La sindaca Raggi si è data 7,5. Il suo gruppo dirigente le ha dato, nella sostanza, un “6- politico” ma si intuisce che non la giudicano una brava amministratrice, piuttosto un problema. I cittadini romani, infine, almeno secondo i sondaggi di qualche mese fa, pare non gli diano la sufficienza. C’è chi, come Franco Locatelli su queste colonne, con sferzante ironia, gli attribuisce 10 e lode in quanto prova dell’inconsistenza dei grillini quando governano. La città non è più pulita, né più ordinata, né con trasporti migliori.
In realtà Roma chiede di più di un’amministrazione efficiente: chiede un progetto di città con cui affrontare il nuovo secolo e al contempo sanare vecchie e nuove piaghe (tra queste, la diffusione della criminalità organizzata). L’unico segnale di attenzione (ma decisamente non innovatore e rapidamente revocato) della giunta Raggi sui problemi non esclusivamente gestionali della città, a parte la fuffa dell’economia circolare, si è registrata nella materia cruciale degli assetti del territorio: ha nominato come assessore un urbanista di livello, ancorché rappresentante della “vecchia scuola pianificatrice”, Paolo Berdini, salvo non seguirlo sull’orientamento favorevole alle Olimpiadi e poi spingerlo alle dimissioni per il dissenso nella vicenda dello stadio, giudicata dal Berdini una cessione alla speculazione.
Va però detto che pure dall’altra parte dello scenario politico c’è il vuoto assoluto. Nel dibattito intorno alla elezione del segretario della Federazione Romana del PD non c’è traccia di una idea della città, di una riflessione serie sulle infelici scelte urbanistiche della stagione veltroniana, dei possibili interventi per arrestarne il declino, tenuto conto della situazione finanziaria disastrosa dove lo stesso debito è di incerto ammontare. E incerte sono le forze che possono spingere per il cambiamento, non potendosi ritenere tali quelle da sempre legate alla rendita fondiaria: d’altra parte se non ci sono idee, difficile mobilitare gli elettori. Qualcuno sogna un Macron romano: ma di sogni appunto si tratta.
Né da Forza Italia ci sono segnali significativi. Nel frattempo la costituency dei grillini, rappresentata dagli elettori che abitano nei quartieri lontani dal centro, dagli operai e i disoccupati nonché dai dipendenti comunali, assecondati dalla nuova giunta, non potrà non trarre vantaggio dalla finora perdurante debolezza dell’offerta politica tradizionale. Lo confermano indirettamente i consensi raccolti nella provincia (a Guidonia e ad Ardea, a pochi chilometri da Roma, i grillini hanno vinto al ballottaggio). Non è affatto detto che l’insipienza raggina sia sufficiente a far perdere alla Casaleggio e associati le prossime elezioni nella Capitale.
Così l’economia della Capitale continua ad affidarsi al modello di sviluppo basato sul turismo che sembra senza alternative. Offriamo al turista che passa pochi giorni nella città eterna più o meno quello che chiede e si aspetta: colori e monumenti di incomparabile bellezza e ristorazione “tipica” (si fa per dire) ad ogni angolo del centro storico, oramai grande refettorio di massa. I prezzi degli immobili scendono di più che nel resto del paese, segno inequivocabile della perdita di attrazione.
Così la città continua ad occupare una posizione assai lontana dalle global cities nelle graduatorie internazionali; tra le molte disponibili cito quella dello IESE che punta a misurare la qualità della vita nelle grandi città del mondo e se e come si preparano alla sostenibilità futura: Roma è ottantunesima (quaranta posti dietro Milano). Con questa situazione politica locale non c’è da essere ottimisti sulla possibilità di risalire.