Luoghi di consumo, stili alimentari, ritmi di vita mutano ma, a dispetto di una cucina mediatica che inonda trasmissioni TV, canali satellitari, giornali, riviste e i social, la passione degli italiani per il ristorante e la cena fuori non tramonta. I dati FIPE (Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi) all’interno del rapporto 2019, sono chiari: il settore della ristorazione, attestato a quota 336.000 imprese nel 2019, sta conoscendo una stagione di mutamento.
Nell’ultimo anno la spesa delle famiglie ha raggiunto oltre gli 86 miliardi di euro seguendo un trend di incremento costante che ha visto i consumi degli italiani spostarsi sempre più fuori dalle mura domestiche nell’ultimo decennio. Una performance che ha consentito al mercato italiano della ristorazione di diventare il terzo più grande in Europa dopo quello di Gran Bretagna e Spagna. Tuttavia, all’interno di questo quadro apparentemente ottimistico, si segnala un dato allarmante: se sono state aperte 13.269 nuove imprese della ristorazione, ben 25.934 hanno chiuso. Un saldo negativo che deve far riflettere
A questo si aggiunge una svolta ambientalista ed ecologica dei consumi, oltre all’inclinazione al cucinare sempre meno, ed ordinare a domicilio sempre di più: sono le due macro-tendenze fotografate dal paniere ISTAT 2020 che, di fatto, rappresenta quelle che sono le abitudini degli italiani. Non a caso, il cibo a domicilio è entrato a farne parte, visto che ben il 37% degli italiani dichiara di aver ordinato dal telefono o dal proprio computer pizza, piatti etnici o veri e propri cibi gourmet durante l’anno, come rilevato da un’analisi di Coldiretti e Censis. Il food delivery, ad opera dei riders, è un mercato, sottolinea Coldiretti, al quale si rivolgono 18,9 milioni di italiani con regolarità (3,8 milioni) o occasionalmente (15,1 milioni).
E’ evidente che il settore tradizionale della ristorazione registra una sofferenza. In questo contesto dinamico, focus sulla managerialità, format ristorativi innovativi, attenzione e tutela della qualità possono offrire una risposta concreta al mercato in crisi.
Al ristorante gli italiani cercano e vogliono soprattutto i prodotti del territorio: sette consumatori su dieci prestano attenzione alla provenienza delle materie prime e il 54% vuole conoscere le origini dei piatti. Il vantaggio di ricorrere a una cucina centralizzata risiede proprio in questo, nella capacità di gestire in modo capillare i propri fornitori e garantire il rispetto della filiera e di nome specifiche nella scelta delle materie utilizzate. Ciò che attira in maniera sempre più marcata i consumatori all’interno dei ristoranti è proprio la tradizione. Il 50% degli intervistati da Fipe, infatti, cerca e trova nei locali che frequenta un’ampia offerta di prodotti del territorio, preparati con ricette classiche.
In 10 anni la spesa degli italiani per mangiare fuori è aumentata di 4,9 miliardi. Per andare incontro ai nuovi consumi, oggi più che mai occorre conoscere le caratteristiche della clientela a cui ci si rivolge. I format ristorativi di successo sono quelli che puntano alle esperienze nuove e coinvolgenti, alla trasparenza e all’ecologia. Se fino a qualche anno fa i ristoratori destinavano tutti gli sforzi alla ricerca dei prodotti di qualità e alla creatività delle ricette, oggi parte di quelle energie vengono spese per comunicare l’impegno, le idee e la propria visione affidando la parte di ideazione del format e del menu a esperti in grado di ottimizzare la produzione.
C’è poi da considerare il fenomeno del plagio e della contraffazione dell’italianità, un fenomeno fortemente penalizzate del Made in Italy. Si moltiplicano i casi di concorrenza sleale anche all’estero con il fenomeno del plagio delle certificazioni di origine protetta e controllata. Per questo è stato creato il marchio di riconoscimento “ospitalità italiana”. Attraverso di esso, il nostro Paese certifica che si tratta di ristoranti che utilizzano prodotti italiani e si ispirano ad autentiche ricette italiane; per contrastare l`italian sounding c’è una rete di 2.200 veri ristoranti italiani certificati fuori dal nostro Paese.
La questione non riguarda solo i prodotti della filiera agroalimentare, ma anche insegne e marchi registrati di ristoranti imitati all’estero. Per questa ragione formalizzare i menu attraverso una produzione esperta e centralizzata può consentire l’elevato mantenimento di standard qualitativi e organolettici e, di conseguenza, il rispetto delle ricette e delle pietanze che assicurano, così, l’autentica esperienza culinaria.
I consumatori non solo investono di più, ma lo fanno in maniera sempre più mirata, andando a ricercare la miglior qualità dei prodotti locali e un servizio attento alla sostenibilità ambientale. Sette consumatori su dieci prestano attenzione alle politiche green dei ristoranti: il 37,7% verifica, ad esempio, se è disponibile la doggy bag contro gli sprechi di cibo e il 36,7% chiede prodotti provenienti da allevamenti sostenibili secondo FIPE.
I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro la ristorazione è la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare, continuando a far crescere l’occupazione e contribuendo alla tenuta dei consumi alimentari. Tuttavia, abusivismo commerciale e concorrenza sleale sono tra i motivi di sofferenza maggiore. Crescono le attività senza spazi, senza personale, senza servizi soprattutto nei centri storici delle città più grandi. Aumentano paninoteche, kebab e take away di ogni genere (+54,7%), diminuiscono i bar (-0,5%). I preoccupanti tassi di mortalità delle imprese confermano che ascolto del mercato e innovazione sono processi fondamentali per il successo.
Abbandonare il vecchio concetto di ristorazione a vantaggio di un nuovo modello di business ristorativo in cui avere a disposizione una cucina centralizzata, o ghost kitchen che dir si voglia, rappresenta un valore aggiunto, un plus a sostegno dell’imprenditore che vuole proporsi e imporsi sul mercato in modo forte e innovativo.