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Risparmio: nell’era del tasso zero, le famiglie scelgono casa e depositi

FIRSTonline

Migliorano le aspettative economiche delle famiglie. Nel 2016 il 60% giudica infatti imminente un miglioramento e il 20-22% pensa di aumentare le spese per i figli, di espandere quelle per la salute e per l’acquisto di beni durevoli, rinviato negli anni passati.

E’ la fotografia scattata dalla consueta Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2016 condotta da Intesa Sanpaolo e dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi che è stata presentato oggi a Torino e che quest’anno si è concentrata sulle scelte di investimento in condizione di tassi di interesse bassi o nulli.

Se la ripresa c’è, per quanto lenta, il risparmio è ancora indirizzato soprattutto per far fronte all’incertezza, seguito da quello fatto per i figli e per la casa. Si risparmia invece ancora troppo poco per la vecchiaia. Non solo. Con il ridursi delle preoccupazioni legate alla crisi economica, si è ridotta la quota di intervistati che è interessata ai temi economici (46,5%), con il sorpasso di quelli non interessati (53,5%). Tuttavia, quando investono i capofamiglia riferiscono come priorità assoluta la “sicurezza” di non perdere il capitale (in aumento al 58,3% nel 2016 dal 52% del 2015 e appena il 23,8% nel 2011). Solo a seguire vengono rendimento, liquidità, nonché l’apprezzamento del capitale nel lungo termine.

MENO BOT PEOPLE, PIU’ RISPARMIO GESTITO

In questo scenario si fa avanti il risparmio gestito, sottraendo spazio agli investimenti diretti, sui quali è sempre più complicato assumere decisioni e su cui, nel caso delle obbligazioni di Stato italiane tradizionale investimento di difesa dei risparmi, hanno inciso le manovre della Bce. Con l’obiettivo di contrastare la deflazione, la Bce ha acquistato obbligazioni con operazioni di mercato: i titoli hanno visto aumentare il prezzo e scendere i rendimenti a circa a circa l’1 per cento o meno. Sale così il patrimonio che viene allocato negli strumenti di risparmio gestito: nel corso del 2015 i patrimoni complessivamente gestiti passano da 1,59 miliardi di euro a 1,83 miliardi (Assogestioni). La quota di patrimonio detenuta su conto corrente rimane comunque alta, indicando che permane una buona preferenza per la liquidità a fronte delle attività meno liquide. Tuttavia, la persistenza dei tassi a zero potrebbe preludere proprio al sacrificio della liquidità nella ricerca di investimenti alternativi, come quelli immobiliari.

ITALIANI DIVISI TRA CASE E DEPOSITI LIQUIDI

Un extra sondaggio condotto nell’ambito della ricerca e rivolto a 567 piccoli investitori ha cercato di capire proprio i comportamenti di investimento nella persistenza del clima di deflazione e di interessi nulli o minimali, con particolare riguardo alla propensione al passaggio dagli investimenti finanziari a quelli reali, come le case. Il campione ha fornito indicazioni chiare. Posti di fronte al caso degli interessi a zero (o quasi) per più anni, gli intervistati hanno risposto con intenzioni di comportamento polarizzate, in quanto concentrate essenzialmente su due scelte: la scelta della liquidità (che riguarderebbe il 32 per cento degli investitori) e la scelta dell’investimento immobiliare (il 29 per cento considererebbe l’acquisto di una casa per sé e il 20 per cento l’acquisto di una casa da dare in affitto).

I primi sarebbero mossi dall’intenzione di non perdere né guadagnare denaro con investimenti più rischiosi e dall’aspettativa che i tassi a zero prima o poi finiranno, e quello sarebbe il momento giusto per riprendere a investire. I secondi, invece, manifesterebbero la propria preferenza per un potenziale acquisto immobiliare, mossi però non solo da variabili economiche, ma anche da bisogni rimasti irrisolti o semplicemente dall’ambizione, sempre viva negli italiani, di una casa migliore di quella che si possiede. A differenziare i due gruppi di investitori, ai poli opposti delle possibili scelte (totale liquidità e totale illiquidità), sono prevalentemente l’aspetto del reddito e il possesso di risparmi accantonati superiori a un anno intero di redditi netti. Questi ultimi sono fattori che aumentano la propensione all’investimento reale.

BYE BYE DERIVATI

Solo una parte ridotta del campione di piccoli investitori, l’8 per cento, reagirebbe ai tassi a zero aumentando l’esposizione rischiosa, ossia comprando azioni, cambi e derivati. Si tratta di un atteggiamento coerente con la teoria economica: infatti, il cambiamento delle combinazioni di rischio e rendimento possibili sul mercato e, in particolare, l’abbassamento dei rendimenti su tutto lo spettro dei rischi non cambia la disponibilità a perdere parte del denaro investito, poiché questa variabile non dipende dal mercato, bensì dal reddito, dal patrimonio e dalla psicologia del singolo investitore. Infine, il 12 per cento acquisterebbe oro e preziosi e il 4 per cento comprerebbe opere d’arte. La ricerca di rendimenti alternativi in queste classi di investimento è minimale e mossa da contesti economici e comportamentali diversi. Chi si rivolge all’oro evidenzia un fondo, anche se non ben espresso, di paura e sfiducia generale nei mercati finanziari («dopo gli interessi a zero, chissà cosa potrà accadere?»). Chi si rivolge all’arte (4 per cento) ha in genere un patrimonio complesso e ben diversificato e coglie l’occasione dei rendimenti a zero per acquistare un’opera d’arte essenzialmente perché il costo opportunità si è momentaneamente ridotto.

CASA MIA PER PICCINA CHE TU SIA…

I piccoli investitori si rivolgono alle case anche perché questo è il mercato dei beni di investimento che essi direttamente conoscono meglio, e al quale probabilmente sono più interessati. Ben il 46 per cento degli intervistati dichiara di conoscere il mercato delle case e di informarsi regolarmente sui suoi prezzi. Dietro al mercato immobiliare si collocano, distanziati, il mercato obbligazionario (che è seguito dal 33 per cento del campione), poi la Borsa (24 per cento) e il mercato dell’oro (19 per cento).
Chi si vorrebbe avvicinare all’acquisto di un immobile ha poi un profilo chiaro:

 . Ha da parte investimenti liquidi o liquidabili pari a più di un anno del suo reddito (48 per cento).

 . Ha realizzato, inoltre, che il mercato dei beni d’uso quotidiano è deflattivo, concorrendo a schiacciare i rendimenti di lungo termine del risparmio investito in forme finanziarie.

 . Ha la convinzione di investire in un “bene di riferimento”, che conserva il suo valore nel tempo (25 per cento), seguito dalla possibilità di “approfittare del momento di prezzi bassi” (17 per cento) e dal fatto che il reddito dell’immobile, ossia l’affitto incassato o risparmiato, è superiore a quanto può offrire la banca o un’obbligazione (13 per cento). Il 19 per cento, inoltre, pensa che i prezzi delle case aumenteranno nei prossimi anni e il 14 per cento mira, così facendo, ad approfittare di buone e singolari condizioni sui mutui.

 . Ha spesso l’ambizione di una casa migliore (43 per cento) o il bisogno effettivo di un’abitazione più grande (29 per cento).
Gli acquirenti potenziali di una nuova casa sono tra l’11 e il 19 per cento del campione nei prossimi tre anni. Cosa trattiene gli acquirenti? Per il momento gioca da freno la debolezza convalescente del mercato secondario, ossia il timore o di non riuscire a liquidare l’attuale propria casa o di ricavarne un prezzo insufficiente per fare il salto di qualità. In altri termini, mano a mano che il mercato immobiliare sarà più liquido e si accorceranno i tempi di vendita delle case usate, la domanda potenziale di nuove case si trasformerà in domanda effettiva.

IL FISCO SOTTO L’ALBERO

Il 59 per cento del campione, se potesse chiedere qualcosa al fisco, propenderebbe per un riequilibrio delle imposte tra quelle sulla casa e quelle gravanti sulle altre forme di patrimonio. Questa propensione, maggioritaria, non è però necessariamente collegata a imminenti operazioni immobiliari e risponde più a una domanda di equità fiscale rispetto alla tassazione del patrimonio. V’è da ricordare che il Governo è già venuto incontro a queste istanze alleggerendo la tassazione per quanto riguarda la prima casa.
Sono però da osservare e sottolineare le istanze del restante 41 per cento del campione. Queste istanze, infatti, preluderebbero a operazioni immobiliari e danno un’idea della domanda potenziale “congelata” nel settore delle abitazioni. Il 14 per cento del campione vorrebbe trovare sotto l’albero un abbassamento dell’imposta di registro per case da dare in affitto; il 13 per cento vorrebbe un credito di imposta per vendere e riacquistare una casa, prima o seconda, nel corso dello stesso anno; il 9 per cento vorrebbe dedurre il mutuo sulla seconda casa da dare in affitto; il 6 per cento vorrebbe dedurre il mutuo su una seconda casa da tenere per sé. La propensione all’acquisto di case potrebbe essere decisamente più alta di quella dichiarata (tra l’11 e il 19 per cento), se si alleggerisse il peso fiscale sull’investimento immobiliare.

LA RICERCA

L’Indagine affronta ogni anno un tema monografico: nel 2016 l’attenzione si è concentrata sulle scelte di investimento in condizione di tassi di interesse bassi o nulli (“Tassi bassi e volatilità, si ritorna al mattone”). Si è basata su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2016 a 1.011 famiglie detentrici di conto corrente bancario e/o postale; all’interno della famiglia è stato intervistato il principale decisore in merito a risparmio e investimento, ossia la persona più informata e interessata circa gli argomenti trattati nel questionario (nel 77 per cento dei casi, il capofamiglia). È stato inoltre realizzato un campionamento addizionale di 312 interviste su un target di piccoli investitori fra i 29 e 55 anni, poi elaborato mettendo insieme gli intervistati del sovracampionamento con quelli del campione «famiglie» appartenenti a questo stesso target (255), per un totale di 567 capifamiglia, che sono stati sondati sulla reazione al contesto di “interessi zero” e sull’appetibilità dell’investimento immobiliare.

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