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Rifiuti tessili, l’economia circolare italiana ostaggio di pregiudizi e norme sballate

Ci sono norme che bloccano buoni risultati ma anche decisioni politiche locali che non fanno crescere il Paese

Rifiuti tessili, l’economia circolare italiana ostaggio di pregiudizi e norme  sballate

Il sistema italiano della gestione dei rifiuti tessili ha raggiunto buone performance con un giro d’affari internazionale e un’organizzazione territoriale condivisa con i Comuni. Eppure al Green Med Expo & Symposium di Napoli le aziende hanno lanciato l’allarme per uno stop delle attività dovuto a norme europee bloccanti che alle dogane frenano le esportazioni di rifiuti e di prodotti usati di fascia bassa. Di fatto si ostacolano le esportazioni della frazione riusabile di minore qualità verso mercati nei quali andrebbe in competizione con fast fashion scadente. Un passaggio qualificante dell’economia circolare sta perdendo forza.

L’allarme per la politica e per la futura leadership europea è che grandi quantitativi di raccolte differenziate di rifiuti tessili non più avviabili a riuso, finirebbero in discarica o in termovalorizzatore con forti aumenti dei costi. L’Italia è certamente il Paese più esposto.

Pregiudizi e risultati

A Napoli si discute ad ampio spettro di quello che non va nel processo di circular economy del sistema Paese. Le aziende del riciclo hanno toccato un tema di fondo che ha a che fare con la politica nei territori.

“Riscontriamo come in diverse aree del Paese si stia, spesso inopportunamente, attribuendo in modo esclusivo a società pubbliche la gestione delle attività del ciclo integrato di gestione dei rifiuti, ‘cancellando’ in prospettiva il tessuto di operatori privati che hanno garantito buoni risultati” ha detto Elisabetta Perrotta a nome delle aziende. Perché succede? Per lo spauracchio della privatizzazione. La Corte dei Conti lo ha scritto: nel 2021 su 11.852 affidamenti di servizi locali ben 10.863 (il 91,7%) sono stati diretti. Uno squilibrio strutturale pregiudiziale verso l’iniziativa privata retaggio anche di stagioni politiche fugaci quanto dannose.

Ferdinando Di Mezza, vicepresidente di Assoambiente la spiega così: “Nel contesto nazionale ci confrontiamo quotidianamente con un atteggiamento fortemente pregiudiziale verso l’iniziativa privata e questo è tanto più grave in quanto colpisce un settore cruciale come quello della gestione del ciclo dei rifiuti”. La pubblica amministrazione faccia un salto di qualità; nei servizi pubblici il mix pubblico-privato visto come tabù, è antistorico. La qualità per chi il servizio lo paga, dovrebbe determinare le scelte decisive. Nel dibattito si è detto di un pesantissimo scetticismo ideologico che riduce le possibilità di sviluppo. La scelta di ricorrere ad affidamenti in house si spiega con la volontà di esercitare un controllo pubblico, al netto delle influenze politiche anche deteriori che si possono manifestare. “Ma il controllo pubblico è sempre assicurato anche in caso di affidamenti ai privati” aggiunge Di Mezza che evidentemente si riferisce alla sola e corretta gestione del servizio pagato dai cittadini. Di sicuro un processo di economia del riciclo, con impianti da costruire, non lo realizzeranno solo i sindaci.

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