Quando la recessione ha colpito (fin da subito l’avevamo definita piuttosto uno tsunami) la caduta è stata così forte che ogni rimbalzo deve essere preso con le molle, distinguendo fra l’andar meglio e l’andar meno peggio.
Il mese scorso eravamo stati troppo ottimistici, dando per poco probabile una ricaduta nei mulinelli dei contagi. Ma, anche se siamo lontani dal gorgo delle crescite esponenziali degli infetti osservate nelle fasi più acute, l’allentarsi delle restrizioni ha portato a nuovi focolai, che stanno forzando un ritorno variegato di quelle camicie di forza che inevitabilmente danneggiano l’economia.
A questa narrazione fa eccezione l’Italia: anche escludendo i casi pietosi degli USA e del Brasile, se guardiamo ai quattro maggiori Paesi dell’Eurozona, l’Italia nell’ultimo mese ha segnato la più bassa dinamica di nuovi casi di Covid-19. Oltre a mettere a segno in maggio il maggior rimbalzo di attività industriale (primato che resta nel confronto sull’anno, sebbene in versione di minor caduta).
C’è un importante punto positivo: quasi ovunque si riduce il tasso di mortalità (cala il rapporto fra nuovi decessi e nuovi casi, specie tenuto conto del fisiologico ritardo tra i primi e i secondi). O perché la carica virale delle nuove infezioni è più bassa, o perché si è acquisita maggiore esperienza nel curare i contagiati.
I grandi previsori (Fondo monetario, Ocse, Commissione Ue…) sono obbligati a fare previsioni, anche in circostanze che sconsiglierebbero di farle; è parte del loro mestiere. Il 2020 è un anno perso, ma per il 2021 le proiezioni danno per le economie avanzate un rimbalzo che recupera solo in parte la caduta di quest’anno. A meno che… il Godot che tutti aspettiamo è il vaccino…
Questa recente svolta nella diffusione del virus sta portando a un prolungamento e/o a una intensificazione delle misure di supporto all’economia. Deficit e debiti pubblici aumentano e aumenteranno, ed è bene che così sia (non è un “male minore”, è un “bene maggiore”).
L’inflazione, come si conviene a un mondo colpito da una crisi epocale, rimane bassa e/o calante, sia per i prezzi al consumo che per i prezzi alla produzione.
Fanno eccezione materie prime e petrolio, dove c’è un tentativo di risalita; a parte il petrolio, che è preda di complicati tiri alla fune fra crollo dell’assorbimento e aumento dei tagli di produzione, il rialzo delle materie prime (peraltro parziale) deve molto al “compratore di ultima istanza” – la Cina – dove la ripresa dell’economia è a uno stadio più avanzato.
Ci sono ancora in giro delle anime belle che temono un’inflazione prossima ventura di seguito all’immane creazione monetaria degli ultimi mesi. Ma, con buona pace della teoria quantitativa della moneta, l’inflazione non dipende da quanta moneta c’è in giro ma da quanta voglia di spendere c’è in giro. E questa voglia è scarsa.
I tassi a lunga, sia in America sia in Germania, e anche in Italia, hanno ripreso a scendere, di seguito ai nuovi focolai di virus e alle conseguenze sulla crescita. L’altro “spaventapasseri” dei tassi – il finanziamento dei deficit pubblici – è tenuto a bada dalle Banche centrali che, smentendo il cliché di compassate istituzioni in doppiopetto, hanno preso sul serio l’invito sessantottino: L’imagination au pouvoir.
I tassi reali sono scesi anch’essi, malgrado la discesa dell’inflazione, che li avrebbe altrimenti innalzati. Per l’Italia, i mercati credono (e hanno ragione di crederlo) alla rete di sicurezza approntata dall’Europa per il finanziamento del deficit italiano. I rendimenti dei BTp sono scesi di una ventina di punti base e, nell’ipotesi che il tasso di inflazione di giugno (negativo) si mantenga per questo mese, questo calo rimane nel tasso reale, che peraltro è insopportabilmente positivo per una economia che va giù di un 10% e passa…
Il dollaro conferma il giudizio delle ultime Lancette e si indebolisce, sia nei confronti dell’euro che, specialmente, dello yuan. Per il biglietto verde non contano tanto i fattori di vantaggio o di svantaggio legati ai deficit correnti o ai differenziali dei tassi. Per il dollaro conta l’immagine del Paese di cui è simbolo: e i sondaggi che danno Trump perdente alle elezioni (mancano solo 4 mesi) induce il Presidente a fughe in avanti che impensieriscono alleati e rivali degli Stati Uniti; il virus, poi, galoppa imperterrito e sta forzando nuove chiusure. Nel caso dello yuan il rafforzamento è dovuto al “meno peggio” della sua economia e all’impennata – per la verità un po’ sospetta – della Borsa cinese, che attrae capitali.
Le Borse – lo abbiamo già detto – continuano a credere nel migliore dei mondi possibili. I rapporti prezzi/utili sono ovunque superiori alle medie storiche, il che, nel mezzo di una crisi che è la più forte degli ultimi ottant’anni, sembra un po’ strano. Tuttavia, anche i tassi di interesse sono di gran lunga inferiori alle medie storiche, e lì resteranno a lungo, o perfino più bassi; ciò spinge in alto i multipli. Eppoi la speranza è l’ultima a morire.
Si potrebbe dire che c’è anche un’altra asset class – l’oro – che sale di molto e sfiora il record storico del 2011. E se sale l’oro, perché non dovrebbero salire le Borse? Per la verità, chi scrive non ha alcun rispetto intellettuale per l’oro come asset class, ma accettiamo il fatto che ci siano in giro tanti investitori che pensano che l’oro sia un bene rifugio, da abbracciare quando le cose si mettono male. Il che fa pensare che ci sia qualcosa che non va quando le Borse credono che l’economia andrà meglio e l’oro crede che l’economia andrà peggio.