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Riforme, le grandi assenti della campagna elettorale

E le riforme? Nessuno (o quasi) ne parla più. Si sono perse per strada. Berlusconi punta tutto su di una spericolata politica fiscale per rilanciare i consumi e fa il viso delle armi alla Germania. Bersani, per parte sua, punta su di un aumento della spesa pubblica per creare occupazione : 7 miliardi di euro per scuola e sanità finanziati col taglio degli F35 (voluti peraltro dal governo D’Alema) e con l’allentamento del patto di stabilità. Soltanto Monti, sommessamente (forse troppo) ricorda che senza riforme strutturali, che però costano e non sono indolori, non si torna a crescere e, soprattutto, non si hanno i titoli per convincere l’Europa a cambiare politica. La verità è che le Riforme sono il nostro miglior investimento.

Quella del mercato del lavoro, ad esempio, comporta che si investano risorse importanti nella formazione e nella creazione di una fitta rete di centri per l’impiego davvero efficienti. Comporta anche il ricorso ad incentivi fiscali e contributivi per favorire l’assunzione dei giovani e delle donne. La stessa riforma della cassa integrazione e l’introduzione della indennità di disoccupazione per tutti i lavoratori che perdono il lavoro avrà, anch’essa, i suoi costi, se non altro perché dovrà farsi carico del transitorio per quei lavoratori che, perdendo la cassa in deroga, potrebbero trovarsi senza lavoro e senza reddito alcuno, un po’ come è stato per gli esodati. 

Ma proprio la riforma del mercato del lavoro avviata dalla Fornero illustra assai bene la differenza fra la spesa improduttiva (finalizzata cioè all’assistenza) e quella produttiva (finalizzata cioè alla creazione di lavoro). Il governo Berlusconi nel 2008/9 investì circa 8 miliardi di euro nelle casse integrazione in deroga. Un investimento a fondo perduto, puramente assistenziale che nessuno allora criticò e di cui nessuno chiese mai la revoca. La riforma Fornero, invece, va nella direzione giusta. Riduce le voci di spesa, elimina i doppioni e gli sprechi ed estende a tutti i diritti. Man mano che diventerà operativa la riforma renderà la spesa più efficiente e gli investimenti pubblici in questo campo più produttivi. Se poi riuscirà a favorire l’occupazione si rivelerà anche assai meno onerosa del sistema attuale. In altre parole: investire in ammortizzatori sociali senza riformare il mercato del lavoro rappresenta uno spreco. Mettere soldi per favorire la riforma rappresenta invece un investimento.

Lo stesso può dirsi per la scuola e per l’università. Mettere soldi in questa scuola e in questa università senza avviare contestualmente la loro riforma rappresenterebbe uno spreco. Utilizzare invece le risorse pubbliche per finanziare i costi della riforma sarebbe invece un investimento fondamentale per il futuro del paese. La scuola va ripensata e riorganizzata reintroducendo il merito (per gli studenti), la qualità (per gli insegnati) e l’efficienza (per i singoli istituti). La stessa Università va profondamente cambiata. L’università di massa, aperta a tutti e non solo ai meritevoli, senza selezione e senza merito e a durata illimitata, è stato il sogno del 68 che si è tradotto nell’incubo odierno di una Università che non produce un sufficiente numero di laureati e che perde drammaticamente terreno nei confronti di quasi tutti i paesi avanzati. E’ una università che va riformata e gli investimenti debbono servire per coprire i costi della riforma e non per coprire i costi crescenti di una struttura che non funziona come dovrebbe. 

Le riforme, da quella della scuola e dell’università a quella della sanità, della P.A. e delle Istituzioni, una volta realizzate possono a loro volta generare le risorse necessarie allo sviluppo. E’ cosi che si può tornare a crescere : investendo nel cambiamento e non nella conservazione dell’esistente. Se faremo le riforme in Italia avremo anche i titoli per chiedere all’Europa di cambiare.

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