senza dimenticare che ci si attende la domanda interna beneficiare dell’appuntamento dei Mondiali di Calcio, sia in termini di opere pubbliche da completare che di flussi turistici.
La forte crescita delle importazioni di macchinari e impianti nel 2017 ha visto offrire una spinta alla produttività del settore manifatturiero. D’altra parte, sulle prospettive di medio periodo dell’economia continuano a pesare le sanzioni introdotte a fine 2014 per la politica nei confronti dell’Ucraina, che impediscono il trasferimento di tecnologia utile allo sfruttamento di vaste riserve di idrocarburi e limitano l’accesso al mercato internazionale dei capitali alle società russe. Il Congresso USA ha approvato lo scorso agosto nuove sanzioni che colpiscono soprattutto settore energetico (investimenti nei gasdotti) e finanza (investimenti in società da privatizzare e finanziamenti ad entità governative). Allo stesso tempo, la Russia ha aderito ai tagli dei Paesi OPEC finalizzati a sostenere il prezzo del petrolio, che comporteranno una riduzione del petrolio estratto di circa 300.000 barili al giorno nel 2018 (-2,5% rispetto al 2017). Ecco allora che l’impatto negativo delle sanzioni sulla crescita potrebbe tuttavia essere bilanciato da quotazioni del petrolio più alte di quanto previsto.
Nello scenario di base della Banca Centrale, con il prezzo medio del petrolio qualità Ural a 55 dollari al barile nel 2018 (in live rialzo rispetto a 53 dollari nel 2017), la crescita del PIL è prevista in un intervallo compreso tra +1,5% e +2%. La stessa Banca Centrale prevede il prezzo medio del petrolio scendere a 45 dollari nel 2019 con un conseguente nuovo rallentamento della dinamica del PIL (in un intervallo compreso tra 1% e 1,5%), mentre in uno scenario alternativo di ulteriore accelerazione della quotazione del greggio (a 58 nel 2019 e a 60 nel 2020) l’intervallo di crescita si alzerebbe di mezzo punto percentuale (a 1,5%-2%).
Nel 2017 il tasso tendenziale d’inflazione ha chiuso al 2,5%, dal 5,4% di fine 2016, ben al di sotto del 4% obiettivo della Banca Centrale, così come è previsto per gran parte del 2018, avvicinandosi al 4% solo a fine anno. Anche la discesa dei tassi d’interesse è andata al di là delle previsioni iniziali, con il tasso di riferimento pari al 7,75% a fine 2017 rispetto al 10% dell’anno precedente. Nuovi tagli sono attesi nella prima metà del 2018, laddove l’Autorità Monetaria vede il tasso di riferimento in un intervallo compreso tra il 6% ed il 7% nell’orizzonte di un anno. Il rapporto di cambio RUB/USD si è portato a 57,5 a fine 2017 con un apprezzamento del 5,7% rispetto alla quotazione di fine 2016 e gli analisti prevedono il mantenimento dei livelli attuali nel breve/medio periodo.
Secondo stime preliminari del Ministro delle Finanze, nel 2017 il deficit pubblico in rapporto al PIL si è collocato all’1,7% del PIL rispetto ad un obiettivo iniziale del 3,6%, laddove i conti pubblici hanno beneficiato dei maggiori proventi da idrocarburi. Il debito pubblico della Russia in rapporto al PIL resta contenuto (17,4% nel 2017 da 15,6% nel 2016), mentre lo scorso novembre le riserve valutarie ammontavano a 346 miliardi di dollari, da 308 mld a fine 2016. Le riserve superano il fabbisogno finanziario esterno stimato pari a 99 mld (reserve cover ratio 3,5) e, grazie all’aumento del PIL in valuta, il rapporto debito estero/PIL è sceso al 34%, dal 41% nel 2016. Secondo stime del FMI e della Banca Centrale, il surplus corrente in rapporto al PIL si è portato al 2,8% nel 2017, dal 2% nel 2016: nell’ipotesi di un ulteriore contenuto aumento del prezzo del petrolio, il surplus corrente è previsto salire al 3,2% del PIL nel 2018. Ecco allora che, dopo aver tagliato ripetutamente la loro valutazione del debito sovrano in valuta della Russia tra il 2015 ed il 2016, nell’ultimo anno le maggiori agenzie hanno espresso giudizi migliorativi sul Paese: sia S&P che Fitch hanno un outlook positivo, mentre Moody’s ha portato l’outlook da negativo a stabile.