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Rifiuti, il business che non piace all’Italia

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Mancano gli impianti e cresce il turismo dei rifiuti verso le altre Regioni. Non migliora la gestione della spazzatura nel nostro Paese, dando ragione a coloro che si battono per costruire nuovi impianti e alleviare, infine, le pene di migliaia di cittadini. Il fenomeno viene periodicamente studiato, lasciando di contro poche soddisfazioni e molta amarezza per un business milionario. Fise Assoambiente, l’associazione delle imprese del trattamento dei rifiuti, lancia, ancora una volta, l’allarme soprattutto per Lazio, Campania e Sicilia. 

Il suo Presidente Chicco Testa, in un’intervista a questo giornale, aveva già  denunciato i rischi che si correvano per la mancanza di impianti. Di nuovo ora c’è un rapporto su dati Ispra e della stessa Assoambiente, nel quale si denuncia che nelle tre regioni suddette mancano impianti adeguati al contesto. “Carenza di un’adeguata impiantistica per il riciclo dei rifiuti, assenza di valorizzazione energetica per quanto non riciclabile, turismo dei rifiuti verso altre Regioni, affidamento eccessivo allo smaltimento in discarica”. Questa la sintesi, poco edificante per chi al governo del Paese non perde occasione per dire che l’Italia è alla vigilia di un new green deal.  

Dal rapporto non esce bene il Lazio del governatore Nicola Zingaretti, che più di altre Regioni alimenta il fenomeno del turismo dei rifiuti. La differenziata è al 46%, ma il 64% dell’umido prelevato va fuori Regione. Attenzione: qui pesa lo sfascio organizzativo di Roma capitale, che alla fine fa tutt’uno con le posizioni di chi è alla guida della città e si oppone alla costruzione di nuovi impianti. Pregiudizi ideologici viene da dire, laddove la situazione sta sfuggendo di mano. La Campania del governatore Vincendo De Luca, a sua volta, è sull’orlo dell’emergenza. 

La raccolta negli anni è migliorata, ma si fa poco riciclo. Il mega inceneritore di Acerra, gestito da A2A, è servito a superare la fase più critica degli anni passati, tuttavia la situazione regionale “appare solo momentanea e decisamente fragile”. In un territorio che produce 439,5 kg di rifiuti per abitante all’anno. L’assenza di un efficiente sistema di riciclo a valle delle raccolte si traduce nell’88,5% di organico verso altre Regioni d’Italia. Euro in uscita, non c’è che dire. Il termovalorizzatore di Acerra, tra l’altro, tratta circa il 70% dei rifiuti inceneriti in tutto il Sud. E siamo a due.  

La Sicilia ha il “record di discarica e impianti di riciclo e recupero“. In percentuale vuol dire 73% di spazzatura a discarica e 22 % raccolta in modo differenziato. Sulle discariche va detto che la Giunta di centro destra di Nello Musumeci, vuole chiuderle ed ha stanziato i primi 2,2 milioni di euro, dopo mesi passati a censire 551 siti sparsi in tutte le province. Una radiografia quella di FISE, senza ombre, che certifica “costi di gestione alle stelle, inefficienze e inquinamento determinato dal continuo trasporto dei rifiuti. Tutto in barba alla circular economy e con l’emergenza alle porte”.  

I nodi strutturali italiani, non regionali si badi, sono davanti a tutti. Ciò che manca è ancora una visione d’insieme, politica e industriale, che all’estero da anni genera milioni di euro di profitti. La tecnologia è  andata avanti rispetto agli studi degli anni ’90 sull’incenerimento e a Parigi, Vienna, non sono così gonzi da tenersi gli impianti in città, che hanno bassi impatti ambientali, subiscono controlli severi e aiutano la rigenerazione energetica. “Se vogliamo concretamente realizzare la circular economy – commenta Chicco Testa – è necessario superare da un lato l’approccio pregiudiziale verso la realizzazione di qualsiasi tipo di impianto di gestione rifiuti e dall’altro la diffidenza nei confronti dell’uso di prodotti derivati dal recupero dei rifiuti che ancora oggi vincola in molti casi la domanda”. C’è sempre tempo per rimediare agli errori.

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Categories: Economia e Imprese