PREMESSA
Il racconto, dalla creazione del mondo lungo le generazioni che si sono succedute, costituisce un attributo qualificante della tradizione ebraica. La rilettura annuale della Torah e le infinite discussioni talmudiche che l’accompagnano sono il tratto più evidente di questa cultura. Eppure solo recentemente l’attenzione si è spostata sulla storia degli individui, delle famiglie e delle comunità che compongono l’universo ebraico. Ancora oggi non esiste alcun racconto compiuto sulla storia della Comunità ebraica di Milano, la seconda per importanza in Italia e certamente molto diversa da tutte le altre. Non ho scritto questo libro per colmare un vuoto storiografico. Questo non è un saggio per specialisti. Ho invece speso alcuni anni di lavoro per trasmettere un sentimento di consapevolezza ai miei figli, alla mia comunità e a tutti coloro che troppo spesso identificano gli ebrei con pochi topoi classici come la Shoah, Israele o alcuni simboli religiosi. Per comprendere io stesso il ruolo degli ebrei milanesi nel tessuto urbano sotto il profilo economico, civile, e culturale. Per aprire una discussione sull’incerto futuro di questa piccola comunità. Un’ultima avvertenza. Sia il termine ebreo sia il termine milanese sono stati intesi privilegiando l’esistenza di legami forti con l’ebraismo e la città piuttosto che la fedeltà ai canoni della Halakhah o a quelli anagrafici.
LUIGI LUZZATTI E LA SUA “PRIMOGENITA PREDILETTA”: LA BANCA POPOLARE DI MILANO
Nel grande salone di piazza Meda, davanti alla riproduzione dell’Ultima cena di Leonardo da Vinci e alla colonna dorata di Giò Pomodoro, trionfa su un piedistallo nero il busto di marmo Maurizio Weill Babetta Schott Alberto Filippo Cimone Sofia Leone Enrico Guastalla.
La famiglia Weill-Schott (in corsivo i gestori della Banca Figli Weill-Schott). 80 Capitolo quarto bianco di Luigi Luzzatti; sotto, la scritta: «La Banca Popolare di Milano al suo fondatore». In effetti nel 1865 Luzzatti, a soli ventiquattro anni, fondò la banca cooperativa, di cui fu prima presidente per cinque anni e poi presidente onorario fino alla morte: la sua «primogenita prediletta», come ebbe a scrivere pochi mesi prima di morire. Luigi Luzzatti è forse l’ebreo più noto e influente nella storia politica italiana. Giurista ed economista, fu presidente del Consiglio nel 1910-11, dopo essere stato quattro volte ministro del Tesoro e una dell’Agricoltura. Tra i primi assertori delle politiche sociali a favore delle classi dei meno abbienti e delle leggi a tutela del lavoro femminile e minorile, ostile al liberismo assoluto e favorevole a uno «statalismo sussidiario» pragmatico, contribuì al risanamento delle finanze pubbliche e al consolidamento della lira sui mercati internazionali.
Nato a Venezia nel 1841 da una benestante famiglia ebraica, ricevette un’educazione ispirata ai valori della tolleranza e del laicismo, cui rimase sempre fedele. Dopo aver completato gli studi di giurisprudenza scrisse il suo primo lavoro, La diffusione del credito e le banche popolari, dove, ispirandosi ad alcuni economisti tedeschi, promosse la funzione sociale del credito e la lotta all’usura. In questo contesto introdusse anche il concetto di responsabilità limitata, voto capitario e frazionamento del credito. Trasferitosi a Milano, dove sposò Amelia Levi, ben presto attirò su di sé l’attenzione della polizia austriaca, a causa delle sue lezioni di economia politica. Assieme a Tiziano Zalli nel 1864 fondò la Banca Popolare di Lodi, prima banca cooperativa italiana, sul modello delle esperienze tedesche. Nello stesso anno l’allora sindaco di Milano Antonio Beretta istituì una commissione con il compito di promuovere la Compagnia del credito sul lavoro di Milano. Nel febbraio del 1865 a palazzo Marino venne nominato un consiglio di amministrazione provvisorio presieduto dallo stesso Luzzatti. Nei mesi successivi si svolsero una serie di assemblee cittadine, volte a preparare l’istituzione della banca e il suo statuto. Finalmente, il giorno di Sant’Ambrogio (7 dicembre) dello stesso anno, Luzzatti convocò a palazzo Marino l’ultima assemblea preparatoria, e nella stessa sede, pochi giorni dopo, il notaio Girolamo Corridori redasse l’atto di costituzione della società anonima a responsabilità limitata, denominata Banca Popolare di Milano.
La prima sede della banca fu presso alcuni locali del palazzo della Ragione. L’attività creditizia ebbe inizio ufficialmente gennaio del 1866, grazie all’apporto di 404 soci, che avevano sottoscritto un capitale di 56 mila lire. Lo statuto prevedeva un limite massimo di 50 azioni per ciascun socio del valore di 50 lire cadauna pagabili anche ratealmente. Negli anni successivi la crescita fu costante e impetuosa, così che al quinto anno i soci erano diventati 2.500 e il capitale versato era salito a 1,5 milioni di lire. Ancora più importante è che l’esempio milanese e lodigiano ebbe un grande seguito in numerosissime città italiane. Nasceva così il sistema delle banche popolari. L’analisi compiuta da Maifreda sui lasciti testamentari nel corso dell’Ottocento ha poi mostrato come moltissimi ebrei milanesi, soprattutto piccoli risparmiatori, detenessero azioni della Popolare. La fiducia nei confronti dell’iniziativa di Luzzatti era tale che le azioni della banca erano in assoluto le più presenti nei portafogli analizzati. Vale per altro la pena di ricordare che, fra le grandi famiglie ebraiche milanesi, i Weill-Schott furono da subito tra i più convinti sostenitori e soci dell’iniziativa del correligionario Luzzatti. Alberto Weill-Schott divenne anche, per un breve periodo di tempo, vicepresidente della banca.
La carica ricoperta all’interno della Popolare fu particolarmente significativa, essendo egli uno dei pochi soci fondatori con un’esperienza nel settore. Tuttavia, due anni dopo, Alberto Weill-Schott uscì dal consiglio dell’istituto di credito a causa dei contrasti circa le strategie che Luigi Luzzatti voleva seguire: «Mantenere alla banca l’indole sua primiera, popolare, municipale, cauta e sicura». Seppure su posizioni laiche, Luzzatti s’interessò tutta la vita ai problemi legati alla libertà religiosa e scrisse numerosi saggi sull’argomento. I suoi rapporti con l’ebraismo ortodosso e il sionismo non furono affatto sereni. Tuttavia non rinnegò mai le sue origini e anzi ebbe a scrivere: “Io sono nato israelita e ci ritorno fieramente ogni volta che mi si rimprovera di esserlo e che l’esserlo mi espone a un pericolo. Vi è una dignità a sostenere il peso della persecuzione e sarebbe vile scansarlo. Ma fuori di questo, la mia educazione, le mie aspirazioni intendono a un largo cristianesimo, come traspare dai miei scritti”.
Nel secondo dopoguerra un altro imprenditore di origine ebraica fu prima membro del consiglio di amministrazione e poi presidente per sei anni (1965-71) della Banca Popolare di Milano: Guido Jarach.