Dopo il coronavirus i grandi sistemi metropolitani dovranno inevitabilmente ripensare se stessi perché saranno i più colpiti dal diverso modo di vivere la globalizzazione che sperimenteremo in futuro.
Non vi è dubbio che, nell’ultimo ventennio, sono state proprio le grandi aree metropolitane a crescere grazie all’intensità dei flussi globali, ad essere centri attrattivi e luoghi dell’innovazione e della creatività amplificata dal rimescolamento di mondi e di culture diverse. D’ora in poi è prevedibile che questi flussi si assottiglieranno e muteranno le loro caratteristiche; questo avverrà non solo per uno o due anni, cioè per il tempo realisticamente necessario a coprire tutto l’umanità con l’immunità vaccinale, ma, presumibilmente, in modo permanente perché la possibilità di nuove pandemie non sarà una funesta previsione di astrologi e chiromanti ma una credibile indicazione degli scienziati che ritengono che i cambiamenti della terra e dell’atmosfera (dalla deforestazione al riscaldamento globale) accrescono la possibilità del passaggio di virus dagli animali agli uomini e, di conseguenza, del manifestarsi in futuro di nuove pandemie.
Timore e cautela saranno sentimenti permanenti che guideranno i comportamenti delle persone, delle istituzioni, delle organizzazioni produttive e sociali. Inoltre è da ritenere che l’esperienza di questo prolungato lockdown (o semi lockdown) avrà effetti duraturi sul comportamento delle persone e determinerà mutamenti sostanziali nel nostro modo di vivere e di lavorare.
Anche Roma subirà questi cambiamenti; anzi forse li subirà più di altre città metropolitane perché l’economia romana, storicamente priva di grandi insediamenti produttivi, è più che altrove legata a flussi globali: quelli del turismo, innanzi tutto, ma anche quelli legati alle relazioni internazionali e, soprattutto, alla cristianità. Per il resto molte attività di tipo amministrativo e direzionale si adatteranno alla modalità in smart working sperimentata in questi mesi.
Lo smart working, per molte persone, in particolare per quelle non più giovanissime, ha comportato l’abbattimento di quella barriera psico-tecnologica che aveva sin qui confinato questa modalità di lavoro a esperienza marginale impedendone la diffusione. Le aziende ora hanno potuto verificarne i vantaggi di economicità dell’organizzazione produttiva (minori spazi per la logistica, minori costi per mense e altri servizi, possibilità di verificare produttività e qualità del lavoro dei singoli); i lavoratori hanno apprezzato il miglioramento della qualità della loro vita personale e familiare; e in molti casi anche delle relazioni lavorative perché la distanza fisica spesso comporta un rapporto meno autoritario della dirigenza.
Allora, perché non continuare dove si può? Soprattutto quando, con l’inizio della fase 2 e per lungo tempo a venire, con la riduzione della mobilità raggiungere il posto di lavoro diventerà un incubo quotidiano. Non solo: la maggiore dimestichezza con gli strumenti tecnologici ha fatto scoprire nuovi modi di organizzare la propria vita: spesa e acquisti online, piattaforme digitali per vedere film, news e documentari. Skype e Zoom per incontrare amici lontani. Un modo diverso di vivere è possibile. Tanto più che dal 4 maggio, con la capienza dei mezzi pubblici più che dimezzata, non solo andare al lavoro ma qualsiasi attività, andare dal medico, in un ufficio pubblico, a prendere i figli a scuola, o ad un qualsiasi appuntamento, sarà un’odissea. Tutti quelli che ne hanno la possibilità continueranno a fare online tutto ciò che è possibile e per il resto ricorreranno al mezzo privato o a un car sharing con persone conosciute, amici o parenti sicuramente non portatori di virus.
Non è un caso che a Roma il primo provvedimento dalla Giunta Raggi è stato quello di eliminare le zone a traffico limitato, mentre altri sindaci hanno chiesto al governo risorse per incentivare e sovvenzionare l’uso del mezzo privato per gli spostamenti urbani. O, come il decreto ex aprile, a dare bonus per l’acquisto di bici e monopattini.
Ma allora? Decine di anni di politiche mirate ad ampliare l’uso del mezzo pubblico rischiano di essere vanificate? Miliardi di investimenti per nuove reti di metropolitane, di materiale rotabile e autobus elettrici che potranno essere utilizzati al 30/40 per cento (secondo quanto prevedono le stime di ASTRA, l’associazione delle aziende di trasporto pubblico) con conseguente crollo degli introiti tariffari, avranno effetti devastanti sul conto economico delle aziende di trasporto locale e sui bilanci dei comuni? È stato calcolato che a Roma la portata di un treno della metropolitana crollerà da 1200 a 150 passeggeri così come una riduzione drastica ( non più del 30 per cento) della capacità di bus e tram. Un disastro che si abbatterà su di una città, la Capitale, nella quale, già prima del coronavirus, i servizi, e in particolare i servizi di trasporto erano al collasso. Ma anche la situazione finanziaria degli altri Comuni grandi e medi, già difficile prima del Coronavirus, adesso diventerà drammatica.
Le grandi città dovranno inevitabile ripensarsi a seconda delle loro caratteristiche: se per Milano, città abbastanza piccola e tutta in pianura, sarà possibile puntare a potenziare il sistema delle piste ciclabili, ciò sarà alquanto irrealistico in un territorio come quello romano che ha una estensione di circa un milione duecentomila chilometri quadrati ed è punteggiato di colli e di valli che i non più giovanissimi farebbero fatica a per correre in bici anche se con pedalata assistita.
Roma avrà bisogno ora più che mai di ripensare la sua forma urbis e di ridistribuire le sue funzioni sul territorio puntando sui municipi che dovranno finalmente divenire dei veri e propri comuni con una loro autonomia di vita, di organizzazione e di cittadinanza.
Innanzi tutto, come i vecchi quartieri, anche i nuovi quartieri della città metropolitana dovranno avere un nome che dia a ciascun territorio una propria identità e ai loro abitanti un senso di appartenenza che freddi numeri non possono suscitare: Stefano Boeri immaginando una nuova Milano, ha parlato di ritornare ai borghi. A Roma i nuovi quartieri dovranno probabilmente essere più piccoli degli attuali municipi – che oggi somigliano a cittadine medie con circa 200/250.000 abitanti – perché all’interno di ognuno dovrà svilupparsi un sistema socioeconomico autonomo, un proprio sistema di servizi pubblici e i cittadini dovranno poter raggiungere a piedi, in bici o con minitaxi individuali o collettivi la gran parte dei luoghi della vita amministrativa e commerciale del quartiere: alla città metropolitana spetterà solo la pianificazione e gestione dei grandi assi infrastrutturali e di mobilità. Dopo tanti tentativi andati a vuoto forse questa volta – pressati dallo stato di necessità – si riuscirà a realizzare una vera riforma della governance dei sistemi metropolitani.
Ma per Roma la questione vera sarà come rimettere in piedi un’economia al collasso. Anche qui occorre forse fare un mix di politiche in parte puntate all’innovazione, in parte riprese da esperienze precedenti. La ripresa non potrà che riprendere dall’edilizia, fulcro dell’economia romana. I bonus facciate, ecobonus e sisma, possono rappresentare delle leve importanti. Ma anche il riavvio di “grandi opere” bloccate dall’ignavia amministrativa di questi anni.
Il punto è proprio qui: una città non si può rimettere in moto, non può eleborare un progetto per il proprio futuro se non rimette in moto tutte le energie creative della città. Per fare questo occorre una guida che innanzi tutto ridia dignità alla città facendo funzionare i suoi servizi basici, a cominciare dal ciclo dei rifiuti, che rimetta in piedi la macchina dell’ordinaria amministrazione e della manutenzione urbana tappando le buche e riaprendo i parchi chiusi da mesi o da anni non per il coronavirus ma perché nessuno ha tagliato i rami spezzati dopo la nevicata di due anni fa. Da qui si potrà iniziare a immaginare un futuro e a mobilitare intorno a un nuovo progetto tutte le forze della città: produttive, culturali, sociali. E anche ad attrarre risorse finanziarie e umane. Prima di allora temo che le idee rischino di nascere e subito dopo morire perché non c’è a Roma, diversamente che in altre città, un sistema politico istituzionale in grado di portarle avanti.
A livello nazionale per una missione di questo genere si invoca Draghi. E a Roma? Ci potrà essere un Draghi che dia motivazione, entusiasmo e linfa ad una città oggi frustrata e disorientata? Bisogna trovarlo al più presto perché anche per l’Italia la rinascita della sua capitale ha un valore simbolico irrinunciabile.
alla luce dei fatti, delle iniziative di facciata, delle tanto decantate “eccellenze” che poi si è visto cosa hanno fatto, Roma devi riprendersi anche con forza se serve il suo ruolo. Se diciamo che l’economia di Roma è al collasso gli altri già sono in obitorio. Primo: Riportare la Borsa su Roma, e creare una sinergia unica la mondo tra antico e moderno che solo Roma ha condizioni di farlo. Il turismo con potenzialità uniche, di pari passo con la finanza e industria hi-tech alta tecnologia. Chi può permettersi spazi per aziende come l’ EUR?