E’ arrivato il momento di ripensare il modello di sviluppo dei nostri centri storici. La crisi economica, causata dall’emergenza per frenare la diffusione del covid19, ha colpito con particolare durezza le città d’arte, come Firenze, più esposte alla mancanza dei flussi turistici. Il capoluogo toscano che nel 2019 aveva registrato 15,5 milioni di presenze, secondo le stime dell’Ufficio studi della Camera di commercio quest’anno rischia di fermarsi a 5 milioni, con una flessione drammatica del 67%, nonostante un parziale ritorno di viaggiatori già da fine luglio. All’appello mancano americani, giapponesi e asiatici in generale, cioè una fetta di turisti determinante soprattutto sotto il profilo della spesa.
Per dovere di chiarezza, voglio ricordare che l’economia della città metropolitana fiorentina (i cui confini coincidono con quelli della vecchia provincia) dipende dal turismo solo per il 10%, mentre oltre il 20% dei 32 miliardi di Pil dell’area arriva dal manifatturiero e circa il 70% dal terziario. In buona sostanza, la tradizione industriale e artigiana è ancora molto forte, grazie a settori come meccanica, farmaceutica, alimentare e moda, in grado di generare lo scorso anno 16 miliardi di esportazioni. Ma, in larga parte, si tratta di filiere produttive sparse sul territorio, mentre l’economia del centro storico è fortemente (per non dire quasi esclusivamente) polarizzata sull’accoglienza. Se dunque a livello metropolitano la flessione del Pil a fine 2020 si attesterà intorno all’11%, con la prospettiva di poter recuperare i livelli pre-covid nel giro di un paio di anni (+5% l’attesa per il 2021), per le attività del centro storico di Firenze il danno sarà molto superiore e poco importa se, situazione sanitaria permettendo, il recupero potrà arrivare in tempi relativamente rapidi, grazie anche all’azione delle istituzioni locali che, in linea con i provvedimenti nazionali ed europei, si stanno muovendo con una sintonia e capacità di coordinamento tutt’altro che scontate.
Sul tema della “rinascita” e del Rinascimento ha puntato la maison Dolce&Gabbana per il suo recente evento fashion di Firenze, il primo in presenza dopo lo stop causa pandemia, realizzato a inizio settembre con il contributo dell’Amministrazione comunale, della Fondazione Cr Firenze e della Camera di commercio, oltre che di Pitti Immagine e della Regione Toscana. Questo di Dolce&Gabbana, che nell’area fiorentina, a Incisa Valdarno, ha un’azienda con 400 dipendenti, è stato un segnale di ripartenza importante, con il coinvolgimento di 38 imprese artigiane del territorio, a testimoniare la forza e l’importanza del manifatturiero locale. Firenze deve puntare sul made in Italy che qui diventa made in Tuscany: una capacità di fare, basata sul binomio tradizione-innovazione come garanzia di successo.
Sono convinto che il modello economico per il centro storico di Firenze debba guardare in questa direzione, provando a riportare residenti in una città che negli ultimi decenni si è progressivamente spopolata, favorendo il ritorno di attività artigiane oggi allontanate da canoni d’affitto troppo alti e difficoltà di circolazione per i mezzi di trasporto, tenendo ben presente il ruolo fondamentale che formazione e sistema dell’innovazione hanno nel tramandare il “saper fare” alle nuove generazioni. Scuole, dunque, ricerca e botteghe dove si realizzano cose d’eccellenza, dalla pelletteria al cibo, ispirandosi ai criteri della sostenibilità e mettendo in condizione tutti gli imprenditori, anche quelli più piccoli, di utilizzare al meglio le nuove tecnologie e i sistemi di vendita online.
La realizzazione di un sistema d’infrastrutture moderno sarà determinante per centrare questi obiettivi. I soldi in arrivo dall’Europa con il Recovery fund, e gli altri fondi messi in campo da Stato e Regione, così come gli strumenti legislativi varati in questi giorni, dovranno essere utilizzati per rendere la città totalmente sostenibile e funzionale, completando o facendo finalmente decollare i progetti già in cantiere (dalle linee della tramvia all’aeroporto, dalla stazione dell’Alta velocità ferroviaria alle terze corsie autostradali, a una rete di parcheggi che consenta di liberare strade e piazze da auto e motorini), passando dalla copertura digitale (con banda larga e ultralarga) dell’intero territorio per mettere in condizione le nostre aziende di programmare il futuro e di competere a livello internazionale.
Quello della digitalizzazione delle imprese è un tema che mi sta particolarmente a cuore e al quale la Camera di commercio di Firenze, attraverso il suo Pid (Punto impresa digitale), lavora con impegno e passione. Un modello economico dunque che ruoti intorno alla qualità del proprio “made in”, alla conoscenza e alla capacità del “saper fare”, tutti fattori in grado non solo di far crescere filiere produttive e di generare leadership, ma anche di attrarre visitatori qualificati. Firenze ha bisogno di ritrovare un turismo più consapevole e meno omologato, in sintonia con la tradizione manifatturiera del territorio. La crisi innescata dalla pandemia è l’occasione per provare a invertire una rotta fin qui troppo spesso dettata dai grandi trend dei viaggi internazionali, una fonte di reddito che abbiamo visto può prosciugarsi dalla sera alla mattina.
°°°°L’autore è il Presidente della Camera di Commercio di Firenze e vicepresidente nazionale di Unioncamere