Dal 1946 ad oggi l’Italia ha avuto 31 Presidenti del Consiglio e 68 Governi. Dal dopoguerra ad oggi la Germania ha avuto in tutto 8 Cancellieri e la Francia 39 Governi. Basterebbero questi numeri a chiarire che le riforme costituzionali in Italia non sono la priorità assoluta come ricorda con qualche ambiguità Elly Schlein, ma non sono nemmeno un optional nè un’arma di distrazione di massa inventata da Giorgia Meloni per nascondere le insufficienze del suo Governo.
RIFORME COSTUZIONALI TRA SEMIPRESIDENZIALISMO E PREMIERATO: CHE COSA SONO ESATTAMENTE?
Ma riforme costituzionali per fare che cosa e di che tipo? Allo stato sono due le opzioni principali sul tappeto: il semipresidenzialismo e il premierato. Con il primo si dovrebbe procedere all’elezione diretta del Capo dello Stato a cui concedere maggiori poteri, un po’ come avviene oggi in Francia dove però la fine del bipolarismo e la crisi del macronismo testimoniano che non basta eleggere col voto popolare il Presidente della Repubblica per consentirgli realmente di governare. Con il premierato si punta invece a rafforzare il Presidente del Consiglio, lasciando inalterato il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, mentre resta aperta la discussione se il consolidamento del capo del Governo debba avvenire per elezione popolare o conferendogli maggiori poteri ma eleggendolo per via parlamentare .
In realtà il semipresidenzialismo sarebbe un pericoloso azzardo perché, oltre a minare le funzioni di un Presidente amatissimo come Sergio Mattarella, alterando i poteri del Capo dello Stato se ne metterebbe in crisi la funzione di garanzia costituzionale che è anche una garanzia di equilibrio tra i poteri.
Al contrario, dare più stabilità e insieme più poteri al Presidente del Consiglio non è una scelta di parte ma una necessità obiettiva per cancellare l’anomalia tutta italiana di governi di breve durata. E per dare maggiori poteri al premier, a partire dalla possibilità di sfiduciare i ministri inadeguati e di sciogliere le Camere in assenza di una maggioranza chiara. Il fatto che ora la Meloni, archiviando i sogni della campagna elettorale, sembri orientarsi verso il premierato è una novità incoraggiante.
PALAZZO CHIGI E’ UN GUSCIO VUOTO MA LA SCELTA DEL PREMIER DEVE AVVENIRE PER ELEZIONE POPOLARE O NO?
Agli inizi degli anni Ottanta il primo Presidente del Consiglio laico, Giovanni Spadolini, confidava spesso che Palazzo Chigi era un “guscio vuoto” e, prima di lui, il leader socialista Pietro Nenni ammetteva sconsolato, dopo la formazione del primo governo di centrosinistra, che “la stanza dei bottoni non esiste”. Ecco perché, come dice spesso il padre della sociologia italiana, Franco Ferrarotti “i governi galleggiano e tirano a campare anziché aggredire e risolvere i problemi del Paese”.
Non si comprende perciò perché, soprattutto a sinistra, si debba guardare con diffidenza e scetticismo alla possibilità di rafforzare i poteri del Governo – non del Governo Meloni ma di tutti i governi futuri – e il ruolo del Presidente del Consiglio. Si potrà discutere se il modello migliore sia quello del Sindaco d’Italia , caldeggiato da Matteo Renzi, con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio per via popolare o se convenga mantenere la base parlamentare come fonte primaria di legittimazione del premier. Che occorra rafforzare Palazzo Chigi dovrebbe però essere convinzione comune e, se lo facesse, la sinistra darebbe prova di saper anteporre l’interesse nazionale alle convenienze contingenti e di giocare all’attacco anziché chiudersi sulla difensiva. Ma ancor più della sinistra, che oggi è minoranza in Parlamento e nel Paese, tocca alla maggioranza e in primo luogo alla premier Giorgia Meloni fare la sua parte e dare prova di buona volontà e di lungimiranza politica. Come? Promuovendo un dialogo reale e non solo di facciata con le opposizioni e soprattutto usando l’intelligenza politica al posto dei muscoli. Non va in questo senso la minaccia agitata dal ministro degli Esteri e capodelegazione di Forza Italia al Governo, Antonio Tajani, di procedere a colpi di maggioranza sulle riforme costituzionali se le opposizioni si arroccassero attorno a preventivi e insuperabili veti di principio. In passato furono proprio i governi di sinistra a riformare la Costituzione a colpi di maggioranza e se ne sono visti guai.
RIFORME COSTTUZIONALI PER CANCELLARE L’INSTABILITA’ DEI GOVERNI
Le riforme costituzionali sono dunque una prova di maturità della Meloni, della maggioranza di centrodestra e delle opposizioni e non si capisce perché debba essere accompagnata da un pregiudiziale scetticismo come quello che alberga in larga parte della stampa. Finora le riforme costituzionali e i premier che vi si sono provati hanno avuto – è vero – vita grama e il referendum perso da Matteo Renzi nel 2016 è stata la più grande occasione perduta di aggiornare l’impianto costituzionale per semplificare il processo legislativo e il cammino delle riforme. Ma la storia non è predeterminata, non si ripete mai allo stesso modo e non sta scritto da nessuna parte che i tentativi di riforma costituzionale debbano sempre fallire. Non c’è nessuna ragione per non provarci, ma sarà bene ricordare che che senza riforme non sarà una magia a cancellare l’anomalia italiana dell’instabilità di governo.
Ammesso e non concesso che le riforme costituzionali non siano – come dice la segretaria del Pd – la priorità del Paese e non possano far dimenticare le urgenze del lavoro, ha ragione da vendere il giurista ed ex parlamentare del Pd, Stefano Ceccanti, quando afferma sul Foglio che “le riforme costituzionali non fanno direttamente le politiche ma fanno sì che le politiche si possano fare e (che perciò), se riteniamo che una capacità di decisione di lungo periodo sia una priorità, allora le riforme lo sono”.
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Una riforma elettorale con soglie e premi crea una base più consistente per un esecutivo meno instabile . La riforma della Presidenza del Coniglio farebbe il resto.
L’esempio di Trump e di Macron non incoraggia per ipotesi di elezioni dirette .