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R&S-Mediobanca: le pagelle del primo semestre 2011 delle maggiori banche europee

Qual è il vero stato di salute delle maggiori banche italiane ed europee? R&S-Mediobanca ha provato a rispondere all’interrogativo che oggi più che mai domina i mercati finanziari analizzando le situazioni semestrali a fine giugno 2011 di 20 banche europee: i 18 maggiori istituti per totale attivo e i due maggiori gruppi italiani (per l’elenco si veda la Tabella 2). Si tratta di un parziale aggiornamento, che sconta il minore livello informativo dei rendiconti infrannuali, dell’indagine sulle maggiori banche internazionali pubblicata lo scorso giugno dalla stessa R&S-Mediobanca (www.mbres.it) ma non per questo meno rilevante. Il panel considerato da R&S-mediobancaè costituito da quattro banche inglesi, tre francesi, tre del Benelux (due olandesi ed una belga), due ciascuno per Germania, Italia, Spagna e Svizzera, un istituto danese ed uno scandinavo. Tutti i valori non in euro sono stati convertiti in euro utilizzando i cambi a fine giugno 2011. Per gli istituti che hanno provveduto alla loro diffusione entro il 4 novembre 2011 sono riportati alcuni dati economici al 30 settembre 2011 (anch’essi convertiti in euro ai tassi di cambio del 30 giugno 2011). Ecco che cosa emerge dall’analisi di R&S-mediobanca.

Il bilancio aggregato: risultati economici e situazione patrimoniale

Nei primi 6 mesi del 2011 (Tab. 1) i principali gruppi bancari europei hanno segnato un utile aggregato in calo di 10,6 miliardi di euro (-25,5%) sul primo semestre del 2010, nonostante la tenuta dei margini fino al risultato corrente (+2,8 miliardi, in rialzo del 4,8% sul 2010). A fronte di ricavi in lieve flessione (-0,5%), frutto della stabilità del margine d’interesse (-0,3%) e dell’andamento contrastante del risultato dell’attività di trading (-5,5 mld. di euro, -14,2%) e delle commissioni nette (+4,6 miliardi, +5,9%), i costi operativi e le perdite su crediti hanno proseguito il trend già evidente nei conti annuali. I primi si sono incrementati di 5 miliardi (+3,4%), toccando il 60,8% (cost/income ratio) del margine di intermediazione, mentre le seconde sono diminuite di 9 miliardi portandosi a 35 miliardi di euro (-20,4%), pari al 14,2% dei ricavi totali, l’incidenza più bassa dal 2009 (quando erano il 27,2% dei ricavi). Il saldo delle voci straordinarie è passato in negativo calando di circa 16 miliardi di euro, influenzato non solo dalla svalutazione dei titoli di stato greci (4,5 miliardi), ma anche dagli effetti della sentenza della Suprema Corte inglese che ha imposto a tre istituti di stanziare accantonamenti straordinari per circa 5,3 miliardi di euro (si tratta di Lloyds per 3,5 miliardi e Barclays per 1,1 miliardi di euro e della spagnola Santander per 620 milioni), a fronte di contenziosi avviati dalla clientela. Infine, Dexia ha intrapreso un processo di ristrutturazione volto alla dismissione di parte delle proprie attività finanziarie cedendo titoli in portafoglio (principalmente garantiti dallo Stato francese e belga) per nominali 8,8 miliardi di USD che hanno generato una perdita di 1,9 miliardi di euro. La banca belga ha inoltre trasferito attivi per 17,6 miliardi di euro (composti principalmente da Abs-Asset backed securities e Mbs-Mortgage backed securities) tra le attività in via di dismissione, con l’iscrizione di ulteriori oneri per 1,7 miliardi derivanti da allineamenti del fair value al presumibile valore di realizzo. Nell’ottobre 2011 Dexia, a fronte dell’ulteriore aggravarsi della propria situazione, ha ceduto allo Stato belga il 100% di Dexia Bank Belgium e ha avuto accesso ad un fondo di garanzia per complessivi 90 miliardi di euro finanziato dagli Stati belga, francese e lussemburghese.

La prima metà del 2011 ha portato una decisa progressione dei ricavi (+11%), del risultato corrente (+91%) e dell’utile netto (+28%) rispetto al secondo semestre del 2010 che, a sua volta, aveva segnato significative flessioni rispetto alla prima parte del 2010 (ricavi -10%, risultato corrente -45%, risultato netto -42%).

Al 30 giugno 2011 a livello patrimoniale sono emersi rispetto a fine dicembre 2010:

• La riduzione del volume dell’attivo (-0,8%) attestatosi a 22.048 miliardi; si tratta comunque di un livello ancora superiore di circa 460 miliardi (+2,1%) a quello in essere a fine 2009 (21.591 miliardi di euro);

• L’incremento del 10,5% delle disponibilità liquide (+50 miliardi a 609 miliardi di euro);

• La tenuta degli impieghi alla clientela (+0,4%) e lo speculare incremento della raccolta verso clientela (0,8%);

• La crescita dello 0,5% dei titoli azionari ed obbligazionari in portafoglio (+23 miliardi a 4.954 miliardi di euro); le Tabb. 5 e 6 dettagliano l’esposizione delle società del panel verso i titoli di stato emessi da alcuni Paesi in difficoltà finanziaria (i c.d. “GIIPS” o “PIIGS”). Si tratta di circa 341 miliardi di euro, pari al 7% dei titoli complessivamente detenuti dai 20 istituti; si stima che l’85% di tale portafoglio sia valutato al fair value (di cui il 68% con effetto sul netto patrimoniale e il 17% sul conto economico);

• Lo stallo degli impieghi v/banche (-0,2%) e della raccolta interbancaria (-0,6%); quest’ultima continua a prevalere sui crediti v/banche, anche se con uno scarto dimezzato rispetto ai livelli di fine dicembre 2009 quando il saldo aggregato ammontava a circa 620 miliardi di euro (371 miliardi a fine giugno 2011);

• La crescita dei mezzi propri (+10 miliardi di euro, +1% rispetto a dicembre 2010); escludendo gli interessi di terzi, l’incremento è più marcato e pari a 14 miliardi. Si segnalano l’aumento di capitale realizzato sul mercato dalla tedesca Commerzbank per 11,6 miliardi di euro che le ha consentito di rimborsare anticipatamente allo Stato tedesco 14,5 miliardi di euro rivenienti dai finanziamenti concessi dal fondo di stabilizzazione SoFFin sotto forma di partecipazione “silente” (senza diritto di voto) iscritta in una riserva di patrimonio netto. Anche l’olandese ING ha parzialmente ridotto la partecipazione pubblica “silente” al proprio capitale rimborsandone 2 miliardi e corrispondendo un “premio” di 1 miliardo allo Stato olandese. Infine, Intesa Sanpaolo e Danske Bank hanno concluso nel semestre aumenti di capitale rispettivamente, per 4.940 e 2.650 milioni di euro. Oltre ai 19,2 miliardi di mezzi freschi raccolti complessivamente dai 3 istituti, hanno contribuito alla variazione dei mezzi propri l’incremento delle riserve di valutazione per 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardi relativi alla sola Royal Bank of Scotland), la distribuzione di dividendi per complessivi 12 miliardi (le principali distribuzioni: BNP 2,5 miliardi, HSBC 1,8 miliardi, Credit Suisse 1,4 miliardi, Nordea 1,2 miliardi, Santander 1,2 miliardi e
Intesa Sanpaolo 1 miliardo) e differenze cambio negative per 11,4 miliardi (Tab. 14);

• La riduzione della leva da 37,2x a fine 2007 a 27,6x a giugno 2011, dopo avere toccato 46,4x nel 2008; i valori per istituto appaiono ampiamente dispersi (Tab. 15). Il picco del 2008 è dipeso dalla diminuzione del patrimonio netto tangibile (575 miliardi contro i 639 di fine 2007), eroso principalmente dal peggioramento delle riserve di valutazione del patrimonio netto a seguito della caduta generalizzata delle quotazioni nei principali mercati finanziari.

I primi sei mesi del 2011 dei singoli istituti bancari

I 20 principali istituti bancari europei (Tab. 2) hanno chiuso il primo semestre 2011 con un risultato netto aggregato in calo del 25,5%; l’incidenza sui ricavi è scesa dal 16,7% al 12,5%. Rispetto alla prima metà del 2010, segnata dal ritorno all’utile di tutte le società del panel, 3 istituti (Lloyds, Royal Bank of Scotland e Dexia) hanno riportato una perdita netta mentre, nonostante il peggioramento del saldo delle voci straordinarie, per 9 gruppi su 20 il risultato netto è stato in miglioramento. Il margine di interesse rappresenta la principale voce di ricavo per gli istituti del panel, con un’incidenza media sul margine di intermediazione del 53%.

Fanno eccezione i due istituti svizzeri, i cui ricavi sono costituiti per la maggior parte da commissioni nette e altri ricavi (pari al 53-54% del margine di intermediazione), le inglesi Barclays (41% il margine di interesse) e RBS (48%), la francese Société Générale (47%) e la tedesca Deutsche Bank (46,5%). I due gruppi italiani ricevono un modesto apporto dai proventi delle attività di trading che è sempre inferiore al 3% (per Unicredit addirittura negativo nel primo semestre del 2010, unico caso del panel).

In un contesto di forte riduzione delle perdite su crediti (-20,4% per l’aggregato), Deutsche Bank è il solo istituto ad incrementarle rispetto al primo semestre 2010 (+65%), a seguito dell’acquisizione di Deutsche Postbank. Le diminuzioni più importanti sono quelle di Dexia e Commerzbank (-54% ciascuna), anche se per entrambi gli istituti si tratta di incidenze sui ricavi particolarmente contenute (7,6% e 4,5%). Il peso delle svalutazioni dei crediti sui ricavi totali (pari, in media, al 14,2% nel primo semestre 2011, contro il 27,2% del 2009) risulta molto difforme tra i singoli istituti. Le maggiori incidenze sono riferite a quelli di Regno Unito (22%) e Spagna (21,1%), con picchi del 41% e 31% per Lloyds e RBS, concorrendo alla perdita netta nei loro conti (rispettivamente 2,6 e 1,6 mld. di euro). Assai modesta l’incidenza per le banche svizzere, che segnano valori di fatto nulli, coerentemente con la propria prevalente natura di banca d’affari. Per i due gruppi italiani le perdite su crediti sono sopra la media del panel e assorbono complessivamente il 18% dei ricavi totali (20% per Unicredit e 15% per Intesa Sanpaolo), contribuendo a deprimerne la redditività. Il peso del risultato netto sui ricavi dei due istituti italiani risulta lontano dai migliori player del panel, Nordea con il 29,6%, ING Group con il 29,2% HSBC con il 25,2% e Rabobank con il 24,6%, anche se la redditività di Intesa Sanpaolo è sempre al disopra del valore medio europeo in ciascun periodo analizzato (16,2% nel primo semestre 2011 contro una media del 12,5%).

Il cost/income ratio degli istituti domestici è appena superiore al valore di riferimento del panel (61,4% contro 60,8%); le banche spagnole presentano il miglior rapporto (48,5%), seguite con buon distacco dagli istituti del Benelux (56%, merito delle banche olandesi, poiché Dexia ha segnato il 71,3%). I valori più alti si riferiscono agli istituti tedeschi con il 68,8%, media tra il livello relativamente contenuto di Commerzbank (60,5%) e quello elevato di Deutsche Bank (71,9%), la quale approssima i livelli in assoluto più alti delle banche svizzere la cui media è del 77,2% (giustificata dagli elevati costi del personale).

I due principali gruppi bancari italiani segnano modesti livelli di roe (Tab. 3), tra 2009 e 2011 sistematicamente più bassi rispetto alla media europea (4,5% contro il 6,5% nel primo semestre 2011; 3,5% contro 7,3% nel 2010; 4,2% contro 5,7% nel 2009). Nel 2009 e 2010 Intesa Sanpaolo ha segnato una redditività doppia rispetto a quella di Unicredit, anche se per quest’ultima il roe del primo semestre 2011 è raddoppiato, su base annua, rispetto a fine 2010, toccando il 4,2% (4,9% quello di Intesa Sanpaolo). Fanno peggio degli italiani solo i principali istituti inglesi (roe al 2,6%) e dei Paesi Bassi (1,6%), zavorrati però dalle perdite nette di Lloyds (2.6 mld.), RBS (1,6 mld.) e Dexia (quasi 4 mld.). Storicamente molto elevati i roe raggiunti dagli istituiti spagnoli (15,5% nel 2009; 13% nel 2010 e 11,3% nel primo semestre 2011). Si segnala che nel settembre 2011 UBS ha subito perdite straordinarie per circa 2,3 miliardi di USD originate da operazioni di trading compiute in modo fraudolento da un proprio dipendente.

I crediti dubbi

Vista l’importante contrazione delle perdite su crediti, è utile valutarne l’andamento rispetto alla dinamica dei crediti deteriorati iscritti a stato patrimoniale (Tab. 4). A fine giugno 2011 i crediti dubbi lordi aggregati sono aumentati dello 0,4% sul dicembre 2010, portandosi a 476,3 mld. di euro, ma il loro rialzo sarebbe stato superiore (+2,2%) al netto dell’operazione che ha interessato l’inglese Barclays: nell’ultimo semestre, dopo averne acquisito le quote di controllo, l’istituto inglese ha consolidato la Protium (un veicolo per la gestione di attivi problematici), rettificando quindi una posizione dubbia verso di essa per 7,6 miliardi di GBP.

L’istituto inglese ha potuto così segnare una contrazione dei crediti dubbi, in buona parte elisi nel consolidamento, del 14,5%, per complessivi 4,4 mld. di euro. Per contro, gli incrementi più rilevanti in termini percentuali sono quelli di Deutsche Bank (+23,2%), che ha ereditato 1,7 miliardi di euro di crediti dubbi con l’acquisizione di Deutsche Postbank, e RBS (+9,2%) mentre la belga Dexia (-41,9%) e le svizzere UBS (-17,7%) e Credit Suisse (-11,8%) sono in forte controtendenza. L’istituto belga ha ridotto di circa 2,3 mld. lo stock dei crediti dubbi lordi netti, per effetto delle cessioni realizzate. La consistenza degli accantonamenti a copertura dei crediti dubbi è in rialzo dell’1,1% per il panel, portando ad una diminuzione dello 0,3% dei crediti dubbi netti. Non considerando l’operazione di Barclays, quest’ultimi risulterebbero in aumento del 3,6%. Il tasso di copertura dei crediti dubbi (rapporto tra i fondi rettificativi cumulati e crediti dubbi lordi) è stazionario attorno al 54%, con i valori dei due gruppi italiani allineati alla media (52,4% Intesa Sanpaolo, 51,7% Unicredit). Paiono più severe le politiche di valutazione del credito di BNP Paribas (82% gli accantonamenti sui crediti lordi), Santander (69%) e Crédit Agricole (64%), che portano la Francia ad essere il Paese con il tasso di copertura complessivamente più elevato (71,4%), seguita dalla Spagna (65,9). Anche le incidenze medie delle partite deteriorate sui crediti alla clientela e sul patrimonio netto tangibile risultano pressoché invariate e pari, rispettivamente, al 2,3% e 27%, con i due maggiori istituti italiani che mostrano i valori peggiori (5,3% e 63,8% in media), fatta eccezione per l’inglese Lloyds (6,1% e 83,8%). Anche in base a questi parametri, la posizione di Unicredit pare più fragile rispetto a quella di Intesa Sanpaolo, con un divario di oltre 20 punti percentuali relativamente al secondo indicatore (71% contro 54%), anche a causa di 10 miliardi di euro di intangibles rivenienti per lo più dall’acquisizione nel 2007 di Capitalia. Di contro, la svizzera Credit Suisse presenta la situazione più favorevole, con le partite deteriorate che rappresentano solo lo 0,3% della massa di crediti alla clientela ed appena il 2,3% del patrimonio netto tangibile.

L’esposizione verso i debiti sovrani di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (i cosiddetti GIIPS o PIIGS)

L’esposizione degli istituti di credito verso le economie dei GIIPS è fonte di crescente attenzione. I 20 istituti del panel detenevano a fine giugno 2011 circa 341 miliardi di euro in titoli di stato emessi da questi 5 Paesi, considerando anche gli asset in portafoglio alle rispettive divisioni assicurative (Tab. 5). L’ammontare è stato calcolato, con rare eccezioni, utilizzando criteri omogenei. Si tratta della somma dei valori di bilancio (portafoglio bancario e di trading), al netto di eventuali svalutazioni (sui soli titoli greci pari complessivamente a 4,5 miliardi di euro, per lo più rivenienti dal giro a conto economico delle riserve di valutazione) e delle posizioni allo scoperto relative ai titoli inclusi nei portafogli di trading; si è inoltre tenuto conto degli effetti delle operazioni di copertura eventualmente attivate. L’ammontare complessivo delle esposizioni rappresenta il 32,5% dei mezzi propri complessivi ed il 42% della loro componente tangibile.

Gli istituti italiani e spagnoli risultano i più esposti, scontando il cospicuo impegno relativo ai titoli dei propri governi che rientrano tra i GIIPS. Le banche francesi segnano la maggiore esposizione verso Grecia, pari complessivamente a 7,2 miliardi, Portogallo per 4,6 miliardi e Irlanda con 2,6 miliardi, risultando anche tra i principali possessori di titoli di stato italiani (36,3 mld.). La BNP Paribas (attraverso l’italiana BNL), con circa 34 miliardi di euro, è l’istituto non domestico più esposto verso l’Italia ed ha proceduto nel giugno 2011 a riclassificare i titoli di debito di Grecia, Portogallo e Irlanda dal portafoglio disponibile per la vendita (AFS) ai crediti, così come permesso dall’emendamento dello IAS 39, di fatto congelandone il valore (si tratta complessivamente di 7,5 mld. di euro). Altre importanti concentrazioni di titoli italiani riguardano Dexia (13,4 mld.), Commerzbank (8,7 mld.), Crédit Agricole (8,5 mld.) e Barclays (6,1 mld.).

Solamente per 11 istituti (che rappresentavano il 62% dell’esposizione complessiva verso i GIIPS) è stato possibile produrre la ripartizione dei titoli governativi per tipologia di portafoglio e criterio di valutazione (Tab. 6). Pur trattandosi di una rilevazione parziale, essa evidenzia la prevalenza della classificazione tra le attività disponibili per la vendita (AFS) che rappresenta una quota pari al 68,3% del totale complessivo, appostazione che consente di isolare, almeno fino all’eventuale cessione dell’attività, in un’apposita riserva di stato patrimoniale (la riserva di valutazione) le variazioni di fair value. Alla Société Générale spetta la più elevata incidenza dei titoli classificati nel portafoglio di trading (che comporta la immediata contabilizzazione a conto economico degli adeguamenti al fair value). E’ singolare la posizione del portafoglio di trading di Deutsche Bank, con un’esposizione verso titoli di stato italiani negativa per 3 miliardi per effetto del prevalere delle vendite allo scoperto: considerando i 719 milioni di titoli disponibili per la vendita, i 641 milioni di finanziamenti diretti concessi allo Stato italiano e i 2,6 miliardi di cds sul debito sovrano italiano, l’esposizione dell’istituto tedesco verso l’Italia risulta comunque positiva per 996 milioni, anche se in netto calo rispetto agli 8 miliardi di fine dicembre 2010 (ma inferiore ai 2,3 miliardi raggiunti a fine settembre). Applicando in maniera puramente indicativa all’intero portafoglio (341 miliardi di euro) le percentuali di allocazione nei portafogli dei titoli governativi relative agli 11 istituti che ne fanno dichiarazione, se ne ricavano stime che indicano in circa 58 miliardi il portafoglio detenuto per negoziazione, mentre ulteriori 233 miliardi sono assegnati al portafoglio dei titoli disponibili per la vendita i cui adeguamenti gravano sul netto patrimoniale. Complessivamente, si tratta di circa 290 miliardi di euro le cui fluttuazione di valore incidono sulla redditività e solidità delle maggiori banche europee.

Considerando i forti legami esistenti tra banche e stati, è utile analizzare anche le esposizioni delle società del panel verso le istituzioni finanziarie residenti nei paesi GIIPS. La sporadicità di questa informazione nei bilanci non consente, anche in questo caso, di ottenere una visione d’insieme del fenomeno. I 9 istituti che rendono disponibile il dato (i 4 inglesi, i 2 olandesi, Credit Suisse, Commerzbank e Intesa Sanpaolo) aggiungono ulteriori 71 miliardi di euro allo stock dei bond: 26 miliardi verso istituti spagnoli, 21,4 miliardi verso quelli italiani, 15,7 verso l’Irlanda, 3,8 verso la Grecia e 3,6 miliardi verso il Portogallo. L’inglese RBS è la più esposta, con circa 20 miliardi di cui 10,6 verso istituti spagnoli (7,4 miliardi dei quali relativi a covered bond).

Il funding, alcuni indicatori strutturali e la raccolta istituzionale in scadenza nel 2011 e 2012

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Lo stock della raccolta dei 20 istituti del panel ammonta a 14.812 miliardi di euro (Tab. 7), di cui il 56% sotto forma di debiti verso la clientela (principalmente depositi), il 27,4% di titoli di debito collocati presso la clientela retail ed istituzionale ed il 16,6% relativi a debiti verso banche. Gli istituti inglesi e spagnoli segnano il più elevato ricorso ai debiti verso la clientela (63,6% e 62,3% rispettivamente della raccolta), i francesi quello più basso (49,7%). Questi ultimi evidenziano inoltre la più elevata dipendenza dai prestiti interbancari (24%), non lontano dai livelli di svizzera (22,6%) e Germania (22,1%), anche se, a livello di singolo istituto, è il Credit Suisse a riportare le incidenze più elevate di questo segmento di raccolta (34,4%).

Il rapporto tra i crediti v/clienti e il totale della raccolta diretta consente di valutare uno dei profili della politica di funding degli istituti (Tab. 8). Un indicatore prossimo all’unità segnala che quanto raccolto è prevalentemente destinato ad erogazioni a favore della clientela; valori più bassi suggeriscono che parte della provvista è destinata ad altri impieghi (finanziari o scorta di liquidità). Il valore medio per le banche selezionate è pari al 77,8%, con i valori più elevati relativi ai principali istituti del Nord Europa (94,5%), dell’Italia (93,5%), del Benelux (89,5%, soprattutto per effetto delle banche olandesi poiché Dexia segna il 73,6%) e della Spagna (86,8%) e livelli più bassi per i due istituti svizzeri (con indici compresi tra 54% e 59%). Elevati rapporti tra impieghi alla clientela e raccolta dalla clientela si associano a basse incidenze dei derivati sul totale attivo: 12% per il Nord Europa, 6,8% per l’Italia, 6,2% per la Spagna e 5,1% per il Benelux (media del panel pari al 16,9%); così come a rapporti contenuti si abbinano incidenze elevate: è il caso Credit Suisse (derivati pari al 38,5% dell’attivo) e Deutsche Bank e UBS (entrambe attorno al 30%).

I conti correnti e i depositi dalla clientela rappresentano la componente più stabile e meno onerosa della raccolta bancaria e la loro elevata incidenza sul totale attivo rappresenta un fattore di stabilità. Per i 20 principali istituti europei tale quota (ottenuta includendo anche i pronti contro termine stipulati con controparte non bancaria) ha un valore medio del 36,7%. A Credit Suisse (che, come accennato in precedenza, è l’istituto più dipendente dalla raccolta interbancaria) e a Dexia spettano i valori più contenuti (18,8% e 25%), mentre agli istituti spagnoli (50,1%), inglesi (43,2%) e italiani (41,1%) sono attribuibili le più elevate. Gli istituti francesi si segnalano per un valore inferiore alla media europea (30,5% contro 36,7%).

Limitatamente ai 16 istituti che hanno fornito indicazioni in merito, la raccolta istituzionale (non retail) a medio lungo termine in scadenza nel 2011 (in parte già rimborsata nel primo semestre dell’anno) ammonta complessivamente, secondo nostre stime, a 258 miliardi di euro ed a 345 miliardi nel 2012, per un totale di circa 604 miliardi (Tab. 9). Gli istituti più esposti sono la Royal Bank of Scotland e la Commerzbank (rispettivamente 76,5 e 66,5 miliardi di euro) anche se entrambi hanno dichiarato l’intenzione di rifinanziare solo parzialmente le quote in scadenza (per il gruppo tedesco si tratta di 25 miliardi circa nel biennio) preferendovi la cessione di asset considerati non più strategici. Per i 17 istituti che hanno reso pubblico il dato, l’ammontare complessivo di asset stanziabili per il rifinanziamento presso le banche centrali ammonta a circa 1.600 miliardi di euro.

La composizione degli attivi: un confronto nel periodo 2007-giu.2011

La Tab. 10 compara le consistenze e la composizione del totale attivo a fine giugno 2011 con quelle ante crisi (dicembre 2007). In questo periodo le attività complessive sono diminuiti di oltre 1.700 miliardi di euro (-7,2%), dopo aver toccato il massimo nel 2008 (oltre 26 mila miliardi); nel 2009 gli attivi si sono contratti del 17,2% (portandosi a 21.591 mila miliardi). I cali percentuali più evidenti sono quelli di UBS (-45,6%), Commerzbank (-38,8% pur tenendo conto della acquisizione della Dresdner) e RBS (-23,9%), mentre la svedese Nordea è in forte controtendenza (+52,5%), come pure la spagnola Santander (+35%). In maggior dettaglio, il calo degli impieghi v/clientela è relativamente contenuto (-122,7 miliardi, in riduzione dell’1,3%), i titoli (obbligazioni e azioni) sono diminuiti in misura assai più consistente a seguito di cessioni, adeguamenti al fair value e svalutazioni di circa 1.360 miliardi di euro (-21,6%), mentre gli impieghi v/banche hanno segnato la riduzione percentuale ancora più accentuata (-31,6%, in contrazione di circa 970 miliardi). Gli “Altri attivi” si sono incrementati di circa 746 miliardi (+16,1%). All’interno del panel le variazioni risultano tra loro molto disomogenee: UBS ha fatto segnare le diminuzioni percentuali più accentuate in tutte le componenti (quasi -60% per i titoli e gli impieghi v/banche). RBS, Commerzbank e Credit Suisse hanno riportato importanti riduzioni degli impieghi v/clienti (rispettivamente -34%, -33% e -15%) mentre per gli altri istituti, con poche eccezioni, quest’ultima voce è risultata in progresso. In particolare, sei istituti (Nordea, Santander, Crédit Agricole, Société Générale, Rabobank e Barclays), hanno incrementato di oltre il 20% gli impieghi alla clientela nel periodo; l’incremento di Deutsche Bank (+36,1%) è invece completamente attribuibile alle acquisizioni effettuate nel corso del 2010 (141 miliardi di crediti apportati da Deutsche Postbank e Sal. Oppenheim) escludendo le quali la voce risulterebbe in calo del 7%. Il Banco Santander è l’istituto che ha incrementato aggiormente, sempre in termini percentuali, gli impieghi v/banche (+44%; di Barclays e ING Group gli unici altri rialzi importanti di questa voce), mentre Nordea ha quasi raddoppiato (+71%) l’ammontare dei titoli in portafoglio.

Circa l’esposizione in titoli, i due istituti italiani hanno invece seguito due comportamenti diversi: Intesa Sanpaolo li ha incrementati del 45% (da 95,6 a 139 miliardi) mentre Unicredit li ha diminuiti del 30% (da 198 a 138 miliardi).

I coefficienti di solvibilità

I coefficienti di solvibilità (Tab. 11) mostrano una marcata crescita tra il 2008 e il 2010, passando dal 12,4% al 15,1% (medie semplici), per poi incrementarsi a giugno 2011 di ulteriori 30 p.b. e fissarsi al 15,4%. Le banche con i migliori indicatori sono le due svizzere (23,6% Credit Suisse, 19,5% UBS), la Danske (che ha incrementato il coefficiente al 18,8% grazie alla conclusione, nell’ultimo semestre, di un aumento di capitale per 2,7 miliardi di euro), Rabobank (16,7%) e le britanniche Lloyds e HSBC, sebbene se per queste ultime il total capital ratio risulti in leggero calo rispetto al dicembre 2010. Altri 4 istituti hanno evidenziato nell’ultimo semestre una contrazione del coefficiente di solvibilità: si tratta di UBS (dal 20,4% al 19,5%), dell’olandese ING (dal 15,3% al 14,6%), per la citata restituzione di aiuti di stato, della belga Dexia (dal 14,7% al 13%), a seguito delle importanti perdite contabilizzate nell’ultimo semestre, e della spagnola BBVA (dal 13,7% al 12,8%) a fronte dell’acquisizione di un ulteriore 24,9% e successivo consolidamento della banca turca Garanti. La francese Société Générale e la spagnola BBVA segnano valori più bassi, inferiori al 13%. I 2 principali istituti italiani riportano a giugno 2011 livelli inferiori alla media, con il ratio di Intesa Sanpaolo (15,1%) superiore di 1,6 punti percentuali rispetto a quello di Unicredit (13,5%) ed in forte rialzo per effetto dell’aumento di capitale da circa 5 miliardi di euro realizzato nel primo semestre 2011. Il coefficiente di solvibilità dichiarato da RBS (14,4%) beneficia tuttora di importanti garanzie pubbliche che coprono 95,2 miliardi di GBP di RWA. Non considerandole, il ratio patrimoniale si ridurrebbe all’11,8%.

L’apporto degli strumenti innovativi al Tier1 appare più basso per le banche italiane, arrivando, al massimo, a contribuire per l’1,6% al total ratio, contro la media del 2,2% degli istituti europei. I valori di core Tier1 sono in Italia più contenuti (Intesa Sanpaolo ed UniCredit sono rispettivamente al 10,2% e al 9,1%, contro il 10,7% della media del panel, che comprende i due istituti italiani). Tra le banche europee che fanno maggiore ricorso agli strumenti innovativi di patrimonializzazione si annoverano: Credit Suisse (510 punti base), Danske (430 punti base), Deutsche Bank (380 punti base) e Rabobank (350 punti base). Il Tier1 delle due banche italiane, anche se in costante rialzo nel periodo, è attorno al 9,5%, contro il 12,9% del panel europeo. Quanto all’apporto del patrimonio supplementare, Tier2, rappresentato tra l’altro da passività subordinate a lunga scadenza e strumenti ibridi, il concorso per gli istituti italiani è superiore a quello dei maggiori istituti europei (260 punti base).

Gli attivi rischiosi

A fine giugno 2011 le attività c.d. di “Livello 3” (Tab. 12), ossia quelle di problematica valutazione e smobilizzo (alcuni istituti vi collocano le proprie esposizioni verso titoli di stato di Grecia, Irlanda e Portogallo) in quanto prive di mercati liquidi, erano complessivamente pari, per i 15 istituti che pubblicano il dato dal 2008, a 249 miliardi di euro, in diminuzione di 13,6 miliardi rispetto al dicembre 2010 (-16,7%) e pressoché dimezzatisi rispetto ai valori di fine 2008 (-47,8%); i 2/3 circa della diminuzione aggregata sono concentrati in 4 istituti (Credit Suisse, Deutsche Bank, UBS e Barclays) mentre in controtendenza risultano solo i 2 istituti dell’Europa settentrionale (Nordea e Danske) ed Intesa Sanpaolo che hanno aumentato, seppur di poco, l’entità di tali attivi rispetto al livello di fine 2008. Si tratta di poste marginali se rapportate al totale attivo (1,4%), ma resta rilevante il loro peso sul patrimonio netto (30,3%) e sul patrimonio di vigilanza (31,2%). Nel caso di Credit Suisse e Deutsche Bank gli attivi di “livello 3” assorbono la quasi totalità del capitale di vigilanza, nel primo caso eccedendo addirittura la misura del capitale netto. Le due maggiori banche italiane si collocano tra gli istituti meno esposti, con incidenze molto contenute (6% e 17% del patrimonio di vigilanza rispettivamente per Intesa Sanpaolo e UniCredit) e ben al di sotto del valore medio del panel.

Le attività ponderate per il rischio (RWA – Risk Weighted Assets)

Le attività ponderate per il rischio, denominatore del coefficiente di solvibilità, sono calate tra il 2008 ed il 2010 del 3,4%, passando da 7.514 miliardi di euro a 7.239 miliardi, contraendosi poi di un ulteriore 2,1% a fine giugno 2011 (Tab. 13). Le riduzioni più importanti hanno riguardato Lloyds (-22,3%), RBS (-20,9%), Commerzbank (-14,5%), Dexia e Intesa Sanpaolo (-11,3%). I maggiori aumenti sono di Deutsche Bank (+16,9%), Crédit Agricole (+12,9) e BBVA (+10,4%).

In media, il rapporto tra attivi ponderati ed attivi totali è pari al 31,4%: ciò significa che solo un terzo di ogni euro dell’attivo necessita attualmente di copertura con patrimonio di vigilanza (a sua volta ad almeno l’8% delle RWA). In alcuni casi il rapporto è ancora più basso; si tratta di UBS (16,7%), Deutsche Bank (17,3%), Credit Suisse (16,5%) e Dexia (24,5%), che sono anche gli istituti con la leva più elevata. Si tratta dell’effetto del trattamento penalizzante che le attuali norme di Basilea assegnano agli affidamenti alla clientela rispetto alle posta di natura prettamente finanziaria. Si stima infatti che l’83,4% dell’attivo ponderato sia rappresentato dal rischio di credito, mentre solo il 6,3% riguarda il rischio di mercato (fluttuazione di tassi d’interesse, delle quotazioni sui mercati finanziari, ecc.); la quota residua (10,3%) copre il rischio c.d. operativo (rischi organizzativi, da errore umano, ecc.).

Il patrimonio di vigilanza, anche se in leggera contrazione nell’ultimo semestre, è superiore del 2,2% rispetto ai valori di fine dicembre 2009: il rialzo dei ratios patrimoniali in precedenza commentato è quindi dovuto al concomitante calo degli attivi ponderati per il rischio e all’aumento del patrimonio di vigilanza.

La Borsa

A fine ottobre 2011 il valore di Borsa delle principali banche europee segnava una flessione del 31% rispetto a fine 2009, mentre le due principali italiane hanno visto dimezzarsi il proprio valore (-52,6%), con una caduta che ha toccato più duramente Unicredit (-58,3%) che Intesa Sanpaolo (-46,9%) (Tab. 16). La prima ha subito da fine 2010 una caduta molto più severa (-45%) rispetto a quella di Intesa Sanpaolo (-18%). Nel panel europeo da fine 2009 il deprezzamento più forte ha riguardato Dexia (-86%), ma flessioni molto importanti hanno interessato le banche francesi (-55% la SocGen, -50,5% l’Agricole, -40% BNP) ed il Credit Suisse (-49%). Il solo istituto con variazione positiva è Commerzbank (+31% su fine 2009 e +39% su fine 2010).

I primi nove mesi del 2011 del panel di banche

Per un insieme di dodici istituti che alla data di chiusura di questa nota (4 novembre 2011) ne avevano dato notizia, la Tab. 17 riporta alcuni principali dati di conto economico. Si segnala il ristagno dei ricavi, invariati rispetto ai primi nove mesi del 2010, la conferma della flessione delle perdite su crediti (-15,9% sui primi nove mesi del 2010 (-0,10%), quindi in decelerazione rispetto al -20,4% dei conti semestrali) e la riduzione del risultato netto che ripiega dell’8,7%. Nei tre mesi del periodo luglio-settembre 2011 le perdite su crediti sono state pari al 35% del totale maturato nei primi nove mesi. Le svalutazioni sui titoli governativi greci hanno comportato oneri per 3,9 mld. nel solo trimestre che si sommano ai 4,5 mld. già consuntivati nei primi sei mesi.

Alcuni istituti hanno dichiarato gli haircut applicati ai titoli greci: si va dal 52% di Commerzbank al 63% di RBS.


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