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Ristorazione: 11 milioni di persone mangiano fuori casa, ma la crisi pesa ancora

Mentre è acceso il dibattito sulla legge di bilancio 2017, può essere utile osservare lo stato di salute di alcuni settori produttivi che costituiscono una spia valida per comprendere l’andamento dell’economia reale. Fra questi, per caratteristiche ed estensione, vi è quello della ristorazione: basta pensare che ogni giorno, in Italia, circa 11 milioni di persone mangiano fuori casa e che la sola ristorazione collettiva (scuole ed ospedali soprattutto) produce un fatturato annuo superiore ai 4 miliardi di euro.

La manovra proposta dall’Esecutivo è dichiaratamente finalizzata a imprimere una scossa al sistema Italia puntando su investimenti e sostegno dei consumi. Ma quali scelte possono meglio aiutare il concreto raggiungimento di questi obiettivi? Da “Ristorazione 2016” – la mostra-convegno che si è svolta a Milano nei giorni scorsi – sono emersi spunti che aiutano a dare una risposta a questo interrogativo. Questa iniziativa – promossa dal mensile “Ristorando”, la testata diretta da Antonio Savoia che da oltre vent’anni segue l’attività della ristorazione in tutti i suoi aspetti (commerciale, collettiva, a catena) – è giunta alla sua nona edizione.

Nell’appuntamento di quest’anno, “Ristorando” ha dato vita a un confronto particolarmente ampio con l’intervento di oltre cento relatori fra politici, economisti, dirigenti pubblici ed operatori del settore.

Ne è scaturito uno scenario che si può sintetizzare così:

i consumi alimentari hanno subito una pesante contrazione durante gli anni di crisi più acuta: tra il 2007 e il 2015 oltre 18 miliardi di euro a valori costanti secondo una elaborazione fatta, su dati Istat, dal Centro studi della Federazione dei pubblici esercizi (Fipe);

gli operatori della ristorazione hanno tenuto (meglio nell’ambito commerciale, con più difficoltà nel segmento mense) solo grazie alla tendenza, ormai consolidata anche in Italia, a spostare i consumi alimentari fuori casa (in vent’anni l’incremento percentuale relativo è stato superiore agli otto punti);

– peraltro la spesa delle famiglie in questo campo, malgrado il recupero segnato negli ultimi tre anni, resta largamente inferiore, in termini reali, a quella che si registrava nel 2007, cioè prima dell’esplodere della crisi.

“La domanda è debole”, rileva Luciano Sbraga, direttore del Centro studi della Fipe, “ma almeno oggi c’è. Tuttavia preoccupa che i segnali di ripresa vadano perdendo di intensità rispetto ai mesi scorsi”.

In effetti, nelle imprese di ristorazione, il clima di fiducia (ed è la seconda volta che capita dal 2007) torna in zona positiva, ma l’indice che lo misura è di 5 punti percentuali più basso rispetto al massimo, toccato appena un anno fa. Per dare una spinta decisa al recupero quindi non basta guardare soltanto alla domanda. “Un problema è dato anche dal profilo dell’offerta”, riconosce Sbraga.

Questa oggi scaturisce da un settore di dimensioni rilevanti (i pubblici esercizi contano 260mila imprese, un milione di addetti e 40 miliardi di valore aggiunto) appesantito però da molti punti critici che possono riassumersi nella formula: tante imprese, tanti occupati, poca produttività.

C’è quindi una sfida da affrontare che riguarda in primo luogo gli operatori, ma il suo successo dipende anche dall’indirizzo complessivo di politica economica. In ogni caso, scegliendo la ristorazione come osservatorio si può concludere che la via di una completa uscita dalla crisi appare ancora lontana.

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