La Corte dei Conti, pur riconoscendo che l’ingresso del Tesoro a fianco del fondo americano KKR per l’acquisto della rete di Telecom Italia (oggi Tim) è un’operazione molto complessa e ancora in divenire, non ritiene sufficiente la documentazione ricevuta dal Mef per convalidarne la sostenibilità finanziaria. Ma questo non pregiudicherà la cessione della rete con cui Tim pensa di riorganizzarsi. Non la pregiudicherà per due ragioni: una formale e una sostanziale. Quella formale è la stessa Corte dei Conti a ricordarlo affermando che, quand’anche la sua valutazione finale si configurasse in un parere negativo in tutto o in parte sull’ingresso del Mef nella rete, il Ministero guidato da Giancarlo Giorgetti potrebbe comunque procedere all’acquisto di una quota del 20%, come ventilato con l’accantonamento di 2,2 miliardi di euro, ma dovrà “motivare analiticamente le ragioni per cui intenda discostarsi dal parere” della stessa Corte.
La ragione sostanziale è nelle parole del ministro Giorgetti che ancora una vota ha confermato la validità della scelta del Governo sia per quanto riguarda l’approvazione della vendita della rete Tim, fatte salve le garanzie di sicurezza nazionale e il diritto di veto del Governo stesso sulle scelte strategiche, sia per quanto riguarda la decisione di affiancare KKR acquistando una quota del 20% della rete proprio per consolidare la presenza del Governo in un asset strategico.
Ora si aspetta il pronunciamento del cda di Tim per i primi di novembre mentre sulla stampa francese si intona il de profundis di Vincent Bollorè in Italia, come fa oggi LeJournal.info della domenica, che ricorda le ripetute e costose sconfitte di Vivendi nel nostro Paese da Mediaset a Telecom e si domanda se non sia venuto il tempo per il gruppo francese di prenderne atto e di dire addio all’Italia.