Revisione dei contratti, limitazione dell’articolo 18, semplificazione e potenziamento degli ammortizzatori sociali. Sono questi i tre pilastri su cui poggia la nuova riforma del lavoro. E mentre il Governo accelera sull’approvazione – via libera previsto tra il 21 e il 23 marzo – la possibilità di un accordo con i sindacati si allontana. Da oggi il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, inizia una rush di incontri bilaterali sul capitolo più controverso della riforma, la flessibilità in uscita. Ma lo snodo decisivo della trattativa sarà probabilmente lunedì prossimo, quando i rappresentanti delle parti sociali incontreranno il premier Mario Monti a Palazzo Chigi.
Quanto alle risorse da trovare per i nuovi ammortizzatori sociali, ancora non si hanno certezze. “Non sono in grado di dirvi dove saranno trovate le risorse, il Governo è impegnato a ricercarle”, ha detto Fornero al termine dell’ultimo vertice di ieri. I fondi non saranno comunque sottratti “agli altri capitoli del welfare. Il governo si impegna a trovare le risorse al di fuori dei capitoli di spesa sociale”.
Ma nel pomeriggio Fornero ha lanciato la sfida ai sindacati: “E’ chiaro che se c’è un accordo più avanzato mi impegno a trovare risorse più adeguate e fare in modo che questo meccanismo degli ammortizzatori sociali e questo mercato del lavoro funzionino abbastanza bene”. Ma è chiaro anche “che se uno comincia con il dire no, perché dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire: voi diteci di sì? Mi risulterebbe molto difficile capire il sindacato italiano se non si dichiarasse d’accordo con una riforma che lavora per l’inclusione e l’universalità degli ammortizzatori sociali“.
Infine, i tempi: i nuovi ammortizzatori partiranno quest’anno e andranno a regime nel 2015, non nel 2017 come era stato detto nell’ultimo incontro. Un’accelerazione che il segretario della Cgil, Susanna Camusso, giudica “un passo indietro”, perché “si traduce nel breve periodo, durante la crisi, in una riduzione della copertura”.
Vediamo ora qual è lo schema di riforma su cui punta l’Esecutivo:
AMMORTIZZATORI SOCIALI
1) Cassa integrazione straordinaria. non potrà più essere concessa in caso di chiusura dell’azienda, ma solo in caso di ristrutturazioni.
2) Cassa integrazione ordinaria. Sopravvive nella forma attuale.
3) Indennità di disoccupazione. Sostituisce tutte le indennità e si applica a tutti i dipendenti (privati e pubblici) con contratto a tempo determinato. Fornero l’ha definita un’ “assicurazione sociale per l’impiego” e per averne diritto bisognerà avere almeno due anni di anzianità assicurativa e 52 settimane lavorative negli ultimi due anni. Dovrebbe partire dal 2015.
L’assegno massimo dovrebbe essere di circa 1.120 euro al mese, ma con un taglio del 15% dopo sei mesi e di un altro 15% dopo il secondo semestre. La durata del trattamento può variare fra gli e i 12 mesi. Solo per i lavoratori d’età superiore ai 58 anni è possibile arrivare a 18 mesi. L’aliquota contributiva è dell’1,3%, ma sale al 2,7% per i lavoratori precari.
CONTRATTI
Con un’aliquota dell’1,4% sui contratti a termine, la precarietà dei lavoratori diventa più cara per le aziende, che sono spinte a puntare sull’apprendistato. Quest’ultima forma contrattuale viene potenziata e incentivata: i contributi da pagare saranno bassissimi o addirittura nulli per i primi tre anni, ma il licenziamento può arrivare solo “per giusta causa” e deve essere garantita una formazione certificata dei lavoratori. Allo scadere del triennio si arriva a un bivio: l’impresa può scegliere se chiudere il rapporto con l’apprendista oppure stabilizzarlo con un contratto a tempo indeterminato.
ARTICOLO 18
Come lo conosciamo oggi – diritto al reintegro per il lavoratore licenziato senza giusta causa – l’articolo 18 sopravvive solo per i licenziamenti basati su gravi discriminazioni. Quando il rapporto di lavoro viene interrotto per motivi economici o disciplinari, l’azienda (su decisione di un giudice o di un arbitro) è tenuta semplicemente a corrispondere un indennizzo proporzionale all’anzianità di servizio. Si discute su nuove possibili tutele per chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti, su cui oggi non è valido l’articolo 18.