La situazione di Roma è al collasso. Ai noti problemi dei trasporti e della raccolta rifiuti, le cui responsabilità vanno ricercate non solo nell’attuale giunta, si aggiunge il grave deterioramento dell’ordine pubblico in alcune zone della città; il welfare locale non è in grado di fronteggiare l’emergenza dei circa 15.000 senza tetto, stimati dalla Caritas. In questa situazione le dichiarazioni felpate di Zingaretti sulle dimissioni della sindaca grillina Virginia Raggi sembrano ispirate a non attizzare una polemica nella quale anche lui, come Presidente della Regione e prima della Provincia, e il PD, che nelle sue varie mutazioni ha guidato la città per circa vent’anni degli ultimi trenta, non sarebbero immuni da critiche.
Curiosamente grave poi la sua dichiarazione, anch’essa ispirata evidentemente da una politica di appeasement nei confronti dei 5 stelle, che non si possono fare i termovalorizzatori perché le direttive europee imporrebbero il decommissioning degli impianti; dichiarazione manifestatamente falsa dal momento che le direttive impongono la chiusura (per il 2030) solo per gli impianti vecchi e fuori norma. Mentre Zingaretti va di fioretto le pagine di cronaca sembrano un bollettino di guerra.
In questo quadro politico, la discussione sul futuro di Roma che la Camera di Commercio ha provato ad aprire qualche settimana fa e a cui, con attenzione inusuale ma rivelatrice della gravità della situazione, ha partecipato anche il Presidente della Repubblica, non sembra per il momento aver lasciato grandi seguiti. D’altra parte, i problemi sono di una tale dimensione, la matassa talmente intricata tra disservizi pubblici, stato comatoso dell’amministrazione, sfiducia dei cittadini e condizione stagnante dell’economia romana che per un politico esporsi costituisce un vero azzardo. Da questo punto di vista la sindaca sembra fare scuola e c’è da domandarsi quali saranno le “idee sul futuro della città” su cui si svolgerà la campagna elettorale tra 15 mesi.
In particolare, la situazione economica della città sta subendo una trasformazione verso i servizi di un “terziario tutt’altro che avanzato”: tra il 2012 e il 2017 si registra l’esplosione della micro-impresa in settori a basso valore aggiunto, tipicamente destinati al turismo, come ristoranti (+17%) e affittacamere (+230%); alla fine del 2017 la quota di imprese operanti nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (21,1%), nelle costruzioni (8,9%), nei servizi di alloggio e ristorazione (7,3%), copriva complessivamente quasi il 40% delle imprese romane e il 25% in termini di addetti. Nel complesso, le capacità di recupero di fronte alla crisi si sono dimostrate limitate: rispetto al 2008 la Provincia di Roma registra, nel 2016, un incremento del valore aggiunto del 2,7%; Milano del 10,8%.
Inoltre, un numero crescente di persone, pur trovandosi nel pieno dell’età lavorativa, rinuncia a cercare un lavoro, arrendendosi ad una condizione di inattività; insieme a quanti sono alla ricerca attiva di un lavoro, ammontano a Roma a circa 352mila persone: una città nella città. Una situazione grave e in giro non ci sono molte idee o progetti su come rivitalizzare l’economia romana.
Per quanto riguarda quello che colpisce il quotidiano dei cittadini (nei limiti in cui la famosa rassegnazione dei romani non abbia in gran parte tutto sopito) – trasporti e rifiuti – sarebbe urgente una riflessione sul disegno centralistico basato sulle grandi municipalizzate che ha mostrato tutti i suoi limiti. Le due municipalizzate sono centrali d’acquisto di notevoli dimensioni, in cui è facile si annidino corruzione e cattive pratiche; non opera mai la minaccia della concorrenza, la possibilità che le concessioni del servizio non vengano rinnovate.
Restano portatrici di un fortissimo conflitto d’interesse: l’azionista delle municipalizzate (il sindaco) viene eletto anche dai dipendenti delle stesse municipalizzate. Una costituency elettorale non trascurabile (24.000 elettori) che rischia di bloccare qualsiasi scelta innovativa che punti ad una minore politicizzazione della gestione dell’impresa. Anche nella gestione dei rifiuti, una separazione della funzione della pulizia delle strade (il cosiddetto spazzamento) piuttosto che della raccolta potrebbe andare nella direzione di un alleggerimento della presenza pubblica diretta e di sviluppo di check and balances all’interno della filiera.
In questo settore il problema decisivo è però rappresentato dall’ostilità agli impianti di trattamento da parte della cittadinanza interessata dalla localizzazione degli impianti, ostilità assecondata se non incoraggiata dalle diverse forze politiche che hanno guidato la Regione e il Comune invece di essere governata attraverso adeguate forme partecipative che potrebbero orientare diversamente la sensibilità dei cittadini. Una diversa gestione della comunicazione e della partecipazione diminuirebbe l’ostilità verso il termovalorizzatore la cui realizzazione rappresenta invece condizione necessaria anche se non sufficiente per la soluzione del problema dei rifiuti a Roma.
Infine, c’è l’idea della revisione degli assetti istituzionali, entrata nel dibattito dopo le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio nel discorso d’insediamento del suo secondo governo. Si discute intorno all’ipotesi di abolizione del Comune – “istituzione troppo grande e troppo piccola” – di rafforzamento della Città Metropolitana e di trasformazione dei municipi in Comuni o, in versione più radicale, l’ipotesi di attribuzione alla Città Metropolitana dei poteri della “Regione Capitale”. Ma la nuova articolazione dei poteri locali quali settori dell’intervento pubblico dovrebbe interessare? E come riorganizzare la spartizione delle competenze tra la macchina comunale e le agenzie (come “Risorse per Roma”)? La calibratura di questi aspetti sembra decisiva.
È invece evidente il rischio di una valutazione tutta politica, dove il fattore più importante è solo come e a chi si ridistribuisce il potere, mentre viene trascurato il principio che l’amministrazione è anche una macchina organizzativa da guidare con logiche organizzative. D’altra parte, nessuna riforma istituzionale è destinata ad avere effetti rilevanti se l’amministrazione comunale non viene riformata e ringiovanita. Se la burocrazia è inadeguata – e tutte le vicende di questi anni, dalla vicenda di Mafia Capitale a quella dell’ex capo del personale del Comune a quello dello stadio della Roma, costituiscono in tal senso evidenza difficilmente confutabile – è pressoché impossibile che si possano implementare le riforme di cui la città ha bisogno né svolgere quei compiti di controllo e monitoraggio che un coinvolgimento dei privati – a cui è impensabile rinunciare totalmente – richiede.
Come si veda il catalogo, parziale e provvisorio, è comunque molto ampio. Il rischio che si tratti di un libro dei sogni, consistente.