Ma perché in Italia è tanto difficile fare le riforme e modernizzare il Paese? Colpa di Salvini o colpa dei Cinque Stelle e dei loro pregiudizi ideologici? Sì, certamente il conservatorismo di alcune forze politiche – che offrono una lettura surreale dello stato del Paese e che se ne infischiano dell’interesse generale, inseguendo solo il consenso elettorale a breve – conta eccome, ma non è tutto. In realtà, sotto l’avversione al nuovo di alcuni partiti c’è dell’altro: un blocco di interessi che ostacola il cambiamento, come si vide anche in occasione del referendum costituzionale del 2016, salvo ora dover sopportare le litanie tardive e spesso ipocrite di chi lamenta le distorsioni del rapporto tra Stato e Regioni, venute clamorosamente alla luce durante la gestione della pandemia.
Ma, uscendo dalle denunce generiche e perciò inutili, in un editoriale pubblicato giovedì scorso dal Corriere della Sera, l’illustre giurista e giudice costituzionale emerito Sabino Cassese non è andato tanto per il sottile e ha fatto nomi e cognomi delle forze che bloccano il rinnovamento del Paese. Con tanto di esempi.
“Elencare i titolari del potere di interdizione, oggi, in Italia, sarebbe lungo”, scrive Cassese, che però non si sottrae all’indicazione delle forze della conservazione. Dello schieramento che blocca il Paese “fanno parte i sindacati, che hanno sviluppato un atteggiamento esclusivamente rivendicazionistico”. E pensare che negli anni Settanta la Cgil di Lama e Trentin, la Cisl di Carniti e la Uil di Benvenuto guidavano la battaglia delle riforme: altri tempi e altri leader.
Ma oltre ai sindacati, Cassese mette sul banco degli imputati altre tre forze: “Il potere giudiziario, che confonde indipendenza con immunità e tutela della legittimità con cura della moralità”. Poi “la Corte dei Conti, che scambia il ruolo di guardiano della legalità con quello di guardiano delle proprie prerogative”, e infine “l’Autorità Anticorruzione, che ingigantisce il pericolo di corruzione per allargare ambito e intensità della propria azione”.
“Ma se questo non si può modificare, quell’altro non si può fare, com’è possibile governare?”, si chiede giustamente Cassese. Ed è proprio questo che blocca il rinnovamento dell’Italia. Speriamo che, con il suo intelligente pragmatismo, il premier Mario Draghi trovi nelle prossime settimane lo spiraglio giusto per fare finalmente almeno tre o quattro riforme che l’Europa ci chiede e senza le quali difficilmente potrebbe decollare lo stesso Recovery Plan. Dopo l’accelerazione del piano di vaccinazioni e la riscrittura entro aprile del Recovery, le riforme più urgenti diventano il piatto forte della sfida rinnovatrice di SuperMario. Ma non per caso, in una recente intervista a FIRSTonlime l’ex leader socialista Claudio Martelli, pur spezzando una lancia a favore di Mario Draghi, avvertiva che “rilanciare l’Italia è più difficile che salvare l’euro”.