Più un’azienda, anche familiare, è grande, più tende a far parte di un gruppo. E dunque ad essere controllata da una holding. In Italia, negli ultimi dieci anni, le aziende familiari di medie e grandi dimensioni – con un fatturato di almeno 50 milioni di euro – controllate da una holding sono aumentate dal 32% al 38% del totale.
Il perché è semplice, ed è stato illustrato dalla ricerca “Le holding dei gruppi italiani a controllo familiare”, di Guido Corbetta, Alessandro Zattoni e Fabio Quarato, della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi, in collaborazione con Ernst & Young. Essere controllati da una holding dà infatti vantaggi in termini di redditività (il roe delle aziende controllate è del 5,4%, contro il 4,5% delle altre) e di capacità di rimborso del debito (il rapporto Pfn/Ebitda è di 6,6, contro 5,6). Unico aspetto negativo: la soluzione della holding si traduce spesso in una crescita più lenta (fatto 100 il fatturato del 2006, nel 2009 le aziende controllate da una holding si attestavano a 103, contro il 106 delle altre).
Ad avere i risultati migliori sono le strutture più semplici, ovvero quelle che registrano la catena di controllo più corta (un solo livello: la holding controlla direttamente la capogruppo industriale) e, tra queste, quelle in cui la holding svolge attività più limitata, senza aggravi di costi e duplicazioni di strutture spesso già presenti nelle società controllate. Non è un caso, allora, che la catena di controllo a un solo livello interessi il 74,3% delle società, quella a due livelli il 22,5% e solo il 3,2% faccia parte di gruppi con tre o più livelli.
Un approfondimento sui 49 gruppi industriali di maggiori dimensioni (fatturato superiore al miliardo di euro) evidenzia una netta tendenza alla riduzione delle attività e della lunghezza della catena di controllo. Tra il 2006 e il 2010 i dipendenti medi delle holding di vertice di questi gruppi sono passati da 114 a 48 e i ricavi delle holding da 40,9 a 15,8 milioni di euro.
“La ricerca conferma che la funzione principale delle holding rimane quella di controllo”, afferma Zattoni, uno degli autori. “Non servono a favorire l’ingresso in nuovi business, dato che nel 57% dei casi i gruppi sono addirittura monobusiness. Sono proprio le holding a vedere più spesso un familiare nel ruolo di vertice, in circa i tre quarti dei casi. Questo leader è spesso anche il leader della società caposettore. Il controllo si esplica, soprattutto, attraverso la presenza nel consiglio di amministrazione. Basti pensare che nel 60% dei casi almeno un terzo del cda della caposettore è rappresentato da consiglieri della holding e nel 39% dei casi lo è più di metà del cda”.
“Non necessariamente la struttura complessa”, aggiunge Paolo Zocchi, partner Ernst & Young e Family Business Center of Excellence Leader per Italia, Spagna e Portogallo, “è sinonimo di prestazioni migliori in particolare per i gruppi di medie dimensioni. La ricerca mostra i come in molti casi strutture di gruppi semplici possano generare performance (sia in termini di crescita dei ricavi che di redditività) più elevate forse perché più flessibili e reattive e quindi più veloci nell’adeguarsi alle mutevoli condizioni di mercato. Solo nella misurazione delle performance legate all’indebitamento i gruppi articolati e/o complessi sono in grado di raggiungere risultati superiori alla media sfruttando al meglio tutte le sinergie della propria organizzazione”.