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Rimpatri Trump, ecco quanto incidono sui Pil dell’America Centrale

La strategia dura del presidente statunitense non è solo discutibile dal punto di vista umanitario, ma rischia di mettere in ginocchio alcune economie latinoamericane, per le quali le rimesse degli emigrati valgono fino a un quarto del Pil

Rimpatri Trump, ecco quanto incidono sui Pil dell’America Centrale

Le deportazioni di massa, o per meglio dire i rimpatri promessi e già effettuati dal presidente statunitense Donald Trump, possono incidere pesantemente sul Pil di alcuni Paesi dell’America Latina, in particolare del Centroamerica e nei Caraibi. Come è noto, la stragrande maggioranza degli immigrati clandestini negli Usa arrivano da Messico, El Salvador, Guatemala e Honduras (con destinazioni principali California, Texas, Arizona e New Mexico): si tratta di 27,7 milioni di lavoratori che secondo i calcoli del BID (Banca Interamericana di Sviluppo) nel 2024 hanno spedito alle loro famiglie nei Paesi d’origine un totale di 161 miliardi di dollari.

L’impatto delle rimesse sul Pil dei Paesi latinoamericani

Se per Paesi come Messico e Colombia questi soldi valgono “solo” il 3% del Prodotto Interno Lordo, per altri – Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala, Giamaica e Haiti – il valore delle rimesse arriva fino ad un quarto e oltre del Pil. Il dato più alto è proprio quello del Nicaragua, che sfiora il 28%. Cioè il 28% del Pil è generato dagli emigrati nicaraguensi che lavorano negli Stati Uniti. Ma vale la pena citare anche il 25,9% del Pil dell’Honduras, il 23,5% di El Salvador, il 17% della Giamaica. Se tutti i rimpatri voluti dalla nuova amministrazione della Casa Bianca andassero per davvero in porto, è di tanto che rischierebbero di crollare i Pil di quei Paesi.

L’economia dei lavoratori latinoamericani negli Stati Uniti

Insomma la strategia muscolare di Trump non è solo discutibile dal punto di vista umanitario, ma anche da quello finanziario. Come ha ricordato la vescova episcopale Mariann Budde durante l’Inauguration Day, suscitando l’irritazione dell’entourage del tycoon, si tratta di lavoratori che svolgono lavori socialmente fondamentali come care giving, pulizie, ristorazione, consegne a domicilio. Del totale dei soldi che gli emigrati latinoamericani mandano a casa, contando anche l’Europa e gli altri Paesi dell’America Latina, l’80% proviene dagli Stati Uniti.

Il tasso di occupazione degli immigrati latinoamericani e caraibici negli Usa è stato nel 2024 del 95,2%, in crescita del 3,4% rispetto all’anno precedente. Persino il salario medio settimanale, seppur in condizioni difficili e precarie, è segnalato in crescita rispetto al passato: nel primo trimestre 2024 ha sfiorato i 900 dollari a settimana, il valore massimo negli ultimi 18 anni per questa specifica categoria di lavoratori. Il dato è migliore del 5% rispetto al 2023, ma secondo quanto ammette lo stesso BID è sicuramente sottostimato rispetto alla realtà, che prevede anche tanto lavoro informale e soprattutto pagamento in contante, poiché molti di questi immigrati sono clandestini e non hanno accesso al conto in banca. Ancora più difficile è calcolare quanti dollari arrivino in Venezuela, che pone un limite rigoroso all’ingresso della valuta nordamericana nel Paese. Molti immigrati usano lo schema della triangolazione, mandando i soldi in altri Paesi sudamericani e cambiando la moneta. Il BID stima che a Caracas e dintorni vengano spediti 4 miliardi di dollari l’anno, almeno.

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