“Le imprese piccole che non crescono sono destinate a fallire, quelle che invece vogliono crescere rappresentano il futuro dell’economia italiana”. Con queste parole ha chiuso il suo intervento il professor Maurizio Dallocchio, del Dipartimento di finanza della Bocconi e coordinatore della ricerca CReSV Bocconi, Centro Ricerche su Sostenibilità e Valore, svolto in collaborazione con Ernst&Young, che ha analizzato i ritorni positivi per le imprese a seguito di operazioni di crescita per via esterna, nello specifico tramite operazioni di M&A.
Piccolo non è bello, come si sostiene alcune volte, ma tutto il contrario. E a testimoniarlo sono ancora una volta i dati: le micro-imprese rappresentano in Italia quasi il 95% del tessuto imprenditoriale, contro il 91,8% della media europea, ma sprattutto salta agli occhi che mentre in Ue l’occupazione in queste aziende è il 29,7% del totale e il valore aggiunto il 21%, nello Stivale si viaggia al 47% e al 32,6%.
Cifre troppo alte, che vanno ancora una volta a testimoniare una sindrome da nanismo, che colpisce anche un settore fondamentale come l’export: le microimprese esportano in media per il 29%, mentre molto di più fanno le aziende con più di 250 addetti. E non è poi un caso che la Slovacchia, che è il Paese europeo con la dimensione media delle proprie imprese più grande, sia poi quello che ha visto maggiormente crescere in termini percentuali la propria ricchezza pro capite dal 2000 al 2011, mentre l’Italia è l’unica fra le nazioni industrializzata col segno negativo.
Siamo sempre più piccoli e più poveri, dunque, perchè non cresciamo. Tra i dati della ricerca ne spicca anche un altro: nel 2001 l’Italia contribuiva per il 3% alle operazioni di finanza straordinaria (quotazioni, fusioni, e soprattutto acquisizioni) di tutto il mondo, mentre nel 2011 solo all’1%. La ricerca ha tuttavia analizzato anche degli aspetti incoraggianti: i miglioramenti delle performance aziendali a seguito di operazioni di fusione e acquisizione sono infatti sempre di più ottenuti grazie alle sinergie realizzate. E le sinergie positive sono ottenute principalmente a livello strategico mentre le sinergie finanziarie hanno un ruolo residuale.
Lo studio ha analizzato un campione di quasi 100 operazioni di fusione e acquisizione, effettuate da società acquirenti italiane in Europa nel periodo 2003-2008, e ha valutato l’esistenza di ritorni positivi mediante la valutazione delle sinergie. Come volevasi dimostrare, il 74% delle operazioni analizzate sono state effettuate da piccole medie imprese e il 58% delle operazione aveva un valore di realizzazione compreso tra 0 e 25 milioni di euro.
I risultati emersi evidenziano tuttavia che le imprese che hanno effettuato operazioni di M&A sono state in grado di ottenere sinergie totali in media positive. In particolare, le sinergie operative costituiscono la componente più rilevante, responsabile per l’84% delle sinergie ottenute, e sono riconducibili principalmente a risparmi in investimenti operativi, 58%, e per il restante 42% dalla componente EBIT, grazie all’incremento delle vendite. Il confronto tra la media delle vendite pre e post-operazione evidenzia infatti un aumento del 26%. La componente finanziaria risulta invece meno determinante nel generare sinergie.
Il CReSV ha svolto anche un focus group con i direttori finanziari di importanti società quotate italiane, dal quale è emerso come la capacità di realizzare sinergie finanziarie sia fortemente correlata con la generazione di risorse interne all’azienda e con le metodologie di approvvigionamento di capitali. Le società che hanno un alto livello di autofinanziamento nei tre anni precedenti all’operazione di finanza straordinaria saranno infatti in grado di generare maggiori sinergie finanziarie, grazie soprattutto alla capacità di finanziare l’operazione di M&A a condizioni più vantaggiose.
Un’analisi in base alla nazionalità illustra inoltre che le attività di M&A eseguite tra imprese italiane hanno evidenziato risultati migliori rispetto a quelle effettuate sul panorama europeo. Passando a valutazioni di tipo settoriale, i risultati mostrano che in media non si registrano grosse variazioni tra i risultati ottenuti dalle operazioni effettuate da imprese appartenenti allo stesso settore e quelle di settori diversi.
“Alla luce dei risultati, e di quanto emerso durante gli incontro con i direttori finanziari, abbiamo delineato le determinanti su cui focalizzarsi per ottenere risultati positivi mediante attività di fusione e acquisizione – ha spiegato ancora Maurizio Dallocchio -. In primo luogo bisogna perseguire strategie di tipo operativo incentrate sull’aumento delle quote di mercato nazionali ed estere, al fine di incrementare le vendite e generare sinergie di ricavo. Bisogna poi aumentare il ros (rendimento sulle vendite), facendo attenzione a non generare dissinergie operative e accrescere l’efficienza degli investimenti operativi. Infine, è consigliabile attuare delle strategie per migliorare la generazione di flussi di cassa per avere accesso a metodologie di finanziamento meno costose.”
“I risultati ottenuti confermano il ruolo della finanza quale strumento per un’efficiente allocazione delle risorse ma non come fonte generatrice di valore in sé. In altre parole, la finanza è un amplificatore della ricchezza generata ma solo quando è strumentale alle strategie aziendali sostenibili e di lungo periodo.”, ha invece commentato Donato Iacovone, Mediterranean Managing Partner e Amministratore Delegato di Ernst & Young.