I Pir avrebbero dovuto rappresentare una svolta. Uno strumento finanziario volto a dare una scossa ad un mercato quasi fermo e a canalizzare il risparmio verso le Pmi. Nei suoi primi due anni di vita il progetto del Governo Renzi (i piani individuali di risparmio sono stati introdotti con la legge di Bilancio 2017) sembrava aver centrato tutti gli obiettivi. Nel 2017 i dati sulla raccolta furono sbalorditivi: 10,7 miliardi di euro. Il 2018 fu invece l’anno della normalizzazione, con una raccolta che sfiorò i 4 miliardi di euro. Ai risparmiatori – attratti soprattutto dalla detassazione sulle plusvalenze – i 72 fondi Pir Compliant presenti sul mercato piacevano, e pure tanto.
I problemi sono cominciati il 1°gennaio 2019 quando, a causa delle nuove regole introdotte dal Governo Lega-M5S nell’ambito della legge di Bilancio 2019, il mercato dei Pir è rimasto totalmente paralizzato per 4 mesi. Mancavano i decreti attuativi sulla nuova normativa, senza i quali i gestori non hanno potuto proporre ai clienti la sottoscrizione di nuovi piani individuali di risparmio.
L’arrivo dei suddetti decreti non ha risolto la situazione, anzi. La paralisi si è prolungata e, secondo il presidente di Assogestioni Tommaso Corcos, “la fase di stallo è destinata a continuare”.
A dimostrarlo ci sono i numeri. Nel secondo trimestre del 2019 la raccolta netta dei Pir è stata negativa per 348 milioni. Male, secondo l’Osservatorio de Il Sole 24 ore-Plus, anche luglio e agosto che hanno fatto segnare rispettivamente -151 milioni e -46 milioni di euro. Addirittura, negli ultimi mesi, ben 3 dei 6 Etf Pir Conformi presenti sul sito Borsa italiana sono stati chiusi e le prospettive per l’intero 2019 non sono delle migliori. “Considerando il trend, abbiamo rivisto al ribasso le stime di raccolta sul nostro monitor Pir del 2019 da zero a -700 milioni“, spiega al quotidiano economico Luigi De Bellis, co-responsabile Uffico Studi Equita.
Causa di tutto ciò, secondo i gestori, sarebbero proprio le nuove regole introdotte dalla vecchia maggioranza che obbligano gli investitori che decidono di puntare sui Pir a destinare parte del loro denaro all’Aim e al Venture Capital.
“L’inserimento di asset illiquidi nel portafoglio dei fondi aperti” – spiega Corcos in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore – può “creare grandi problemi di gestione e i recenti negativi accadimenti che hanno interessato alcune importanti società del risparmio gestito ne sono l’esempio significativo”, continua il manager che poi avverte sui “rischi legati a investimenti che possono compromettere la liquidità del fondo”.
A novembre scadranno i sei mesi successivi all’entrata in vigore dei decreti attuativi e il ministero dello Sviluppo Economico dovrà fare una prima valutazione sull’impatto della nuova normativa sul mercato. Ed è proprio a questa valutazione che Corcos si appella per chiedere delle modifiche sostanziali.
“Propongo di tornare alla versione originale dei Pir, eliminando l’introduzione dei vincoli minimi di investimento sull’Aim e sul venture capital. Sarebbe un passo molto importante”, dichiara il presidente di Assogestioni al Sole 24 Ore.
La proposta insomma è quella di tornare ai Piani individuali originali, quelli che nel 2017 hanno “colpito al cuore” gli investitori. “Questi prodotti hanno avuto il grande pregio di avvicinare il pubblico retail al mercato dei capitali, l’imprenditore alla Borsa, di immettere liquidità e di aver favorito le Ipo. Hanno dato vivacità a un mercato che infatti adesso è fermo”, conclude Corcos.
L’occasione per cambiare potrebbe arrivare già con la legge di Bilancio 2020. Chissà che il ritorno del PD al Governo non favorisca la retromarcia chiesta da Assogestioni.