Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, vuole un termovalorizzatore per Roma entro il Giubileo del 2025 o comunque entro la fine della sindacatura del 2026. Se i fatti seguiranno alle promesse si tratta di “una svolta storica”, come la definisce lo stesso Gualtieri. E ha perfettamente ragione. Per almeno due ragioni: una partica e una politica, una ambientale e locale e una tutta nazionale.
Un termovalorizzatore contro l’emergenza rifiuti: ecco cosa può cambiare
Chi non sa che il degrado della città della Grande Bellezza è l’emergenza numero uno della Capitale, coperta di rifiuti? Lo sanno benissimo i romani e lo sanno i turisti. Vedere una città unica al mondo ridotta spesso a una fogna a cielo aperto in omaggio al peggior populismo fa male al cuore. Ma se non hai gli impianti di smaltimento, come li gestisci i rifiuti? Devi spendere una valanga di soldi, che pagano i contribuenti, per trasportarli in altre regioni. Non è un problema che a Roma nasce oggi, ma l’emergenza si è andata aggravando fino a toccare livelli insostenibili sotto la Giunta Raggi, una delle peggiori amministrazioni – insieme a quella di Alemanno – della Capitale.
Ora Gualtieri promette una svolta con la realizzazione del secondo più grande termovalorizzatore d’Italia, un impianto da 600 mila tonnellate che dovrebbe essere affidato all’Ama e all’Acea. “Quella dei rifiuti – sostiene il sindaco del Pd – è l’eredità più complessa che ci siamo trovati a gestire: l’attuale assetto del ciclo di rifiuti di Roma Capitale vive in una dimensione di cronica e latente emergenza e l’assenza di una adeguata e autonoma dotazione impiantistica è il vero vulnus che oggi impedisce alla città di gestire il problema dei rifiuti”. Il futuro termovalorizzatore permetterà di ridurre del 44% le emissioni di CO2, di coprire il fabbisogno di energia elettrica di 150mila famiglie romane e di ridurre la Tari del 20%. L’ambientalismo è questo o quello di chi – come i Cinque Stelle ma anche come l’ala più populista del Pd – ha sempre detto di No a nuovi impianti a Roma?
La svolta di Gualtieri è una sfida ai tabù dei Cinque Stelle e di una parte del PD
La svolta di Gualtieri ha una valenza non solo locale e ambientale ma ha uno spessore nazionale. Non a caso ha ricevuto subito l’encomio del segretario del Pd, Enrico Letta, e solo dopo molte ore e a denti stretti l’avallo del Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che – non dimentichiamolo – governa insieme ai Cinque Stelle e ha spesso coperto l’immobilismo ambientale dei grillini, tant’è che il suo Piano regionale non prevede un termovalorizzatore ma solo una discarica.
Ma, com’era prevedibile, sono soprattutto i Cinque Stelle a fare le barricate contro il termovalorizzatore: “Il piano rifiuti della Regione Lazio – insorge l’assessore grillina alla Transizione ecologica, Roberta Lombardi (Ricordate il suo streaming del marzo 2013 insieme a Vito Crimi che sbeffeggiò l’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani ?) – non prevede l’installazione di nuovi inceneritori e quindi il nuovo impianto (proposto da Gualtieri) non si può fare e non avrà mai il nostro appoggio”.
Gualtieri e Letta sanno perfettamente che i termovalorizzatori sono un tabù per i Cinque Stelle e aver deciso di andare avanti per risolvere una volta per tutti l’emergenza rifiuti della Capitale depone a loro favore e conferma i dubbi sulla sostenibilità dell’alleanza tra Pd e Cinque Stelle, aggravati anche dai guai in cui l’ex premier Conte s’è cacciato sia con i servizi segreti americani e sia con l’intervento russo nei nostri ospedali ai tempi peggiori del Covid. Prima o poi anche Zingaretti, che da segretario del Pd, pensava che Conte fosse “il più alto punto di riferimento dei progressisti italiani” se ne dovrà fare una ragione. O almeno si spera.