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Roma: l’endorsement di Alemanno e Marino a Raggi riapre i giochi?

L’endorsement dei due ultimi sindaci della Capitale, generalmente considerati i peggiori degli ultimi vent’anni, getta più di un’ombra sulla candidatura dell’esponente grillina che va al ballottaggio per la guida di Roma dopo aver collezionato tanti voti quante gaffes: dal silenzio sul praticantato nello studio Previti al commissariamento di Grillo, dalle stravaganti proposte sulla funivia e sul baratto al rifiuto pregiudiziale delle Olimpiadi e all’ambiguità sull’euro – A Roma tutto deve cambiare perché nulla cambi?

Roma: l’endorsement di Alemanno e Marino a Raggi riapre i giochi?

Bisogna sinceramente riconoscere che le innumerevoli gaffes che hanno accompagnato la corsa della grillina Virginia Raggi alla conquista del Campidoglio a Roma non ne hanno finora arrestato lo slancio elettorale. Ma, se si butta un’occhiata al vertiginoso scambio di messaggi sulla Rete e sui social, non ha probabilmente tutti i torti chi sostiene che quanto è successo negli ultimissimi giorni può forse riaprire i giochi per la conquista di Roma nel ballottaggio di domenica prossima. Non solo perché nella Capitale è ancora vivo il ricordo del ribaltone che al ballottaggio nel 2008 consegnò sorprendentemente la città all’ex fascio Gianni Alemanno malgrado l’ex sindaco Francesco Rutelli si fosse aggiudicato il primo turno delle amministrative con più di 80 mila di vantaggio e oltre cinque punti percentuali di differenza, ma per le sorprese che la campagna per il ballottaggio sta riservando ai romani.

Il livore verso la leadership di Matteo Renzi sul piano nazionale e la giusta indignazione verso lo scandalo di Mafia Capitale e verso l’ingloriosa fine dell’ex sindaco Ignazio Marino sul piano locale avevano finora steso un velo pietoso sugli scivoloni e sulle sortite, ora avventurose e ora ambigue, della Raggi, che al primo turno delle amministrative ha saputo abilmente capitalizzare il voto di protesta che a Roma è sempre molto diffuso.

Sorprendentemente gli alfieri della purezza e della trasparenza politica e amministrativa che avevano trovato espressione nel Movimento 5 Stelle hanno ritenuto poco più che una dimenticanza di gioventù l’omissis della Raggi sul suo praticantato da avvocato dal 2003 al 2007 in uno studio tra più discussi della Capitale come quello di Cesare Previti, l’ex ministro di Forza Italia che non solo non ha mai nascosto i suoi trascorsi fascisti ma che proprio in quegli anni veniva condannato per corruzione dei giudici del Tribunale di Roma, giustamente considerato allora il porto delle nebbie. Nè i cantori del puritanesimo a senso unico si sono sorpresi di aver scoperto la candidata grillina alla presidenza di una società dell’entourage di Alemanno.

Ma, in una rocambolesca intervista all’Espresso di qualche settimana fa, la Raggi è andata oltre i peccati di gioventù e ha candidamente confessato che, se diventerà sindaco di Roma, lo sarà a sovranità limitata perché sugli atti di alta amministrazione, sulle nomine e nel caso di avvisi di garanzia lei non risponderà ai suoi elettori romani ma si consulterà con lo staff di Beppe Grillo, come prevede il codice di comportamento grillino che ha firmato. Nell’occasione la Raggi, benché incalzata dall’intervistatore dell’Espresso, non ha invece  rivelato il suo punto di vista sull’uscita dall’euro, che è uno dei soliti cavalli di battaglia di Grillo, dicendo di non aver avuto il tempo di approfondire la questione, malgrado la moneta unica sia stata introdotta da oltre quindici anni. In compenso, in piena campagna elettorale, la Raggi ci ha deliziato con proposte stravaganti come quella di una funivia per snellire il traffico e quella del baratto.

Tutto ciò non ha impedito alla disinvolta candidata grillina di mietere consensi, ma il bello doveva ancora venire. Prima sulle Olimpiadi e poi con l’endorsement degli ultimi sindaci di Roma. In linea con l’ostilità grillina a tutte le grandi opere e le grandi sfide, la Raggi, pur cercando di mitigarne i toni, non ha nascosto il suo rifiuto della candidatura di Roma per le Olimpiadi di Roma del 2024 ma con motivazioni che hanno svelato tutta la fragilità del suo pensiero politico. Dice Raggi: i cittadini che ho incontrato mi chiedono di pensare all’emergenza delle buche e dei trasporti pubblici. Sacrosanto, ma da oggi alle Olimpiadi mancano 8 anni: non bastano per risolvere il problema delle buche e dei trasporti pubblici?  E se non bastano, perché non bastano? Perché la Raggi, nel caso diventasse sindaco, non crede di essere in grado di risolvere problemi di ordinaria manutenzione anche se di straordinario impatto elettorale come le buche e i trasporti? C’è voluta la saggezza del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che è di Sel, per spiegarle che proprio i benefici che possono arrivare a un Comune da opere straordinarie come le Olimpiadi possono non solo creare migliaia di nuovi posti di lavoro ma garantire le risorse anche per l’ordinaria amministrazione.

Ma la novità delle novità che avvolge in una grande ambiguità la candidatura della Raggi è il forse inatteso ma certo non respinto endorsement dei due peggiori sindaci di Roma degli ultimi vent’anni: di Gianni Alemanno, la cui dedizione al clientelismo familistico resterà a lungo nella memoria dei romani, e di Ignazio Marino, destituito dal suo stesso partito (il Pd) per manifesta incapacità.

Perché Alemanno e Marino sentono il bisogno di spendersi pubblicamente per la Raggi? Certamente per livore e ansia di vendetta contro Renzi e contro il Pd, ma non solo. C’è un sogno inconfessato di continuità nelle loro dichiarazioni di voto e c’è l’intuizione gattopardesca che con il velleitarismo della Raggi a Roma tutto in apparenza può cambiare perché in realtà nulla cambierà. Proprio il contrario di ciò di cui la Capitale ha oggi un gran bisogno: uscire dalla palude, cambiare passo nell’ordinaria amministrazione come nei grandi progetti e tornare, finalmente, a fare la Capitale. Senza furbizie ma con grande chiarezza di idee.

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