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Roma, Chiostro del Bramante: Enjoy e l’arte del sorriso

Si sorride, si ride, ci si diverte, ci si interroga, si ritorna bambini, ci si abbandona a sensazioni che credevamo sopite, confrontandosi con grandi artisti internazionali, al Chiostro del Bramante dove si è aperta la mostra “Enjoi – L’arte incontra il divertimento”.  L’austero Chiostro, canone della più raffinata architettura rinascimentale, che il cardinale Carafa commissionò nel ‘500 a Donato Bramante, il rivale di Michelangelo, si trasforma per l’occasione in una foresta incantata popolata da immagini estranianti, instabili, ambienti che ricreano l’ebbrezza di un’ubriacatura con mobili che si aggrappano alla parete, sedie che si dilatano, volti che, come colorati insetti, proliferano sulle pareti, effetti sonori come una contagiosa risata  accompagna lo spettatore nel passaggio da un piano all’altro, proiezioni illusorie, dispositivi ottici, creazioni cinetiche, sculture che si animano. 

L’artista qui  non chiede solo ammirazione, ma coinvolge il visitatore in un gioco globale, in cui tutti possono diventare opera, basta sostare su una pedana, infilare un braccio in un foro, indossare un cappello e il gioco è fatto, chiunque può diventare una scultura vivente, un piacere sottile che interroga sul senso stesso dell’arte, sulla sua funzione, sulla necessità quotidiana di leggere la realtà come l?arte, se chiunque può diventare un’opera allora – questa la considerazione di fondo – tutto ciò che ci circonda può essere arte. Un’arte che non è altro-da-sé che vuole coinvolgere fisicamente oltre che mentalmente lo spettatore, che abbandonando virtualmente la parete e abolendo ogni distanza mentale, chiede un contatto fisico con il pubblico, chiede di essere toccata e manipolata, invita il pubblico ad appropriarsene e a sentirla propria.  

“Malgrado il peso di una retorica romantica, intenta a dipingere l’artista avvolto dai fumi della disperazione, della povertà, della malattia e dell’allucinazione, – spiega Danilo Eccher, curatore della mostra – malgrado il profumo decadente di un Simbolismo notturno che ha nell’”Isola dei Morti” di Arnold Boecklin il suo manifesto, malgrado il biancore cadaverico di un aulico neoclassicismo che rifiutava l’evidenza storica del colore nella Roma imperiale, malgrado infine l’alito acido di un deforme esistenzialismo che ha corroso una parte del Novecento, l’Arte non ha mai voluto rinunciare al piacere del suo gioco e del suo divertimento. Lo sono le ambigue composizioni di Arcimboldo, i paesaggi psichedelici di Hieronymus Bosch, i nudi provocanti di Rubens, i “Giochi di Bambini” o il “Banchetto nuziale” di Pieter Bruegel il Vecchio, le mele marce nelle “nature morte? di Caravaggio, il sorriso divertito di Paolo Veronese nel mettere personaggi buffi e inadeguati nella scena della “Cena a casa di Levi”, lo è Annibale Caracci che in una sala di Palazzo Farnese dipinge sulla volta, un putto che in un angolo, dietro una colonna, fa la pipì dall’alto, sulla testa di possibili principi e cardinali raccolti nel salone. Ma è soprattutto a cominciare dal primo Novecento che l’idea del gioco e del divertimento prende sempre più il sopravvento nella produzione artistica, anche come  reazione alle tragedie di due guerre mondiali, all’avvento di cupe dittature, al dramma inumano della Shoah che Marc Chagall, ebreo, sorvola con la leggerezza della fantasia infantile (…)”. 

Enjoi aggiorna questo gioco eterno dell’arte con i suoi spettatori ai giorni nostri. E colloca accanto a nomi consolidati come Alexander Calder e Piero Fogliati un nucleo di artisti internazionali, che rispondono ai nomi di Jean Tinguely, Leandro Erlich, Martin Creed, Ernesto Neto, Mat Collishaw, Tony Oursler, Erwin Wurm, teamLab, Hans Op De Beeck, Gino De Dominicis, Ryan Gander, Michel Lin, Studio 65, protagonisti sulla scena del terzo millennio. Tutti accomunati da un filo sotteso, il divertimento, assunto nell’accezione etimologica della parola, ovvero portare altrove, l’altro da sé, perdersi nei meandri dell’arte, e invitati a Roma a studiare come inserirsi nelle austere architetture rinascimentali del Chiostro del Bramante. L’esito è a dir poco sorprendente. Non fu forse Sigmund Freud  a riconoscere al gioco un’importante funzione cognitiva e formativa? Ed ecco allora che in questo impalpabile paesaggio fioriscono opere bizzarre, estreme, un nuovo mondo dai confini liquidi, dove tutto diviene inafferrabile, in cui l’immagine svapora in altre immagini, dove le dimensioni del quotidiano assumono dilatazioni ben oltre le loro proporzioni fisiche.

Così il giardino incantato si popola con le sculture leggere di Alexander Calder, un mobile sospeso che si anima al passaggio delle persone, così il visitatore può perdersi nel labirinto infinito di specchi di “Changing rooms” di cui l’artista argentino  Leandro Erlich, attraverso un abile uso dell’illusione ottica si serve per indurre lo spettatore a una riflessione sulla percezione dell’opera d’arte e su come l’esperienza artistica e il contatto con l’opera  possano modificare la vita di ognuno di noi. Ci si può quindi immergere (e riemergere) nelle installazioni ludico-concettuali di Martin Creed  inoltrandosi in una stanza chiusa oppressa da centinaia di palloncini rossi che vogliono viceversa far riflettere sulla mancanza d’aria, o vivere  l’esperienza dei raffinati giochi di luci illusorie di team Lab evoluzione digitale di un vero dipinto dove la rappresentazione della vita biologica dei fiori  visibili sul grande schermo  è sempre diversa: i fiori germogliano, crescono, fioriscono, si seccano, perdono i petali svaniscono attivati senza fine da un raffinatissimo sistema tecnologico che fa vivere l’opera in continuo contatto con il pubblico e che ne modifica l’intensità sulla base della percezione del pubblico presente in sala.

Estraniante e a dir poco inquietante è poi l’ingresso in una buia galleria dove si è inseguiti da grandi globi oculari mobili di Tony Ourler che si arrampicano sulle pareti e scrutano il curioso sconosciuto  l’opera si presenta così come una foresta animata  da presenze misteriose che osservano ma si lasciano al tempo stesso osservare. E non crea meno sorpresa  immergersi nelle opere di Erwin Wurm che propone le sue “One minute sculptures”: opera che esiste solo se il pubblico si mette in gioco seguendo le precise istruzioni indicate dall’artista. Il pubblico viene inviato pertanto a mantenere la posizione e a trasformarsi in una scultura per il tempo di un minuto. Diventa così un opera vivente. Ma dietro l’apparente ludicità di questo gioco, che chiede il coraggio di vincere il senso del ridicolo, si afferma la poetica dell’artista austriaco tutta tesa ad affermare un senso liberatorio delle convenzioni per aspirare a un mondo più libero e meno convenzionale.

“Il Piacere, il Gioco, il Divertimento, hanno il potere di scardinare ogni confine, superare ogni limite, sorprendere ogni consuetudine, abbattere ogni regola – suggerisce  Danilo Eccher – lo fanno senza la complicità della forza ma con l’allegria dell’intelligenza, l’acutezza del ragionamento, la sorpresa della metafora. L’arte ha sempre nascosto sotto la maschera della superficialità, sotto la coperta della banalità, nella delicatezza di un sorriso, un proprio aspetto più sottile, ambiguo, divertente e gioioso con il quale non si è mai soffermata a rimirarsi allo specchio ma ha intrapreso i percorsi più ardui, le sperimentazioni più azzardate, le analisi più feroci, affrontato i temi più complessi. “Enjoy” è l?anima di un’arte che non ha bisogno di giustificazioni, che non cerca compiacenze, che è consapevole della propria forza intellettuale, Enjoy è anche un invito a vivere l’arte in un modo più diretto, coinvolgente, appassionato e divertente”.

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Categories: Cultura