Dopo il decreto su Imu e cassa integrazione, il governo Letta deve affrontare altri tre capitoli fondamentali. La scadenza più imminente è quella dell’Iva: senza un nuovo intervento, dal primo luglio la terza aliquota dell’imposta passerà automaticamente dal 21 al 22%. Gli altri due campi d’intervento sono lavoro e pensioni. Per incentivare l’occupazione giovanile e ridurla almeno dal 38 al 30%, il Governo sta mettendo a punto una serie d’interventi a correzione delle riforme varate l’anno scorso dall’ex ministro Elsa Fornero.
Su ogni provvedimento, tuttavia, incombe il fantasma delle coperture: la spesa pubblica non può aumentare, perché l’Esecutivo vuole essere certo che a fine mese Bruxelles chiuda la procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese. E per il 2013 le previsioni parlano di un deficit già al 2,9% del Pil, a un passo dalla soglia invalicabile del 3% stabilita a Maastricht. Molto quindi dipenderà dalla decisione che l’Ue prenderà a breve sulla golden rule, che secondo un’interpretazione estensiva potrebbe consentire di escludere dal calcolo del deficit, oltre agli investimenti infrastrutturali, anche quelli produttivi come i fondi per l’occupazione. Se così fosse l’Italia potrebbe mettere in campo per il lavoro tra i 10 e i 12 miliardi di euro, se non di più.
IVA
L’aumento dell’Iva farebbe bene ai conti pubblici, ma investirebbe circa il 70% dei consumi, deprimendo ulteriormente l’economia reale, con 26 mila imprese a rischio chiusura entro il 2013. Secondo l’ufficio studi di Confcommercio, l’aggravio costerebbe in media 135 euro l’anno a ogni famiglia. Per evitare che accada l’Esecutivo deve trovare almeno due miliardi.
LAVORO E PENSIONI
L’intervento dovrebbe articolarsi in due tempi. Si punta in primo luogo a restituire flessibilità ai contratti a termine con una serie di misure: riduzione degli intervalli obbligatori tra un contratto a termine e l’altro, che la riforma Fornero aveva aumentato da 10 a 60 giorni per quelli fino a sei mesi e da 20 a 90 giorni per quelli più lunghi (probabile che la nuova soglia sia rispettivamente di 20 e 30); allungamento del contratto a termine per il quale l’azienda non è tenuta a indicare una causale, che oggi non può superare l’anno; sospensione del contributo aggiuntivo dell’1,4% che le imprese devono pagare sui contratti flessibili e semplificazione dell’apprendistato.
In secondo luogo, il Governo vorrebbe introdurre la cosiddetta “staffetta generazionale”, agevolando l’uscita dal lavoro degli anziani in modo da favorire l’assunzione dei più giovani. I primi potrebbero concludere la propria esperienza in part-time (ma in questo caso lo Stato dovrebbe pagare parte dei loro contributi), oppure accettare di andare in pensione con qualche anno di anticipo e un assegno previdenziale più leggero.
A tutto questo dovrebbero aggiungersi altre misure: incentivi per le imprese che assumono giovani, credito d’imposta per sostenere i dipendenti a basso reddito, rivoluzione dei centri dell’impiego, che potrebbero sfruttare il meccanismo e i fondi della Youth Guarantee, progetto europeo per la formazione e l’impiego degli under 25.
Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, incontrerà mercoledì i sindacati e i rappresentanti delle imprese. “È un incontro per ascoltare e per ragionare insieme. Non una trattativa”, ha detto il ministro.