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Romiti, il manager che ha fatto la storia dell’industria

La marcia dei 40mila della Fiat viene considerata il capolavoro di Cesare Romiti, scomparso a 97anni, ma dipingerlo solo come il cerbero che mette in riga il sindacato è fare torto a una personalità molto più complessa – Il legame di ferro con Gianni Agnelli e quello con Cuccia e i duelli con Carlo De Benedetti e Umberto Agnelli – Fu contrario all’euro

Romiti, il manager che ha fatto la storia dell’industria

Cesare Romiti sarà ricordato come il duro manager che ha sconfitto nel 1980 gli operai che volevano occupare la Fiat, ripristinando la disciplina in fabbrica e quindi la regolarità della produzione. La famosa marcia dei 40 mila, organizzata dai quadri intermedi Fiat con l’appoggio di due manager di prima fila dell’azienda quali Carlo Callieri e Cesare Annibaldi, segnò non solo a Torino, ma in tutta Italia, la chiusura definitiva del periodo dell’anarchia sindacale iniziato nel ‘68, la vittoria della battaglia contro le Br, una nuova fase di relativa stabilità politica e di crescita economica. 

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Ma considerare Romiti solo come il cerbero che rimette in riga il sindacato, che duella con Berlinguer rimproverandogli la sua visita ai cancelli di Mirafiori, quando il segretario del PCI sembrò incoraggiare gli operai a occupare la fabbrica e quindi a dare inizio a una fase più acuta di scontro di classe, è fare torto ad una personalità ben più complessa.

La figura di Romiti è emblematica di un’epoca della storia dell’economia italiana, che ora appare lontanissima, ma che allora contribuì a mantenere il paese nel novero delle economie più industrializzate e capaci di creare lavoro e diffondere benessere. Certo, Cesare Romiti era un uomo autorevole e determinato. Si era fatto da solo nel difficile dopoguerra italiano, passando per le partecipazioni statali (era stato amministratore delegato di Alitalia e Italstat) ed era approdato in Fiat come direttore finanziario nel 1974 per poi diventare amministratore delegato e infine presidente dopo il ritiro dell’Avvocato.

Gli anni 70 erano un periodo di forte crisi sociale ed economica. La Fiat boccheggiava. Occorreva mobilitare tutte le risorse finanziarie accumulate negli anni del “miracolo economico” che per fortuna era ingenti. E Romiti fu chiamato a fare questo lavoro che svolse con successo insieme al suo braccio destro, l’allora giovane Francesco Paolo Mattioli.

Ma per rimettere in sesto l’azienda non bastava la finanza. Occorreva riprendere il controllo delle fabbriche e avere un contesto esterno favorevole alla propensione al consumo e agli investimenti. Cosa che fu possibile a partire dalla marcia dei 40 mila nel 1980 e poi nel corso del decennio successivo con Romiti divenuto AD unico di Fiat e quindi anche interlocutore privilegiato del mondo politico. In quel periodo si costituì un legame di ferro con l’avv. Agnelli che aggiungeva una visione strategica internazionale indispensabile per avere un preciso quadro di riferimento entro il quale adottare le decisioni concrete. 

Ma è impossibile ripercorrere tutte le tappe di una lunga storia nel corso della quale Cesare Romiti ha operato come protagonista, spesso determinante. Va ricordato il suo stretto legame con Enrico Cuccia, il dominus di Mediobanca, che nasceva sulla base della necessità di costruire un fronte di resistenza all’invadenza della politica che allora controllava, attraverso l’IRI e l’ENI, una larga fetta dell’industria italiana.

Dopo il crollo del muro di Berlino e l’avvio delle privatizzazioni, la battaglia non aveva più ragion d’essere anche perché le caratteristiche della politica italiana erano state completamente sconvolte da Tangentopoli. Erano altre le sfide che si presentavano alle aziende italiane, quelle tecnologiche e organizzative necessarie ad affrontare la concorrenza internazionale, e probabilmente Mediobanca e lo stesso Romiti non furono in grado di affrontarle. Basti ricordare la contrarietà espressa nei confronti dell’Euro basata sul fatto che l’industria italiana non era ancora pronta a rinunciare alle svalutazioni della lira e che l’economia stentava ad assumere un assetto più efficiente e competitivo.
 

Tra i tanti luoghi comuni che sono fioriti intorno a Romiti e alla Fiat ci sono quelli che riguardano la carenza di investimenti sul prodotto, a causa delle scelte di diversificazione verso la finanza o l’immobiliare fatte dallo stesso Romiti, e gli aiuti finanziari che lo Stato avrebbe elargito all’azienda. In realtà il piano di investimenti degli anni ‘90 attuato da Paolo Cantarella era imponente, ma purtroppo non ebbe il successo sperato, mentre gli aiuti pubblici hanno riguardato gli investimenti al Sud previsti dalle leggi e hanno dato luogo agli unici nuclei industriali robusti e capaci di resistere alle crisi presenti ancor oggi al Sud.

In questo Paese chi ha un carattere forte passa per prepotente. In realtà per difendere una grande azienda come la Fiat dagli assalti di “amici” e “nemici” bisognava avere la forza di tenere sempre la guarda alta, saper dire molti “no”, e scegliere bene le persone a cui dire “sì”. Questo voleva dire saper ingaggiare duelli decennali con personaggi dal carattere altrettanto forte come Carlo de Benedetti o dalla posizione famigliare vantaggiosa come Umberto Agnelli.

Avere il potere di prendere decisioni che coinvolgono migliaia di persone e influiscono su un intero paese, non è solo un privilegio, ma una grande responsabilità. Non si tratta di essere severi o addirittura spietati. Bisogna avere il coraggio di fare una scelta e poi seguirla con coerenza. Cesare Romiti aveva questa intelligenza e questa forza e sapeva coinvolgere e trascinare le persone verso gli stessi obiettivi. Sapeva bene che “l’esempio è la migliore forma di autorità” come era stampato a caratteri cubitali in un quadretto alle spalle della scrivania dalla quale esercitava il suo potere. 

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