Di Sir Isaac Newton (1642-1726) sono ben noti i formidabili contributi alla fisica (meccanica classica, gravitazione universale, ottica) e alla matematica (calcolo infinitesimale). Un po’ meno noto è che fu un devoto cristiano (pur con qualche traccia di arianesimo), studioso di religione e biblistica, e al tempo stesso appassionato di alchimia ed esoterismo. Fu proprio l’alchimia, del resto, a familiarizzarlo con la possibilità di una forza che agisce anche a grande distanza, la gravitazione. Da qui l’accusa, di cui fu oggetto, di introdurre forze occulte nella scienza.
Ancora meno noto è che Newton fu per trent’anni responsabile della zecca inglese, che ebbe grandi successi nella lotta alla contraffazione delle monete (un reato punito allora con impiccagione, annegamento e squartamento) e che dette un contributo decisivo al passaggio dal bimetallismo oro-argento al monometallismo (gold standard).
Poco noto è anche che non ebbe nessuna relazione sentimentale e non si sposò mai, che nacque ricco, visse benestante e morì povero perché negli ultimi anni della sua vita perse tutto in borsa (più di tre milioni di sterline al valore attuale). Newton comprò infatti una discreta quantità di azioni della Compagnia dei Mari del Sud nel gennaio del 1720.
La società era stata fondata nove anni prima su un progetto dello scrittore Daniel Defoe, l’autore di Robinson Crusoe (affascinante l’eclettismo degli intellettuali di quei tempi). In concorrenza con la Bank of England, la Compagnia rilevava il debito pubblico in circolazione dando in cambio azioni proprie con un dividendo del 6 per cento, pagato indirettamente dal Tesoro. Si trattava di una forma di consolidamento volontario del debito pubblico, molto cresciuto per via delle continue guerre e di fatto non restituibile nelle modalità originarie. Come zuccherino, alla Compagnia veniva concesso dalla Corona il monopolio del trasporto e della vendita di schiavi in Sudamerica, un’attività che all’epoca era politicamente corretta.
Lo zuccherino fu molto apprezzato dal mercato. Il titolo fu aiutato anche dal costante acquisto di azioni proprie e da acquisti a leva da parte di azionisti compiacenti finanziati dalla società stessa. Newton riuscì a vendere a 300 sterline le azioni che aveva comprato un mese prima a 150. Un’operazione brillante, dunque, ma la soddisfazione fu di breve durata perché le azioni continuarono a salire. Newton, circondato da amici che non avevano venduto e che diventavano sempre più ricchi, decise allora di rientrare e, questa volta, in modo particolarmente aggressivo. Riacquistò dunque a 680 sterline in maggio e non ebbe inizialmente a pentirsene, perché la Compagnia continuò a salire, toccando all’inizio di agosto le 1050 sterline.
A quel punto, mentre arrivavano dalla Francia le notizie sul crollo della Compagnie du Mississippi messa in piedi con uno schema simile da John Law, iniziò però il declino, dapprima lento e irregolare e poi precipitoso. Newton iniziò a vendere in ottobre a 300 ma liquidò il grosso della posizione in novembre a 100 sterline, perdendo quindi quasi tutto. Posso calcolare il movimento delle stelle, si narra abbia detto, ma non la follia degli uomini.
Chi ha fatto qualche pasticcio da dicembre a oggi può quindi consolarsi. Anche i grandi geni come Newton, che pure era anaffettivo nella vita privata, vanno soggetti alle pulsioni basiche dell’avidità e della paura, non studiano come dovrebbero i titoli che comperano e gestiscono molto male gli stop loss. Proviamo allora a immaginare qualche strategia per chi ha fatto i pasticci e anche per chi non li ha fatti.
La premessa da cui partiamo è che questo è il primo di una serie di anni volatili, con rotazioni veloci e cospicue e con politiche monetarie divergenti, con un’America moderatamente restrittiva e resto del mondo espansivo. Escludiamo come improbabili, almeno a breve termine, recessioni e crash di mercato, ma anche accelerazioni nella crescita e una ripresa immediata del bull market del 2009-2014.
A chi ha venduto sui minimi dell’11 febbraio suggeriamo di non rientrare immediatamente nel mercato, se non in quantità ridotta, anche se da qui al 10 marzo non è probabile che le borse riprendano a scendere. Le attese su Draghi infatti, pur non essendo alte come erano state in dicembre, freneranno le iniziative degli short. Si tratta di un suggerimento soprattutto psicologico e quindi da valutare caso per caso. L’idea è che tornare subito sul mercato dopo un passo falso con l’obiettivo di rifarsi a tutti i costi conduce spesso ad altri errori, che potrebbero a loro volta indurre a uscire definitivamente e a prezzo di altre perdite.
Meglio allora, in questi casi, stare fermi un giro (o partecipare con qualche call) e aspettare un nuovo ribasso per fare sbollire l’emotività e per rientrare agli stessi livelli a cui si è usciti o ancora più in basso (se sarà il caso) in modo da mantenere un senso di coerenza in quello che si fa. Sono considerazioni, lo sappiamo, che possono fare inorridire tanto i cultori della teoria dei mercati efficienti quanto quelli di finanza comportamentale (volere comprare sotto il livello a cui si è venduto è una forma di ancoraggio a qualcosa di arbitrario).
La razionalità, negli esseri umani, va però riconciliata con la pancia e con l’integrità dell’Io, altrimenti non si va da nessuna parte. Ci saranno opportunità per rientrare su livelli interessanti? Il referendum del 23 giugno nel Regno Unito potrebbe essere un’occasione. Brexit potrebbe anche non essere catastrofico come si usa dire, ma di sicuro aprirebbe una lunga fase di trattative complicate e darebbe forza a tutti i nazionalismi europei. Se i sondaggi non daranno indicazioni più che chiare, le borse cercheranno di incorporare un premio per il rischio nelle settimane precedenti il referendum.
Se poi l’ostacolo Brexit sarà superato nel migliore dei modi, la Fed ne approfitterà nei mesi successivi per alzare di nuovo i tassi. Se anche questo ostacolo verrà assorbito, avremo in novembre elezioni americane che potrebbero vedere in lizza candidati difficili da misurare. Tanto Sanders quanto Trump, in ogni caso, avrebbero a che fare con un Congresso non molto diverso dall’attuale e non avrebbero carta bianca. L’incertezza, tuttavia, chiederebbe comunque un prezzo ai mercati, almeno in una prima fase. Ribassi potrebbero infine essere originati di nuovo dal petrolio e dalla Cina, anche se la loro virulenza sarebbe comunque mitigata dalla mancanza di effetto sorpresa.
Chi in questi due mesi non ha né venduto né comprato e ha semplicemente tenuto le posizioni che aveva sta oggi certamente meglio di due settimane fa ed è quindi in grado di fare scelte meno emotive. È però probabile che si chieda se sia il caso di vendere qualcosa già a questi livelli per risparmiarsi nuove sofferenze in caso di nuove discese. Come abbiamo detto, pensiamo che le prossime due-tre settimane possano portare il mercato più in alto. Da
quel punto in su sarà bene considerare qualche alleggerimento, via via più aggressivo man mano ci si dovesse avvicinare ai livelli di inizio anno. Non si tratta qui di rovesciare una strategia evidentemente rialzista, ma di modularla sull’anzianità del ciclo. Più un ciclo è maturo e meno strutturalmente aggressivi bisogna essere, anche in momenti di apparente buona salute dell’economia e degli utili.
Chi sui minimi di febbraio ha invece comprato può considerare la trasformazione di una parte della posizione in call. Se poi il mercato, come pensiamo, salirà ancora, la posizione potrà essere chiusa quasi per intero e una parte degli utili potrà essere investita in put. Chi ha comprato sui minimi era evidentemente leggero e non è male che ritorni ad esserlo se si presenta un’opportunità di vendita in modo da potere ripetere l’exploit al prossimo ribasso.
È la strategia di alcuni hedge fund che già nel 2015 avevano deciso di rimanere strutturalmente molto liquidi per potere raccogliere al meglio su ribasso. Chi aveva invece venduto in dicembre e non ha ricomprato sui minimi di febbraio è probabilmente in tempo per comprare qualche call. Quando i mercati scendono come sono scesi nelle scorse settimane si ha sempre l’impressione, durante il ribasso, che non si risalirà mai più. In realtà il bear market in cui ci troviamo dalla primavera del 2015 non ha tutta la virulenza che a volte gli si attribuisce.
Le stesse materie prime, fonte di tante sofferenze in questi mesi, potrebbero non essere lontane da una fase di stabilizzazione. La Fed, dal canto suo, potrebbe anche non avere tutta la fretta di alzare i tassi che ufficialmente manifesta. Più che un continuo deterioramento vediamo probabile una fase zoppicante in cui non solo i ribassi, ma anche i rialzi avranno pieno diritto di cittadinanza.