Dopo tante tensioni nella maggioranza, il Parlamento italiano ha approvato mercoledì la proposta di riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), cioè il Fondo salva-Stati. Pratica archiviata? Non proprio. In realtà, Camera e Senato non hanno ancora dato il via libera definitivo al nuovo Mes: questo passo sarà compiuto nei prossimi mesi, quando – in caso di via libera dalle istituzioni europee – i parlamenti nazionali saranno chiamati alla deliberazione finale. Con il voto di mercoledì, Montecitorio e Palazzo Madama hanno approvato solo le comunicazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha spiegato per quale motivo al vertice europeo che si apre il 10 dicembre (e che affronterà anche altri temi decisivi come il Recovery Fund e la Brexit), il governo italiano si esprimerà a favore della riforma del Mes. Si è trattato comunque di un passaggio politico cruciale, perché il cambiamento del Fondo salva Stati era bloccato da oltre un anno a livello continentale proprio a causa dell’Italia, che ha evitato a lungo di affrontare la questione per non alterare gli equilibri nel Movimento 5 Stelle, da sempre ostile a questo strumento.
Ma cosa prevede, di preciso, la riforma del Mes? Innanzitutto, sgombriamo il campo dal malinteso numero uno: il provvedimento non ha nulla a che vedere con il cosiddetto “Mes sanitario”, varato la scorsa primavera come misura anti-pandemia e che potrebbe garantire alla sanità italiana prestiti per circa 36 miliardi di euro a condizioni agevolate.
La riforma del Mes riguarda altri due aspetti: il “backstop” bancario e nuove condizioni per accedere ai prestiti del Fondo.
“BACKSTOP”: IL MES E LE BANCHE
Sul primo fronte, la novità è che il Mes potrà trasferire denaro al Fondo di risoluzione unico nel caso in cui questo debba intervenire ma non abbia più le risorse per farlo. Si tratta di un’eventualità piuttosto remota: il presupposto è che vada in crisi una banca sistemica per l’Eurozona (e quindi vigilata dalla Bce), che sia già stato attivato il bail-in (meccanismo che implica perdite per gli azionisti, gli obbligazionisti e in ultima istanza anche per i correntisti dell’istituto) e che il Fondo di risoluzione sia già intervenuto fino a svuotarsi. Soltanto in quel caso potrebbe intervenire il Mes, che quindi funzionerebbe come un paracadute del paracadute.
Diversi membri dell’opposizione sostengono che queste modifiche al funzionamento del Mes siano state pensate per salvare non meglio precisate “banche tedesche e francesi”. In realtà, è stato il governo italiano a insistere più di ogni altro per l’inserimento nella riforma del “backstop”: con la nuova ondata di crediti deteriorati in arrivo a causa della pandemia, il nostro Paese ha tutto l’interesse a rafforzare il più possibile la rete europea di protezione del credito. Non tanto per l’esistenza di un vero rischio sistemico, quanto per aumentare la fiducia nelle capacità di tenuta delle banche.
I PRESTITI AGLI STATI
Per quanto riguarda la funzione originaria del Mes, fornire prestiti agli Stati in crisi, la riforma prevede che i singoli Paesi possano attivare linee di credito senza condizionalità. Per avere diritto a questo privilegio, però, dovranno rispettare i parametri di Maastricht, ossia contenere il rapporto deficit-Pil entro il 3% e avere un debito pubblico inferiore al 60% del Pil, oppure ridurre lo squilibrio tagliando ogni anno un ventesimo della parte di debito eccedente il 60%.
Al momento nessun Paese rispetta queste condizioni, perché la pandemia ha imposto la sospensione del Patto di Stabilità per poter spingere sul pedale del disavanzo. Nel medio-lungo termine, però, i Paesi del Nord Europa rientreranno nei ranghi, mentre la stessa cosa non si può dire dell’Italia. Con un debito pubblico schizzato oltre il 160% del Pil, il nostro Paese non potrà mai sognare di accedere al Mes senza condizioni. E quindi cosa cambierà rispetto al passato? In realtà, assolutamente nulla. Se mai fossimo costretti a chiedere l’aiuto del Fondo salva Stati, per ottenerlo dovremmo sottoscrivere un accordo con l’Europa, impegnandoci a risanare i conti con dolorose manovre d’austerità. Il caro vecchio Mes, insomma. Com’è sempre stato.