Vedremo presto se la montagna partorirà il topolino e se il disegno di legge Casellati di riforma costituzionale vedrà finalmente la luce per cominciare poi il suo lungo iter parlamentare e culminare molto probabilmente nel referendum popolare se nelle Camere mancherà una maggioranza qualificata. Ci sarà tempo e modo per valutare la riforma, non solo per come è alla sua partenza ma per come arriverà all’approvazione finale. Due aspetti però non andrebbero dimenticati: 1) durante la prima guerra mondiale il Presidente del consiglio francese Georges Clemenceau diceva che “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali”. Lo stesso concetto andrebbe applicato ai costituzionalisti che possono elaborare le interpretazioni più raffinate della Costituzione ma spesso non fanno i conti con la politica che, nella sua forma più alta, è basata per definizione sulla mediazione dei diversi punti di vista e dunque sulla ricerca del consenso, senza il quale anche i progetti più affascinanti restano lettera morta; 2) pur essendo una delle più belle al mondo, la nostra Costituzione ha più di 75 anni e non può essere un tabù l’idea di aggiornarla, purché la si migliori realmente e purché si preservi la fondamentale funzione di garanzia del Presidente della Repubblica, tanto più se si chiama Sergio Mattarella.
Tutto ciò premesso, sembra lunare che tra le priorità della riforma proposta dal ministro Elisabetta Casellati ci sia l’abolizione per il futuro dei senatori a vita, salvo gli ex Presidenti della Repubblica: ma davvero c’è qualcuno che pensa che escludere dal Parlamento personalità luminose e piene di storia come sono state e sono Liliana Segre, Renzo Piano, Mario Monti, Elena Cattaneo e Carlo Rubbia sia quello di cui l’Italia ha bisogno? Più che una riforma, una norma del genere, anche se proiettata al futuro, ha solo il sapore di una velenosa vendetta della destra sul passato e, se davvero comincia così, Casellati finisce giù dalla torre.