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Ritorna in campo l’Orso: scivoloni a catena in Borsa

Lo tsunami è arrivato a Wall Street, provocando un brutto scivolone al Dow Jones (-2,22%, ovvero 279,65 punti in meno a quota 12.290,14), ma anche allo S&P 500 (-2,38%) e al Nasdaq (-2,33%). Il blocco delle forniture dal Giappone di molti componenti necessari per la produzione, soprattutto per le fabbriche Toyota e Honda negli Stati Uniti, è una delle cause dell’improvvisa gelata dell’economia che si è tradotta in una frenata dell’occupazione: solo 38mila nuovi posti a maggio contro i 175mila previsti. “Il calo degli arrivi di componenti dal Giappone assieme all’aumento delle materie prime e agli uragani che hanno investito diversi Stati – ha commentato al New York Times Nigel Gaunt, capo economista di Ihs Global Insight – ha provocato la frenata. E’ un grosso guaio perché finora la ripresa era stata trainata dal settore manifatturiero”. L’impatto della crisi giapponese si è rivelato più pesante delle produzioni: la Toyota Usa ha ridotto del 33% il numero delle vetture assemblate in territorio americano. La conseguenza più bizzarra è che i tre Big di Detroit si sono ritrovato in testa alla classifica delle vetture consegnate il mese scorso, il primo in calo (-3,7%) dopo 18 mesi consecutivi di maggiori vendite. Anche Chrysler, l’unica a chiudere il mese con un segno positivo, risale sul podio dopo un tempo immemorabile. Una situazione anomala, insomma, ma destinata ad avere pesanti riflessi sull’apertura in Asia e in Europa.

SEDUTA ORSO ANCHE PER L’ASIA: TOKYO -1,55%

Le perdite di Wall Street hanno pesato sui listini asiatici. La più colpita è stata la Borsa giapponese ( Nikkei 225 in calo dell’1,55%) su cui ha pesato anche il voto di sfiducia in Parlamento nei confronti del premier Naoto Kan. Giù anche le altre Borse: Hong Kong (-1,69 %), Seul (- 1,29%) e Shangai (- 0,87%). Sidney ha perduto l’1,82%.

MOODY’ DEGRADA LA GRECIA A JUNK BOND

Tre gradini in meno in una volta sola: l’agenzia di rating Moody’s ha deciso ieri sera di abbassare il rating greco da B a Caa1 mantenendo per giunta un outlook negativo. Una decisione, replica una nota del governo di Atene, “non tiene in alcun conto i nostri sforzi in materia di tagli e di privatizzazioni”. La bocciatura potrebbe però accelerare l’accordo tra la Grecia e i negoziatori per conto di Bce, Fmi e Ue. Resta ancora da risolvere il nodo di chi guiderà le privatizzazioni: la “trojka” chiede che tocchi ad una rappresentanza delle istituzioni internazionali, Atene resiste.

BANCHE, GLI STRESS TEST RINVIATI A LUGLIO E L’EBA ACCUSA: QUALCHE ISTITUTO BARA SUI NUMERI

L’esito degli stress test cui si sono sottoposte 91 banche di 21 Paesi dell’area euro sarà reso noto solo a luglio avanzato e non, come già annunciato dall’Eba, l’ente europeo incaricato degli esami, a giugno. Il rinvio, anticipato dal Wall Street Journal, è il frutto di una trattativa a tre tra la banche, autorità di Vigilanza e la stessa Eba, convinta che i dati presentati da diverse banche siano “troppo ottimistici” al punto da vanificare la credibilità del’operazione. Per questo, dopo un lungo contenzioso con l’Eba, che già a marzo restituì numerosi questionari perché riportavano numeri “palesemente gonfiati”, si è deciso di procedere ad un nuovo round di valutazione per alcuni istituti. Dopo il “flop” del 2010, quando gli stress test promossero le banche irlandesi che di lì ad un paio di mesi avrebbero trascinato l’Irlanda sull’orlo del default, l‘Eba non intende sbagliare. Gli stress test, com’è noto, servono proprio a valutare la tenuta dei conti degli istituti di fronte a situazioni di crisi sistemica. O di brusca caduta del valore degli assets in portafoglio, circostanza tutt’altro che teorica, vista la caduta di prezzo degli hellenic bond. “Gli errori devono essere rettificati – ha confermato una portavoce dell’Eba – Non abbiamo fissato una data per la pubblicazione perché daremo il via libera solo quando i documenti ci soddisferanno”.

MPS, LA FONDAZIONE FA LA CURA DIMAGRANTE E LA BANCA SI RAFFORZA IN VISTA DI BASILEA 3

Non capita tutti i giorni che una società che capitalizza 4,788 miliardi perda in un colpo solo il 7 per cento abbondante del capitale e si ritrovi la sera con una capitalizzazione di 4,834 miliardi. Ma non capita tutti i giorni di imbattersi in Banca Mps, storico e stimato istituto dallo statuto complicato quanti altri mai. Ieri, infatti, la Fondazione Montepaschi ha compiuto a sorpresa il grande sacrificio: sul mercato sono state collocate, con l’ausilio di Goldman Sachs, 450 milioni di privilegio, circa la metà dei titoli (1 miliardo) dei titoli di questa categoria in carico ala Fondazione, l’unica autorizzata a possedere azioni a questa categoria. Ai sensi dell’articolo 4 dello statuto del Monte, infatti, i titoli sono stati convertiti automaticamente in azioni ordinarie. Infatti, lo statuto prevede che “l’alienazione delle azioni privilegiate è comunicata senza indugio alla società dall’azionista venditore e determina l’automatica conversione alla pari delle azioni privilegiate in azioni ordinarie”. E così, con un colpo di bacchetta magica, il flottante (e di riflesso la capitalizzazione) di Mps è cresciuto del 6 per cento abbondante con benefici sul fronte di Basilea 3:i nuovi criteri patrimoniali non computano infatti nel capitale di vigilanza le azioni privilegiate, ma solo il capitale ordinario. Non è certo questa la ragione che ha spinto la Fondazione a privarsi delle sue privilegio. Grazie alla cessione, però, l’ente continua a detenere il 50,1 per cento della banca ma potrà far fronte pro quota al prossimo aumento di capitale del prossimo luglio senza dover vendere diritti sul mercato, evitando così un elemento di turbativa in un’operazione che, dati i chiari di luna sui mercati, non s’annuncia come una passeggiata.

I T-BOND SCIVOLANO SOTTO IL 3 PER CENTO GESTORI SORPRESI: ANCHE BILL GROSS HA SBAGLIATO

Ieri il T.bond decennale ha ingranato al ribasso la barriera psicologica del 3 per cento. A mezzogiorno, ora di New York, il rendimento è calato al 2,97%, 33 punti sotto le quotazioni di inizio maggio, per poi chiudere a quota 295. Insomma, un ottimo affare per chi, un mese fa, ha avuto il fiuto di puntare sul debito pubblico Usa. Cosa che, per la verità non è stata fatta dai grandi nomi del mercato, a partire da Bill Gross, a capo di Pimco (la più grande società di investimento in obbligazioni del pianeta>) che proprio all’inizio di maggio aveva iniziato a sganciarsi dal debito Usa a vantaggio di emissioni corporate e del mercato azionario. E’ la conferma che, a poche settimane dalla conclusione del “quantitative easing” promosso dalla Fed, le reazioni del mercato sono così imprevedibili da mettere a dura prova le capacità degli operatori più avveduti. In realtà, a poche settimane dallo stop, l’economia americana moltiplica i segnali di debolezza, a partire dall’occupazione fino alla situazione del mercato immobiliare, ove sembra ormai inevitabile un “double dip”, cioè una ricaduta verso la recessione. In termini operativi, insomma, Wall Street dà per scontata un’uscita morbida dal QE 2, che ha pompato nel sistema 600 miliardi di liquidità mediante riacquisto di Treasury. E’ quasi scontato che la banca centrale continuerà a comprare titoli sul mercato, a mano a mano che andranno a scadenza quelli già in portafoglio. Perciò chi compra titoli al 2,97 % ha ragionevole speranza di credere che, di lì a pochi giorni, la Fed li ricomprerà sul secondario.

LA BEI PUNISCE IL COLOSSO GLENCORE. PAGA IL MERCATO.

Ma non ci potevano pensare prima? La Bei ha deciso di sospendere ogni operazione che abbia come controparte la Glencore, la più importante società che opera nel mondo delle commodities, a causa di presunte violazioni fiscali a proposito di investimenti nelle miniere di rame dello Zambia. Secondo l’accusa non si tratta di un episodio isolato, ma di atteggiamenti disinvolti (se non peggio) che sono abitualmente seguiti dalla società di Zug, da poche settimane star del listino dell City e di Hong Kong dopo la terza Ipo, per rilevanza, nella storia della Borsa inglese. E’ questo il motivo del malcontento: per quale ragione, c’è da chiedersi, la Bei abbia atteso l’esito dell’Ipo per prendere una decisione sollecitata da tempo da numerose ong che operano in Africa? Il sospetto è che il “timing” non sia casuale, bensì il frutto di un compromesso. Ai danni dei soci di minoranza, com’è non buona consuetudine.

IN SQUADRA ENTRA BUFFON, ZUCCHI TORNA A VINCERE (+ 7%)

L’assemblea dei soci di Zucchi ha approvato all’unanimita’ il bilancio e ha deliberato di destinare l’utile a riserva. Ma soprattutto i soci hanno votato il nuovo cda. In squadra, come previsto, entra Gigi Buffon, che ormai è il secondo azionista con una quota del 14 % ma anche un diritto di prelazione per salire fino al 20 per cento. Piazza Affari tifa per il Buffon azionista, come dimostra il balzo (+7,14%) del titolo. Il portiere della Nazionale, però, non farà parte dei comitati interni. Peccato, perché Gigi paratutto avrebbe avuto qualcosa da insegnare all’inerno del Comitato Remunerazione.

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