Nonostante l’impegno ritrovato degli Stati Uniti e le politiche sempre più verdi dell’Unione europea, le previsioni dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che fa capo all’Onu) sul riscaldamento globale non sono affatto rassicuranti. “Anche rispettando il limite di +1,5 °C sancito dagli Accordi di Parigi ci saranno effetti drammatici e in alcuni casi irreversibili, e ben prima del 2050″, scrive l’ente nel suo ultimo rapporto, che va ad aggiornare quello del 2014. Intanto, secondo Ipcc (che è formato da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), le probabilità che gli impegni presi dalla comunità internazionale a Parigi nel 2015 vengano effettivamente rispettati, sono alquanto basse: “C’è il 40% di possibilità che il limite di 1,5 gradi venga superato già prima del 2025. Il peggio deve ancora venire e avrà conseguenze sulle future generazioni più che su quelle contemporanee”.
La temperatura media globale è aumentata di 1,1 gradi rispetto alla metà del secolo scorso, e secondo l’Ipcc “per alcune specie animali e vegetali è già troppo tardi”, cioè anche se l’umanità dovesse riuscire a contenere un aumento ulteriore, le condizioni di vita sono già cambiate al punto da non garantire la sopravvivenza. La novità più allarmante del rapporto riguarda i rischi sulla vita degli esseri umani, che sarebbero altrettanto devastanti di quelli per l’ecosistema, essendovi in buona parte collegati. Ad esempio, dalla conservazione delle barriere coralline dipende la sopravvivenza di circa mezzo miliardo di persone. Per non parlare di tutte le popolazioni che vivono a ridosso della fascia artica, che si sta scaldando ad una velocità tre volte superiore rispetto alla media del pianeta: la probabile estinzione di molte specie animali che vivono a stretto legame col ghiaccio potrebbe far venire meno le fonti di sostentamento per quelle comunità e provocarne la scomparsa.
“La vita sulla Terra può adattarsi ad un cambiamento climatico creando nuovi ecosistemi. Ma l’umanità non può”, scrive testualmente il rapporto di 4.000 pagine, che cita anche i pericoli per l’agricoltura e per la pesca, duramente colpita quest’ultima dal surriscaldamento degli oceani, che è ancora più preoccupante di quello dell’atmosfera (e ne è in parte causa). E nel caso in cui l’aumento della temperatura fosse superiore ai 2 gradi, lo scenario diventerebbe addirittura apocalittico, segnando secondo Ipcc “un punto di non ritorno, con effetti che durerebbero per secoli” e che esporrebbero miliardi di persone alla povertà e alla carestia. Con un riscaldamento a +2 gradi, 130 milioni di persone in più finirebbero in povertà estrema nel giro di 10 anni, più altri 80 milioni entro il 2050. Le calotte polari della Groenlandia e di parte dell’Antartide sarebbero a rischio scioglimento, il che comporterebbe un innalzamento del livello del mare di ben 13 metri, di che far sparire intere città costiere, dove risiedono oggi centinaia di milioni di persone. Nelle grandi città, 400 milioni di persone non avrebbero accesso garantito all’acqua.
E poi le ondate di caldo, alle quali già assistiamo adesso, minaccerebbero 420 milioni di persone in più rispetto ad oggi. “Solo all’Africa servirebbero decine e decine di miliardi di dollari di aiuti ogni anno, per adattarsi a questi cambiamenti”, avverte l’ente legato all’Onu. “Ogni frazione di grado in più o in meno è decisiva – scrive ancora il rapporto -. Per farcela serve l’impegno di tutti: istituzioni, imprese, cittadini. Dobbiamo radicalmente cambiare i nostri stili di vita e di consumo”.