La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha convocato per il prossimo 11 novembre un incontro con i titolari del recente contratto che inquadra i rider come lavoratori autonomi (firmato tra Assodelivery e Ugl-Anar) e con il fronte opposto di Cgil-Cisl-Uil, Rider per i diritti e Riders Union Bologna. La convocazione di quest’ultima associazione territoriale per una vertenza nazionale solleva qualche curiosità, ma è questione del tutto marginale. La vera novità consiste nell’incontro, sotto la regia del ministero e in doveroso ossequio al pluralismo sindacale, di tutti i protagonisti che hanno animato il confronto negli ultimi tempi. C’è da aspettarsi che venga sollevata la questione dell’effettiva rappresentatività delle parti sindacali in causa, che per la verità se la negano l’un l’altra. Ma sarà difficile ottenere risposta al quesito finché non verrà data piena applicazione all’articolo 39 della Costituzione, che molti peraltro ritengono una “mission impossible”.
C’è una questione di fondo, a prescindere dal giudizio di merito sui contenuti del contratto Assodelivery-Ugl-Anar, che va affrontata e risolta: quella della natura dell’attività professionale del rider. Se è fuor di dubbio che si tratti di trasporto di cose, utilizzando cicli o motocicli, appare del tutto normale che nel settore convivano lavoratori autonomi con lavoratori subordinati. Come accade per i tassisti, una categoria che per molti aspetti può essere assimilata ai rider: possono essere autonomi, inquadrati dell’artigianato o essere soci e dipendenti di una cooperativa. Sono le tariffe delle prestazioni ad essere uguali. Per la cronaca, mentre a Milano solo il 5% dei tassisti è in cooperativa, a Bologna si verifica il contrario.
Del resto, l’assunzione di un rider con un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato sarebbe sostenibile solo da imprese di una certa dimensione in grado di renderla compatibile con il proprio volume di attività. Insistere sul principio che il rider deve essere solo e necessariamente un lavoratore dipendente subordinato, e quindi deve essere assunto e inquadrato dalla singola impresa in un contratto collettivo nazionale di lavoro, può portare solo a una conflittualità infinita, sindacale o giudiziaria che sia, in fondo alla quale i danni per lavoratori e imprese rischiano di superare largamente i possibili vantaggi.
Diverso sarebbe invece se, fermo restando il diritto all’esercizio autonomo dell’attività come libera scelta di un rider, Cgil-Cisl-Uil e le associazioni di riders interessate promuovessero, con il contributo del mondo della cooperazione, un’iniziativa per costituire cooperative di rider autogestite di cui i lavoratori fossero nello stesso tempo soci e dipendenti e che si sostituirebbe al singolo nel rapporto con le piattaforme. In questo caso, nel settore potrebbero convivere lavoratori autonomi e dipendenti, in competizione tra loro ma sulla base di comuni garanzie contro ogni forma di sfruttamento.
D’altra parte l’utilizzo delle piattaforme fa ormai parte dei “nuovi lavori” che vanno regolamentati ma che sarebbe suicida tentare di sopprimere. La funzione essenziale del sindacato, di ieri ma a maggior ragione di oggi, consiste nel creare strumenti di tutela del lavoro nel contesto in cui si è chiamati a operare. L’obiettivo prioritario di associare i soggetti deboli non è solo quello di esercitare maggior potere contrattuale ma anche di offrire proposte e individuare soluzioni che siano in grado di confrontarsi nella realtà e, soprattutto, di produrre risultati positivi.