Per i fondi azionari europei, il nuovo anno si è aperto in controtendenza rispetto al 2016. Secondo le statistiche Morningstar, a gennaio i flussi netti sono stati pari a 3,36 miliardi di euro. La fetta più grande (2,75 miliardi) è dei comparti a gestione attiva. L’anno scorso, questi ultimi avevano concluso con pesanti riscatti netti e gran parte della raccolta si era diretta verso i prodotti indicizzati.
Possiamo parlare di un ritorno verso gli attivi? In realtà, è prematuro. Se aggiungiamo ai 61 milioni fluiti negli index fund, i 6,9 miliardi degli Etf (Exchange traded fund) azionari, si capisce come la componente passiva continui ad avere un ruolo importante nelle scelte degli investitori.
LA SVOLTA DEL 2016
Per l’industria dei fondi europea, il 2016 ha rappresentato un anno di cambiamento nei rapporti tra i due approcci alla gestione. I flussi netti negli indicizzati sono stati pari a 77 miliardi (il dato include gli Etf), contro i 45 miliardi dei comparti a gestione attiva. La quota di mercato dei primi all’interno dell’universo dei fondi a lungo termine (esclusi i monetari) è cresciuta al 15,1% dal 13,8 di fine 2015. E’ ancor più significativo l’incremento per i soli comparti azionari: a fine 2016 rappresentavano il 25% del totale dei patrimonio allocato in prodotti equity. La porzione più significativa è in mano agli Etf, mentre gli index fund non quotati sono ancora una nicchia.
LA STRADA È ANCORA LUNGA
L’analisi dei trend nell’industria europea rivela un quadro più complesso rispetto a un semplice spostamento verso l’approccio passivo. “Il patrimonio degli index fund tende a crescere ogni anno, mentre i flussi verso gli attivi sono molto più volatili”, spiegano Ali Masarwah e Matias Möttölä del team di ricerca di Morningstar, nell’Asset flow report di gennaio. “Questi ultimi potrebbero ancora sorpassare i fondi passivi nelle fasi di crescita del mercato, perché hanno una base patrimoniale più grande. Mentre gli indicizzati hanno registrato nel loro anno record (2015) 99 miliardi di euro di flussi netti; quelli attivi hanno chiuso il loro periodo d’oro (2014) con sottoscrizioni nette per 370 miliardi, una somma assai maggiore”.
USA LOW COST
Negli Stati Uniti, il trend è stato più accentuato. Nel 2016, i fondi indicizzati hanno avuto flussi netti per 504,8 miliardi di dollari, superando il record del 2014 (422,7) e il risultato del 2015 (418,5). Per contro i comparti attivi hanno chiuso con riscatti netti pari a 340,1 miliardi, che si aggiungono ai -230,5 miliardi dell’anno precedente.
Fonte: Morningstar Direct. Dati al 31 dicembre 2016.
I principali responsabili sono i fondi azionari specializzati sulla Borsa americana, che non registrano un anno di raccolta netta positiva dal 2005. “La difficoltà dei gestori attivi di battere il benchmark è la prima ragione di questi deflussi”, spiega Tom Lauricella, editor di Morningstar. “Ma anche il fattore costi ha la sua importanza. Suddividendo i fondi in quintili basati sull’expense ratio, abbiamo visto che il tasso di de-crescita organica dei fondi (flussi in percentuale del patrimonio iniziale, Ndr) è superiore per quelli più cari e nell’ultimo biennio c’è stata un’accelerazione del trend”.
IL PRIMATO DI VANGUARD
Questo trend sta cambiando il panorama dell’industria negli Stati Uniti, con ripercussioni nel resto del mondo. Vanguard, leader nel low-cost investing, ha raccolto 289 miliardi di dollari a livello mondiale nel 2016 (di cui 277 negli Usa), una somma che è superiore al totale dei flussi delle altre case di investimento (244 miliardi). Gli analisti di Morningstar sono convinti che proprio i bassi costi dei suoi prodotti siano la chiave del suo successo, essendo provato da diversi studi che questo fattore è il migliore indicatore dei risultati futuri di un fondo.
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Fonte: Morningstar.it