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Ricordo di Salvatore Veca, intellettuale di grande valore e aperto al dialogo

Imagoeconomica

All’inizio degli anni Ottanta, in Italia e a Milano si respirava un’aria nuova, un clima che investiva un po’ tutti i settori della vita politica e culturale. Erano gli anni di Reagan e Thatcher, in cui anche l’Unità cominciava a pubblicare i listini della Borsa. Certo, nei nostri discorsi, sia in pubblico che in privato, deprecavamo l’edonismo reaganiano e il liberismo thatcheriano. Non era possibile però non tener conto di queste tendenze e di questo clima politico-culturale.

Ho conosciuto Salvatore Veca proprio in quel periodo, alla Fondazione Feltrinelli, di cui di lì a poco sarebbe diventato presidente; direttore scientifico della Fondazione era allora Giulio Sapelli, con il quale, per una decina d’anni, ho avuto un fruttuoso sodalizio intellettuale. Io venivo dagli Stati Uniti, dove mi ero specializzato in storia d’impresa, e alla Fondazione Feltrinelli fondammo l’ASSI, l’Associazione di storia e studi sull’impresa, unanimemente ritenuta un polo scientifico di fondamentale importanza per lo sviluppo della storia economica italiana nei decenni a cavallo del nuovo secolo.

Veca sosteneva questa esperienza. Era stato chiamato alla Fondazione per cambiarne l’indirizzo scientifico e limmagine, tutta volta ad approfondire gli studi sul movimento operaio. Non che questo lavoro non sia stato importante, ma era necessario introdurre e fondere questo approccio con le scienze sociali provenienti dal mondo anglosassone. Credo sia stata Inge Feltrinelli a scegliere il “migliorista” Veca quale agente di questa trasformazione che portò la Fondazione a essere fra i centri di discussione e di divulgazione dell’opera di John Rawls, il pensatore liberal che credeva che ideali come giustizia, uguaglianza e pacifismo possano essere ottenuti da uomini che sappiano dominare con la ragione anche un mondo come quello in cui viviamo, che sembra esserci “sfuggito di mano”.

Voglio qui però ricordare anche Salvatore come persona aperta al dialogo e agli scherzi. Ricordo che agli inizi dell’attività dell’ASSI nella Fondazione Feltrinelli avevamo invitato uno storico tedesco di grande fama, Jürgen Kocka; ad ascoltarne la lezione erano presenti tre persone. Allora Salvatore mobilitò gli impiegati e gli addetti alla Biblioteca, e con loro raggiungemmo un numero più rispettabile.

Siamo rimasti sempre in contatto, da allora. Io l’ho invitato alla Bocconi quando organizzavo gli Incontri di storia d’impresa. Ne ricordo uno molto interessante, nel quale discutemmo degli assetti istituzionali delle imprese italiane analizzati da un gruppo guidato da Giuseppe Airoldi. Allora non si parlava ancora di governance. I discussant erano Francesco Silva, Bruno Buitoni e Napoleone Colajanni. Mancava una dimensione politologica, e Salvatore accolse subito il mio invito. Fece un intervento di grande suggestione, mostrando come i problemi dell’impresa sono in fin dei conti problemi politici.

Anche se non assiduamente, ci siamo sempre tenuti d’occhio, anche negli anni più recenti, quando ho lavorato molto con la Casa della Cultura, organizzando dibattiti e incontri. Di tanto in tanto Salvatore, da presidente, mi telefonava per ringraziarmi.

Ma il sostegno più importante per me è stata la pubblicazione di un Annale Feltrinelli sul periodo successivo al “miracolo economico”. Il titolo che avevo dato, L’approdo mancato, suscitava il disagio di diversi componenti del comitato scientifico della Fondazione.

Devo a Salvatore il fatto di aver portato a termine il lavoro, perché ha discusso con me e generosamente sostenuto le mie ragioni, valutando positivamente lo sforzo critico e la novità delle ricerche che ho curato per il volume. Grazie, amico.

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