“La ripresa della ristorazione in Italia? Sarà difficile, ma ne usciremo a testa altissima”. Il grido di battaglia è lanciato dallo chef stellato toscano Cristiano Tomei, star televisiva e titolare de “L’Imbuto” a Lucca. A lui FIRSTonline ha chiesto una riflessione sulla riapertura dei ristoranti e sul distanziamento di un metro tra le persone, che gli scienziati giudicano risicata ma che per gli esercizi di ristorazione significa salvare coperti e posti di lavoro. “Il mio locale è nella sede di Palazzo Pfaffer, nel grande giardino barocco dove fu girato il film “Il Marchese del Grillo” con Alberto Sordi, al quale abbiamo pure dedicato un piatto. Perciò soprattutto d’estate non abbiamo problemi di spazi, anche se abbiamo comunque dovuto ridurre i coperti da 40 a 25”.
Chef, non c’è il rischio che, consentendo un solo metro di distanza tra le persone, i locali abbiano più coperti ma i clienti si sentano meno sicuri?
“Questo non so dirlo. Del resto stiamo vivendo una situazione così inedita, mai sperimentata. Noi per essere più sicuri abbiamo previsto una distanza superiore al metro, ma è difficile dire in assoluto cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e io non sono uno scienziato. Da ristoratore posso solo dire che è comprensibile essere arrabbiati, ma che bisogna anche essere propositivi. Il nostro è un mestiere da pazzi, soprattutto in un momento come questo, e ci vuole un po’ di follia pure per venirne fuori. Ci sono meno coperti? E allora pensiamo a dare un servizio migliore, ad esempio”.
Come?
“Curando di più il cliente, non facendogli pesare la situazione. Mai come in questo momento il calore umano è importantissimo, bisogna essere generosi. Per dirla con uno slogan, questa è una fase in cui dobbiamo essere distanti ma allo stesso tempo vicinissimi”.
Però la ristorazione è basata sul contatto fisico con il cliente. Come si fa a coccolarlo a distanza?
“Non posso dire quello che farò in cucina, ma intanto lo si coccola ad esempio mandandogli la lista dei vini su Whatsapp, al momento della prenotazione, in modo che possa sceglierli comodamente ancora prima di arrivare al ristorante. E poi ci sono le attività collaterali, che nel nostro caso servono anche a coinvolgere parte del personale che altrimenti rischierebbe di restare a casa. Ad esempio abbiamo lanciato Imbuto Box, il servizio di consegna a domicilio, in tutta Italia con corriere refrigerato, di ingredienti che predisponiamo fornendo poi ai clienti le istruzioni per cucinare il piatto, con diverse opzioni. L’iniziativa ha avuto successo e continueremo assolutamente a proporla. Del resto dobbiamo rassegnarci: il mondo è cambiato, e dunque anche il modo di fare ristorazione”.
Inizialmente prevede più entusiasmo per la ritrovata libertà o timori di contrarre un virus che è ancora in giro?
“Noi riapriamo venerdì (22 maggio) e abbiamo già diverse prenotazioni. Il nostro però è un ristorante di fascia alta, con una clientela che non ha problemi economici e con spazi esterni. Non per tutti sarà così ed è per questo che non so fare un pronostico su come andrà. Da quello che percepisco in giro, avremo una fase iniziale di euforia, poi vedremo. Comunque andare al ristorante è rischioso come andare al supermercato, eppure facendolo in sicurezza siamo riusciti a contenere il virus in questi mesi”.
Voi a “L’Imbuto” che misure di sicurezza avete predisposto?
“Oltre come le dicevo di prevedere una distanza maggiore di un metro tra le persone, stiamo facendo alla lettera tutto ciò che ci è stato chiesto: sanificazione dei locali, pulizia dei filtri dell’aria condizionata nella parte interna, etc. Ci siamo persino organizzati per rispettare le distanze in cucina, dove dovremo essere in meno persone per volta ma farò in modo di far lavorare il più persone possibile, coinvolgendole in altre attività, anche dirottandole nel laboratorio dove facciamo la panificazione”.
Che cosa può avervi insegnato la quarantena, come ristoratori ma anche come persone?
“A correggere alcuni errori del passato, soprattutto nella programmazione del lavoro. Questa emergenza per quanto mi riguarda ci ha fatto riscoprire il valore del tempo”.
Avete in mente iniziative particolari per sostenere le materie prime made in Italy, in questo momento difficile per la filiera?
“Lo facciamo da sempre, anche perché secondo me la stagionalità è una cosa normalissima, persino fisiologica. E’ lo stesso organismo umano a richiedere prodotti stagionali, quindi ovviamente usiamo solo materie prime di prima qualità e locali”.
La qualità sarà un fattore della ripartenza?
“Decisamente. Noi italiani abbiamo il dovere culturale di fare qualità. In cucina conta più la cultura della tecnica. E anche in cucina le persone cercano certezze”.