Finalmente arriva un argine al fenomeno della “sgrammatura,” o “riporzionamento”, due neologismi che hanno a che fare con il caro-vita. Già perché nel calcolare l’inflazione, il peso del cosiddetto carrello della spesa non è marginale, anzi. E l’ultima ulteriore conferma arriva dall’Istat, che certifica come a novembre il tasso di crescita del carrello della spesa sia salito a +2,6%. E in questo il “riporzionamento” (o sgrammatura che dir si voglia) ha il suo ruolo. Di cosa si tratta? È presto detto: è la riduzione della quantità di prodotto contenuta in una confezione mantenendo invariato lo stesso prezzo di vendita precedente (il cosiddetto fenomeno della Shrinkflation).
Un rincaro occulto del prezzo
Il consumatore non se ne accorge, ma in realtà si trova di fronte a un rincaro occulto del prezzo, che spesso va ben oltre l’indice dell’inflazione. Un banale esempio: se il contenuto di una confezione passa da 100 grammi a 80 grammi, anche se il prezzo di vendita della confezione rimane lo stesso, nei fatti c’è un aumento “occulto” del 20%, ben oltre il tasso di inflazione indicato dall’Istat. Una strategia ingannevole ma legale usata dalle aziende per camuffare l’aumento di prezzo, combattere l’inflazione, non scoraggiare l’acquisto di “quel” prodotto e messa in pratica contando su un consumatore frettoloso o disattento. Una strategia applicata su ogni tipo di prodotto: dal detersivo per i piatti alle merendine, dai bagnoschiuma ai pomodori in scatola, dagli affettati preconfezionati ai biscotti, alle bottiglie d’acqua e via elencando. Basta fare un salto in un qualsiasi supermercato.
Arriva un avviso per il consumatore ignaro
Ma ora arriva per il consumatore un argine, un avviso contenuto nella legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 che va in aula alla Camera per il voto finale. Uno specifico articolo (l’art .23) si rivolge ai “produttori che immettono in commercio, anche per il tramite dei distributori operanti in Italia, un prodotto di consumo che, pur mantenendo inalterato il precedente confezionamento, ha subito una riduzione della quantità nominale e un correlato aumento del prezzo per unità di misura da essi dipendenti”. Ebbene, costoro “informano il consumatore dell’avvenuta riduzione della quantità, tramite l’apposizione, nel campo visivo principale della confezione di vendita o in un’etichetta adesiva, della seguente dicitura: questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità”.
L’obbligo di informazione si applica per un periodo di sei mesi a decorrere dalla data di immissione in commercio del prodotto interessato. Insomma, finalmente il consumatore viene informato. C’è però da puntualizzare che tali disposizioni si applicheranno a decorrere dal 1° aprile 2025.
Una annotazione. Nel testo originale (quello ora all’esame dell’aula è il frutto delle limature, correzioni , aggiustamenti, aggiunte apportati dalle varie commissioni che l’hanno esaminato e discusso) si imponeva ai produttori di informare i consumatori anche dell’aumento percentuale del prezzo come conseguenza della riduzione del contenuto della confezione. Riferimento che non compare più nel testo ora all’attenzione dei deputati. Sarà quindi il consumatore a dover fare i calcoli di quanto quel prodotto costa di più. Auguri.