La riforma dell’Irpef e l’introduzione dell’assegno unico e universale per i figli hanno un effetto redistributivo importante, che riduce le differenze sociali in Italia. Lo scrive il Dipartimento delle Finanze del Tesoro in un’analisi. Grazie a queste due misure, l’indice di Gini del reddito disponibile familiare, che misura il livello di disparità nella distribuzione della ricchezza, cala dell’1,65%, “indicando una rilevante diminuzione della disuguaglianza del reddito disponibile per le famiglie italiane”, si legge nella nota del ministero.
Migliora in modo significativo anche l’indice Reynold-Smolensky (+8,41%), che misura l’efficacia dell’effetto redistributivo delle due misure.
Inoltre, la redistribuzione della ricchezza “è maggiore per le aree del Mezzogiorno rispetto a quelle del Centro-Nord – prosegue la nota – come risulta dall’incremento dell’indice di redistribuzione globale (+12,32% al Sud, contro +9,58% al Centro e +8,19% al Nord) e dell’indice di Reynold-Smolensky (+11,25% al Sud, +7,22% al Centro, +7,03% al Nord)”.
Per le casse pubbliche, il costo cumulato della riforma dell’Irpef e dell’introduzione dell’assegno unico è pari a 13,8 miliardi di euro.
L’assegno unico universale per i figli
L’assegno unico per i figli “è universale in quanto è indipendente dal reddito e dalla tipologia di lavoro svolto dai componenti – ricorda il Tesoro – ed è unico in quanto sostituisce la molteplicità dei precedenti strumenti di sostegno al reddito familiare, a partire dalle detrazioni Irpef per i figli a carico e dall’assegno per il nucleo familiare”.
Con il nuovo assegno unico per i figli “beneficeranno di maggiori trasferimenti tutte le famiglie dei lavoratori dipendenti (incluse quelle costituite da contribuenti “incapienti” ai fini Irpef) e dei lavoratori autonomi”. Allo stesso tempo, però, “la progressività della nuova misura è assicurata dalla decrescenza degli importi dell’assegno in funzione dell’Isee”.
Per maggiori informazioni sull’assegno unico per i figli leggi l’articolo sulle istruzioni dell’Inps.
La riforma dell’Irpef
Per quanto riguarda la riforma dell’Irpef, contenuta nella manovra 2022, “la riduzione dell’incidenza dell’imposta (-9,43% in termini di aliquota media effettiva) è più che compensata da un aumento significativo nella progressività della riforma (+21,60% dell’indice di progressività di Kakwani)”, argomenta il Mef.
L’intervento punta in primo luogo a “rimuovere gli effetti distorsivi sull’offerta di lavoro associati all’andamento irregolare delle aliquote marginali effettive, ridurre la pressione fiscale per un’ampia platea di contribuenti e concentrare i benefici sui redditi medi, superando gli effetti distorsivi dovuti al salto dell’aliquota marginale legale dal 27% al 38%”, conclude il ministero dell’Economia.
La riforma, che inizierà a farsi sentire su pensioni e buste paga a partire da marzo, prevede la riduzione degli scaglioni da cinque a quattro, il taglio delle due aliquote centrali (dal 27 al 25% sulla fascia di reddito 15mila-28mila euro e dal 38 al 35% su quella successiva, da 28 a 50mila euro), oltre a una revisione del sistema delle detrazioni.
Per un’analisi più dettagliata sugli effetti redistributivi dell’intervento, rimandiamo allo studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio su chi guadagna di più dalla riforma dell’Irpef.