Ripensare oggi Keynes alla luce degli scenari interessanti quelle economie occidentali che hanno necessità di imprimere maggior slancio ad una crescita ancora debole e specie insufficiente a ridurre la disoccupazione è cosa ardua e irta di difficoltà. E ciò non solo perché è difficile, se non improponibile, pensare che la soluzione vada ricercata nel ricorso al deficit spending, ma anche perché ogni strategia volta alla creazione di nuovi posti di lavoro deve fare il conto con l’adozione di innovazioni labor-saving.
Se si può essere d’accordo sul metodo keynesiano, ossia sulla necessità di azioni pubbliche, non altrettanto si può concordare sulle terapie convenzionali che si affidano all’aumento della spesa pubblica.
Le economie occidentali, l’UE in particolare, hanno visto lievitare il proprio indebitamento dalla crisi finanziaria del 2008, inducendo scelte diametralmente opposte che hanno portato al varo del famigerato Fiscal Compact. Un programma di austerità indubbiamente troppo rigido e impietoso di fronte alle necessità dei sistemi più deboli, ma che comunque segna la necessità di un rientro (graduale) dal debito e dell’adozione di una disciplina di bilancio da parte dei i paesi maggiormente indebitati.
L’intervento pubblico, inevitabilmente, è andato assumendo vesti diverse da quelle tradizionali (aumento della spesa in deficit) per intraprendere la via di riforme incisive orientate alla riduzione della spesa improduttiva e di spiazzamento degli investimenti privati: la nota spending review forse troppo tiepidamente avviata.
A questo si aggiunga che lo scenario fatto di bassi tassi d’interesse e inflazione prossima allo zero apre nuove ed interessanti opportunità alla mano pubblica. Se a questo mix si aggiunge, come mostra il caso italiano, la riduzione dello spread ed una prospettiva di interessi addirittura negativi sul debito a breve, l’intervento pubblico può e deve concentrarsi sugli stimoli all’aumento dei consumi e non tanto dell’intera domanda aggregata, così da accompagnare la ripresa con policies adeguate alla politica monetaria espansiva della Bce.
Questo significa usare la leva fiscale per ridurre la pressione fiscale sulle categorie meno abbienti perché caratterizzate da un’elevata propensione al consumo. Contestualmente la revisione della spesa deve concentrarsi sull’eliminazione graduale degli sprechi, non certo della spesa sociale con l’aggiunta che anch’essa deve essere riservata ai bisognosi (non a tutti).
Finanziare la riduzione della pressione fiscale in deficit non è una cattiva idea come sostengono molti critici nostalgici del primo Keynes, sia perché non costa (gli interessi a un anno sono negativi) sia perché irradia effetti rapidi sui consumi. Quando si riducono le imposte partendo da livelli giudicati eccessivi, non solo si dà vigore ai consumi ma si spiana la strada per la ripresa degli investimenti privati senza scomodare l’intervento pubblico.
Infine una considerazione a margine. Dai dati sul peso della pressione fiscale emerge un trend leggermente discendente che va manifestandosi nel 2015 e che potrebbe proseguire nel 2016 con una diminuzione prevista di 1,8 punti % sul Pil, liberando risorse per consumi e investimenti.
Mi sono un po’ dilungato, ma vorrei chiudere ricordando che la Politica economica di breve periodo non fa fare “salti”. Va programmata sugli effetti che può avere nel medio periodo. Altrimenti “nel lungo periodo saremmo morti non solo noi, ma anche i nostri figli”.
RISPOSTA DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO A MICHELE BAGELLA
OSSERVAZIONI DI GIORGIO LA MALFA SU INTERVENTO DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO
RISPOSTA DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO A GIORGIO LA MALFA
Leggi anche il commento di Ernesto Auci al libro di Giorgio La Malfa “John Maynard Keynes” (Feltrinelli), seguito dalla risposta di La Malfa e dalla controreplica di Auci.
OSSERVAZIONI DI MICHELE BAGELLA SU INTERVENTO DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO
Condivido la tua sintesi in chiave keynesiana.
Aggiungo alcuni punti:
1) L’affinamento della visione keynesiana sulla politica economica va fatto alla luce di quanto Keynes ci ha insegnato dal lato delle aspettative nel settore finanziario e che sono state sviluppate dalla General Theory in poi da Hicks ( A suggestion to semplify the theory of money, Tobin ( Portfolio Theory) , e Stigliz (Asimmetry Information). Certo Friedman ha estremizzato il concetto con le aspettative razionali, non considerando quanto le imperfezioni di previsione possono influire sugli andamenti dei mercati finanziari. Altrimenti se le previsioni sarebbero perfette, non ci sarebbero le bolle.
2) Agli effetti delle imperfezioni di previsione sui mercati finanziari vanno affiancati gli effetti delle imperfezioni di previsione sulla economia reale . E’ questo un campo molto complicato, ma ci sono Due punti di partenza che vanno sempre tenuti presenti quando si parla di Politica Economica: a) I vincoli europei e b) la globalizzazione dei mercati
3) Nella tua sintesi hai ricordato i vincoli europei. Aggiungo la globalizzazione dei mercati come un ulteriore vincolo alla Politica economica. L’inflazione come strumento di redistribuzione del reddito ha effetti di breve periodo. Nel medio periodo non paga gli sforzi per far aumentare l’occupazione! Per far aumentare l’occupazione nel nuovo contesto è necessaria una politica di riforme che guardi alla competitività dei fattori, capitale e lavoro. Non ci sono scorciatoie, a meno che non si voglia far saltare il “sistema” .L’Argentina ci ha provato ma con risultati ultra negativi per la occupazione ma positivi per la classe politica che li ha promossi. Il modello argentino può affascinare solo chi lo promuove.
4) L’appartenere all’Eurozona ha dato all’Italia indebitata la possibilità di recuperare nel tempo i disastri fatti da Governi in passato favorevoli agli eccessi di spesa pubblica. La tesi del “vincolo esterno” di Guido Carli e di Azelio Ciampi, continua a essere soprattutto oggi quanto mai valida. Si può abbandonarla? Certo non rispettando i Trattati Europei. Così “ai fallimenti dei mercati” aggiungeremo i “fallimenti dei Trattati” ! Credo che il “keynesismo alla Draghi” ovvero la ricerca di spazi di intervento compatibili con i Trattati sia la via da seguire come metodo. Certo, poi vengono le misure concrete che tu hai ricordato: meno imposte e più incentivi settore per settore, che è il “difficile” della Politica Economica odierna dell’Italia.
Mi sono un po’ dilungato, ma vorrei chiudere ricordando che la Politica economica di breve periodo non fa fare “salti”. Va programmata sugli effetti che può avere nel medio periodo. Altrimenti “nel lungo periodo saremmo morti non solo noi, ma anche i nostri figli”.
RISPOSTA DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO A MICHELE BAGELLA
Ringrazio Michele per le sue osservazioni integrative, giuste e organiche. Mi fa piacere che condivide la mia tesi sul fatto che il pensiero keynesiano va recuperato come metodo (necessità di intervento pubblico per ridurre la disoccupazione) e non come terapia (aumento della spesa, improponibile in un paese altamente indebitato).
In periodi di bassi interessi o nulli (l’ultimo collocamento dei Bot a un anno sconta un tasso negativo), si aprono opportunità nuove ad una politica fiscale espansiva orientata alla riduzione delle tasse per rilanciare consumi e investimenti. Si apre in altri termini la possibilità di finanziare la dimunizione delle imposte in deficit (è ciò che si può fare in Italia ).
Fa bene a ricordare che la politica economica di breve periodo ha effetti limitati, riconoscendo implicitamente che le azioni di policy vanno ripetuti nel tempo.
Aggiungo che il nuovo scenario di tassi bassi e inflazione quasi nulla apre la strada al l’attuazione di misure fiscali, più efficaci più celeri e meno costose per stimolare la crescita rispetto alle tradizionali politiche economiche basate sull’aumento della spesa pubblica.
OSSERVAZIONI DI GIORGIO LA MALFA SU INTERVENTO DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO
la riduzione della pressione fiscale del 2016 da te citata è misurata in rapporto a quella che avrebbe potuto essere se il governo avesse alzato l’IVA. In realtà, rispetto al 2015, la riduzione ridurrà solo le imposte sulla casa meno gli aumenti fiscali sui giochi e sui rientri di capitale dall’estero: su tratta di decimali di punto.
RISPOSTA DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO A GIORGIO LA MALFA
Osserverei che l’andamento del peso del fisco sul Pil mostra una sia lieve tendenza alla riduzione, accentuata nelle previsioni programmatiche (tutte da verificare)