“Dove il mare è pulito si pescano con un secchio due o tre sassi di quelli spugnosi e impregnati di piantine acquatiche e molluschi. Li si porta a casa tenendoli a mollo e badando che non vengano mai a contatto con l’aria e li si mette a bollire in una pentola con i classici odori da brodo dopo un’ora di bollitura si filtra il brodo che viene riportato a bollore e vi si cuoce della pastina stelline o tempestina si serve con un filo d’olio pepe e pecorino grattugiato non si può dire se vinca la povertà o la fantasia”. C’è un profumo di antiche calde atmosfere di tempi passati in un libro di Alberto Capatti, storico della gastronomia italiana, primo rettore dell’Università̀ di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove ha insegnato per anni Storia della cucina e della gastronomia.
Con il suo “Piccolo atlante dei cibi perduti (Slow Food Editore) è come entrare in punta di piedi nelle case delle nonne di un tempo e per rivivere la nostalgia di un tempo perduto, di ricette d’antan, come il ”Budino d’Irene” scovato da Capatti in un foglietto volante all’interno di un quaderno di ricette scritte a mano, gelosamente custodito da qualche massaia con una intrigante scritta sulla copertina “Italy” che lascia presagire che si sia trattato di un prezioso vademecum di specialità casalinghe forse messo assieme da un’emigrante che conservava il piacere dei sapori della sua famiglia.
La ricerca di Capatti arriva anche a scovare chicche in alcune pubblicazioni di qualche decina d’anni fa. Come la “Neve col fango” tratto da “Le ricette della nonna” di Fiora palazzini pubblicato nel 1973 e qui apprendiamo che questo titolo così originale è la traduzione di un effetto meteorologico particolarmente sentito da triestini e istriani che si concretizza nei piatti con gnocchi e crema ed eventualmente cioccolata, un dessert “che permette di accettare quanto è visibile dalle finestre scongiurando un evento stagionale in ogni momento dell’anno anzi sorridendo col dolce sapore che dalla tazza è finito in bocca”.
Si può proseguire poi con la “Scarpaza” una torta di pane semplice ed economica, specialità delle nonne della valle del di Blenio prescritta perché non se ne perda memoria nel Ticino. “Una torta – scrive Capatti – può diffondersi o rarefarsi o sparire soprattutto se ha origine domestica e se ha come ingrediente il pangrattato, e quindi prende il posto di paste e minestre. La nonna ticinese veglia sulla singolarità propria e altrui sulle culture alimentari locali”.
I rimedi della nonna in cucina quando non esistevano gli integratori alimentari
Ma non ci sono solo ricette di cucina in questa finestra aperta sui cibi perduti ci sono anche i tanti rimedi della nonna, frutto di saggezze popolari, che hanno tirato su generazioni di umanità quando ancora l’industria degli integratori non era nata e quando si ricorreva alla medicina naturale prima di ricorrere al farmacista.
Insomma questo Piccolo atlante dei cibi perduti è una continua scoperta, dall’abalon allo yogurt come rimedio per la sbornia.
Capatti racconta 80 ingredienti, ricette e pratiche di cucina, un racconto che riporta in vita cibi e ricette del Novecento, apparentemente scomparsi, attinti come da un negozio di antiquariato, una stanza delle meraviglie gastronomiche.
Le fonti sono le più varie: ricettari iconici della cucina italiana, saggi contemporanei, ma anche canzoni di Guccini sono lo spunto per recuperare i cibi dimenticati che spaziano dall’acqua (e dal modo in cui viene pesata nelle ricette) fino a ricette meteore e bizzarre preparazioni come la sogliola al ferro da stiro, risalente solo al 2005.
Le schede si susseguono in ordine alfabetico, raccogliendo cibi oggi imprevedibili, dalle varianti infinite, con ingredienti non usuali o nomi bizzarramente seducenti, che attirano l’attenzione come bighelloni, broccioli e brustulli, o perché esageratamente fantasiosi come le uova di pavoncella, suggerite per una cena galante in un ricettario afrodisiaco del 1910.
La cucina dimenticata delle nonne, con ricettari che ebbero nel tempo la loro fortuna editoriale, è concentrata nella seconda parte del volumetto, analizzando i libri che le citano ne titolo e che, di fatto, le hanno consacrate ad anima autentica della cucina di tradizione italiana “e custodi imperiture di piatti altrimenti mai consegnati alla memoria” un messaggio rivolto al lettore per “intuire non soltanto cosa siamo stati, ma cosa siamo e soprattutto cosa saremo, nel segno della continuità storica garantita da una costante evoluzione”.