Siamo il primo produttore europeo di riso, produciamo quasi 1.300 tonnellate su 220.000 ettari, oltre il 50 per cento di quanto se ne coltiva in Europa. Il fatturato è consistente, supera il miliardo di euro e proviene dall’attività di 4,100 aziende agricole che danno lavoro a circa 10.000 addetti.
Siamo primi produttori e anche primi esportatori dal momento che solo il 35 per cento viene consumato in Italia mentre l’altro 65 per cento prende la via dell’estero. Insomma il nostro riso piace non solo agli italiani, che ne mangiano 6 chili l’anno a testa, ma anche all’estero. Ma se passiamo dai dati confortanti della produzione a quelli che riguardano il mercato italiano, la situazione appare meno rosea. Per anni la risicoltura italiana, risicoltura di alta qualità, come attestano i dati dell’export, ha dovuto subire l’assalto di risi orientali soprattutto quelli della Cambogia, della repubblica di Myanmar, del Vietnam grazie al programma “Everything but Arms”. Un piano di solidarietà varato dalla UE nel 2009, frutto delle migliori intenzioni, che, per aiutare paesi asiatici penalizzati nel loro sviluppo da economie disastrate o vittime di politiche dittatoriali corrotte, ha liberalizzato le importazioni di molti prodotti e fra questi il riso. Le intenzioni erano lodevoli i risultati tutt’altro: i nostri mercati sono stati invasi da tonnellate e tonnellate di riso che, prodotto ai costi orientali, (in più di un caso da multinazionali che operavano in loco) ha inferto un duro colpo ai bilanci delle nostre aziende impossibilitate a reggere competitivamente il confronto economico con i risi asiatici affrancati da dazi.
Ma non è tanto questo il problema – risolto comunque per buona parte nei giorni scorsi dopo che Bruxelles ha posto fine alle clausole di salvaguardia e alle agevolazioni a dazio zero, riconoscendo il danno economico inferto ai produttori europei e italiani soprattutto. Il problema che più riguarda il consumatore di riso e la sua salute è che a causa di legislazioni fortemente carenti nei paesi d’origine, per anni abbiamo importato riso da questi paesi, e anche, in misura minore, dal Laos e dal Bangladesh, in cui è diffuso l’utilizzo di prodotti chimici vietati da decenni in Italia e in Europa, e lo abbiamo trovato sui banchi di vendita grazie ad etichette non proprio trasparenti. Parimenti un’inchiesta effettuata un anno fa da Il Salvagente, il mensile che clamorosamente in questi giorni ha rivelato la presenza di glisofato nelle più diffuse paste alimentari italiane ha messo in evidenza anche che su 18 etichette italiane di riso basmati, 8 presentavano tracce di pesticidi sia pure al di sotto dei limiti di legge fra cui tebucanazolo, piperonil butossido e malation.
Ma va pure detto nel contempo che anche il riso coltivato in Italia non è esente da problemi di contaminazioni. Il nemico si chiama arsenico e forse non tutti sanno che l’arsenico è presente, sia pure in quantitativi non letali in quasi tutti i risi italiani. L’arsenico, infatti, è un elemento chimico presente in aria, acqua e terra, lo troviamo nei campi come in acque potabili. Il fatto è che le piante di riso nell’acqua ci vivono e ne assorbono molta. E l’uso di pesticidi contribuisce a fissare questo semimetallo al chicco. Anche in questo caso non c’è da allarmarsi ma solo di essere consapevoli che il nostro organismo è fatto oggetto di continui attacchi anche dai cibi più insospettabili. Partiamo da una premessa: Il riso, dal punto di vista nutrizionale, contiene importanti proteine come la lisina, il triptofano e la metionina, fondamentali per la crescita; e poi vitamine del gruppo B, PP, K ed E, sali minerali come potassio, calcio, fosforo. Le sue proteine sono qualitativamente superiori a quelle di ogni altro cereale. Contengono infatti tutti i 18 amminoacidi da cui dipende il regolare metabolismo umano.
Come farne a meno? Impossibile rinunciare a risotti, supplì, sartou, arancini, cestini, torte che ci gratificano quotidianamente. Ma possiamo e dobbiamo mantenere vigile l’attenzione e valutare oculatamente gli acquisti leggendo con attenzione le etichette.
Su un riso si può andare comunque a occhi chiusi, il suo nome è già un programma, “Risoinfiore”, un nome che induce a una visione bucolico-botticelliana di prati fioriti, di profumi di campo, di cascate d’acqua sorgiva, ma che in realtà, molto più semplicemente, nasconde un nome di donna, quello di Paola Fiore titolare dell’azienda assieme al marito Adolfo Barbonaglia che si trova a Stroppiana, in provincia di Vercelli patri storica del riso italiano.
Perché si può acquistare a occhi chiusi? Perché il riso “Gloria” Risonfiore è l’unico riso sul mercato mondiale a residuo zero a marchio registrato. Un vero e proprio fiore all’occhiello del Made in Italy. E residuo zero significa che è esente da qualsiasi traccia di prodotti fitosanitari, cosa che viene certificata dalle analisi multi residuali che vengono fatte sul lotto e che si possono consultare sul sito dell’azienda. Insomma un riso che tiene presente le più attuali esigenze del consumatore, che presta sempre più particolare attenzione a cosa si consuma, alla genuinità del prodotto, alla qualità e ovviamente anche al gusto.
Ma come si è arrivati a questo risultato? Val la pena di raccontarlo. Intanto è una storia incredibile di coincidenze che parte nel lontano 1935. Siamo nella campagne del Vercellese, patria del migliore riso italiano. Alcune donne della famiglia Fiore, ovvero la nonna e la bisnonna della signora Paola erano mondine dell’azienda di antichi proprietari terrieri, i Barbonaglia, ovvero dei nonni e bisnonni del marito. Poi i destini delle due famiglie si dividono, i Fiore si trasferiscono a Torino. Per far rientro negli anni 80. I Barbonaglia e i Fiore abitano in due piccoli paesi confinanti, roba da 1000, 1500 abitanti non di più dove tutti si conoscono, e a Paola e Adolfo capita di incontrarsi e di scambiare qualche chiacchiera ma nulla più. Passa ancora qualche anno e Paola diventa capocontabile di una cooperativa agricola, di cui è presidente, indovinate un pò? Proprio Adolfo Barbonaglia. Le loro strade si sono incrociate nuovamente, ma questa volta in modo totalmente diverso. La scintilla che scatta non decide solo della loro unione ma risente anche del vissuto delle loro famiglie nel mondo del riso. E il richiamo del riso porta i novelli sposi a spostarsi a Stroppiana per mettere su un’azienda che racconti qualcosa di nuovo in questo settore. Di esperienza ne hanno tanta nel loro DNA, bisogna solo instradarla in un progetto che loro vogliono unico, totalmente innovativo, per la produzione di un riso speciale, sul fronte della qualità e della sicurezza alimentare. Insomma vogliono dimostrare che sanno il fatto loro. Un progetto impegnativo, che ha richiesto anni di studio, notevoli investimenti e anche notevoli rischi perché quando si decide di seguire la natura e le sue leggi senza ricorrere a tutti gli ausili che tecnica, industria e chimica hanno realizzato per modificare il corso naturale delle cose e per ottimizzare le rese dei campi, bisogna essere consapevoli che i risultati non sono mai garantiti e in alcune annate si rischiano pesanti perdite. Ma tant’è per Paola e Adolfo e anche per tutta la loro famiglia la sfida è abitare un mondo a misura d’uomo e, soprattutto, della sua salute.
“Ci sono voluti otto anni, dichiara oggi Paola Fiore – ma con grande orgoglio e soddisfazione, possiamo dire di aver prodotto un riso al momento, Unico, Buono e Genuino, un riso che è riso, totalmente naturale, che non ha pari al mondo”.
Come si ottiene un riso a residuo zero? Si parte dalla coltivazione con la preparazioni dei campi per la semina nel rigoroso rispetto dei principi di agricoltura sostenibile finalizzata a ridurre i rischi di lisciviazione dei nutrienti, ad assicurare un’adeguata copertura vegetale e a favorire la diversità biologica e la dotazione di sostanza organica dei suoli, che prevede il sovescio vernino (orzo) per concimare in maniera organica il terreno.
La pulizia dei campi con trattamento meccanico, non supera i 12 /15 cm di lavorazione del terreno in questo modo il terreno non viene intaccato se non per la parte che effettivamente la radice del riso necessita. Si procede quindi con la semina, la varietà scelta per produrre un Riso a residuo zero è il Gloria. Ottima per risotti, con la peculiarità di essere resistente alle malattie, quindi evitare trattamenti con fungicidi, che inevitabilmente lascerebbero residui sul prodotto.
Quello dell’uso dei fitofarmaci nella risicoltura è un tema particolarmente sensibile per Paol e Adolfo. “L’utilizzo di fitofarmaci – afferma Paola Fiore – incide negativamente oltre che sull’ambiente, anche sui lavoratori agricoli e sui consumatori. Dal momento che vengono utilizzati per sopprimere tutti gli insetti e gli infestanti che possono compromettere il raccolto, rischiano di avere un impatto negativo anche sull’ambiente. I prodotti fitosanitari si depositano, infatti, nei primi strati del terreno influenzando negativamente la vita microbica e lo sviluppo di batteri, alghe, funghi e lombrichi. Oltre alla tossicità diretta dovuta all’accumulo di fitofarmaci nel terreno – prosegue – l’uso ripetuto di questi prodotti può avere effetti devastanti anche sulla salute di persone ed animali”.
I più esposti, infatti, sono proprio i lavoratori agricoli che oltre ad esserne esposti attraverso l’ambiente, rischiano l’intossicazione per inalazione, ingestione e contatto dermico. Per non parlare poi dei consumatori che se anche non sono a contatto diretto con i fitofarmaci corrono seri rischi nel consumare prodotti che presentano anche solo dei residui. Studi recenti hanno infatti dimostrato che l’impiego di fitofarmaci in agricoltura può incidere significativamente sullo sviluppo di tumori e malformazioni.
Tra l’altro l’azienda ha la fortuna di essere collocata in un’area irrigata da acque che non presentano metalli pesanti, addirittura il Cadmio non risulta rilevabile, il Piombo è rilevato nella misura dello 002 per cento rispetto allo 0,2 dei limiti di legge, siamo quindi al 95 per cento in meno, e l’arsenico si tiene mediamente al 15 per cento ben al di sotto del limite dello 0,20
Ritorniamo quindi al processo produttivo. Dopo metà luglio, dove è ritenuto necessario, si passa con la “macchina a filo”. Un trattore con una larga una barra sulla quale passa a ciclo continuo un filo che a ogni passaggio viene imbevuto in acido pelargonico (essiccante naturale) , che secca tutto quello con cui viene a contatto. Questo permette di evitare nebulizzazioni a pieno campo, ma solo dove le infestanti sono presenti e senza toccare le piante di riso.
Fra settembre ottobre si procede poi con la raccolta del riso che poi viene messo in un essicatoio dove è stato inserito un compensatore aeraulico che permette un’essicazione dolce, vale a dire non fa prendere al chicco uno shock termico, garantendogli di mantenere e sue qualità organolettiche e di evitare fessurazioni che in fase di lavorazione aumenterebbero il grado di rottura. Il compensatore aeraulico riduce inoltre anche i consumi di carburante ed elettricità per migliorare l’impatto ambientale della produzione. A completare il quadro energetico l’azienda ha realizzato inoltre di un impianto fotovoltaico la cui produzione viene impiegata interamente dall’azienda.
Si passa quindi alla lavorazione esclusivamente con macchine a pietra, grazie alle quali il riso integrale (che subisce solo la decorticazione e la calibratura) viene accarezzato senza subire surriscaldamento, evitando quindi la fuoriuscita degli oli essenziali, una volta per ottenere un riso semilavorato (semi integrale) – due volte: lavorazione a pietra di 2° grado. In questo modo gli strati esterni del chicco non vengono intaccati (fibra a parte), permettendo di mantenere i valori nutrizionali elevati.
Tutta la filiera è rigorosamente tracciata sul sito dell’azienda, www.risoinfiore.it, dove vengono riportati il Registro delle operazioni culturali dell’Azienda, con l’identificazione dei terreni e le lavorazioni effettuate con le relative date, documentate da video e foto, così come viene pubblicato il Rapporto di prova con i risultati delle analisi condotte, e tutti i numeri dei vari stock produttivi a residuo zero. Insomma se state mangiando un risotto e andate sul sito potrete sapere tutto di quel riso. E’ il caso di dire, chicco per chicco. Per dirla in breve uno sa quello che mangia realmente.
Per finire, abbiamo parlato fino ad ora della salubrità del Risoinfiore e della sua trasparenza gestionale e lavorativa. E il gusto? E’ naturale, come i risi che mangiavano i nostri antenati. Non basta? E allora basta solo dire che Carlo Cracco, chef-star televisivo e delle cronache giornalistiche intervenuto a Londra a Bellavita Expo, la grande fiera di promozione del food e del beverage italiano all’estero che ha toccato oltre Londra, le città di Amsterdam, Varsavia, Chicago, Toronto, Città del Messico, Bangkok e Mosca, ha cucinato un memorabile “Risotto mantecato al mascarpone, crema d’acciughe, rafano, scorza di limone, con cialda di cioccolato piccante al centro”. Il riso era, ovviamente, dell’azienda Risoinfiore. E se lo ha scelto lui qualche motivo ci sarà. Per cui concludendo val la pena di ricordare un proverbio cinese: “Mangia il tuo riso, al resto ci penserà il cielo”.
AZIENDA AGRICOLA PAOLA FIORE
Via Roma, 159,
13010 Stroppiana (VC)
Telefono: 333 627 9944
info@risoinfiore.it
L’azienda agricola di Paola Fiore e Alfonso Barbonaglia che produce Risoinfiore a residuo zero, si estende su 250 ettari. Produce riso in tre varianti: “Integrale”: solo decorticato e calibrato. “Semilavorato”, raffinato con un solo passaggio di sbiancatura per ottenere un riso semi integrale, mantenendo inalterato il vero sapore del riso e riducendo al massimo l’asportazione di proteine e fibre di cui è ricco nei primi strati superficiali. “Tradizionale”, è il riso sottoposto ad una lavorazione di 2°grado. Color perla tipico della lavorazione delle macchine a pietra tipo “Amburgo”. Indicato sia per piatti semplici che raffinati, permette dei tempi di cottura accettabili dalla “cucina moderna”.Venduto in confezioni da 5 kg, 1 kg e 1/2 Kg, in atmosfera protetta per preservarne la freschezza. Produce anche un Riso medio per Sushi, Varietà Japonica (Crono), molto simile al Calrose, di dimensioni medie, che presenta un granello cristallino, e si caratterizza per il rilascio di amido in abbondanza in fase di cottura ideale per la preparazione di un sushi perfetto. Infine dai chicchi di riso “Gloria” semilavorato a residuo zero, L’azienda ricava anche farina di riso semintegrale macinata a pietra.