Il Rinascimento italiano ha sempre stupito lo spettatore per la magnificenza dei suoi banchetti, per la raffinatezza delle suppellettili e per la sontuosità dei cibi che venivano serviti per dare lustro e sfogo alla ricchezza del padrone di casa. Tutte le immagini che ci giungono rappresentano banchetti signorili ove la collocazione degli invitati seguiva un rituale non dissimile da quello medioevale o del triclinio romano. Il consumo delle pietanze era un vero e proprio spettacolo, ove anche il cibo diventava protagonista attraverso il taglio delle carni che era eseguito “al volo” dal trinciante, una figura il cui ruolo era strettamente legato con lo “scalco”.
Lo scalco era il vero protagonista del banchetto rinascimentale poiché riassumeva in sé le funzioni dell’odierno maître di sala, ma anche del wedding-planner, disponendo di ogni ampia facoltà di organizzare il menu, il numero delle portate, l’arredo di sala e i ruoli del personale di sala e cucina oltre agli spettacoli che accompagnavano il momento del pasto.
Le informazioni sul nostro Rinascimento in cucina non provengono solo da una nutrita letteratura, ma anche da una compulsiva attività pittorica che non solo ci ha restituito dipinti di vita vissuta, ma anche attraverso lo sviluppo di tutto il filone delle nature morte il cui oggetto elettivo era proprio il cibo.
Il pittore J. Beuchelaer è senza dubbio tra i più significativi di questo periodo poiché teso a rappresentare l’opulenza delle case signorili e l’ampia disponibilità di alimenti. Nei suoi dipinti è possibile ritrovare ogni tipologia di alimento nelle forme e nei colori simili a quelli disponibili in una moderna cucina. I dipinti di quest’epoca tradiscono in ogni caso il consumo eccessivo di carni e più in generale di proteine di origine animale, che non sono più limitate alla bassa corte ed ai risultati della caccia, ma ostentano un’ampia disponibilità di prodotti della pesca e carni bovine, in un tempo in cui il bovino era il motore animale dell’azienda agricola.
Il sacrificio del bovino ad uso alimentare costitutiva esso stesso l’ostentazione di una insolita abbondanza, potendo sottrarre l’animale al ciclo vitale dell’azienda agraria. Nei dipinti destano notevole meraviglia anche le dimensioni dei frutti e degli ortaggi, significativi di un’agricoltura molto evoluta con un’elevata biodiversità. Le ricette di cui disponiamo evidenziano l’uso di decine di ingredienti con delle sequenze di preparazione che necessitano di personale di cucina e di ampi spazi per l’allestimento delle pietanze.
La maggior parte delle ricette giunte fino a noi grazie alle opera di Cristoforo da Messisbugo o di Bartolomeo Scappi prevedono un uso metodico dello zucchero e non solo sui dessert. L’elevato costo dello zucchero e il suo colore bianco, simbolo di purezza, definiscono uno status symbol del banchetto rinascimentale. È noto che lo zucchero era da secoli importato dall’oriente, ma probabilmente molti ignorano che la Sicilia e parte della Calabria, dopo il 1300, erano produttori di zucchero di canna.
Gli Arabi infatti avevano introdotto già nel IX secolo d.C. non solo la coltura della canna da zucchero, ma anche la tecnologia per l’estrazione e la cristallizzazione dello zucchero in pani dalla forma conica. Infatti i tessuti vegetali della canna erano schiacciati all’interno di una vera e propria molazza da olio ed il succo ottenuto subiva tre cotture. Il liquido denso così ottenuto era versato all’interno di vasi conici di argilla, dalla tipica forma a imbuto rovesciato in modo che la frazione liquida, contenente zuccheri residui non cristallizzabili, potesse fuoriuscire dal foro basale, mentre la massa residua ad elevata consistenza, lentamente cristallizzava all’interno del recipiente conico.